Il bagnino e la libertà

Dunque, al povero bagnino di Chioggia che aveva tappezzato la sua spiaggia con le foto e le frasi di Mussolini è stata tolta letteralmente l’acqua sotto i piedi, vale a dire la società titolare della concessione non gliela rinnovata, nonostante la procura di Venezia avesse chiesto l’archiviazione per l’ipotesi di reato di apologia del fascismo.

Forse la società concessionaria, più antifascista di Scelba, ha pensato che non era il caso di scherzare con la nuova legge Fiano e si è comportata di conseguenza.

La democrazia ha così trionfato, e siamo tutti più tranquilli. Il fascismo non passerà.

Ricordo che, nella mia città, tanti anni fa, i comizi dei leader dei partiti democratici (democristiani, socialdemocratici, liberali, repubblicani, perfino socialisti) si svolgevano dal balcone di una libreria posta sulla piazza principale e gestita da una famiglia fedelissima al duce e alla sua memoria.

Per accedere al balcone, bisognava passare per una stanza le cui pareti erano interamente ingombre di foto e simboli del deprecato regime e del suo capo. Quegli uomini politici passavano, si fermavano ad osservare con curiosità e non facevano obiezioni.

Ma quella era un’Italia decadente, nonostante il crescente benessere economico e il progressivo allargamento delle libertà civili; oggi che da quella depressione siamo usciti e che la coscienza democratica, che sembrava essersi assopita, si è ormai risvegliata, siamo pronti a fare argine contro l’alta marea dei bagnini mussoliniani, a togliere loro l’acqua putrida che li nutre, sempre in nome, s’intende delle libertà democratiche.

E così abbiamo rispolverato il reato d’opinione.

Il guaio è che le libertà dei sacerdoti della democrazia non sempre coincidono con le libertà liberali, che sono poi le uniche libertà di cui possiamo effettivamente disporre, perché anche la libertà democratica di andare a votare è solo apparenza, vuoto formalismo, se non consentiamo a tutti, anche ai bagnini con il mito grottesco di Mussolini, di dire la loro e di contribuire a formare liberamente la cosiddetta opinione pubblica.

In questa smania di censurare le idee che non ci piacciono, quando, s’intende, non degenerino nella violenza fisica, c’è la confessione implicita di una debolezza, di una sostanziale insicurezza circa la bontà delle proprie idee.

Anche questo è un aspetto non secondario dell’attuale crisi della democrazia italiana, questa sua paura delle ombre del passato, questo volersi, a tutti i costi e con tutti mezzi, cautelare dai pericoli di un tempo e di un mondo ormai defunti, mentre altri pericoli, ben più reali, sinistramente incombono sulle nostre teste.

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