La bonifica dei siti contaminati tra obblighi e lentocrazia

Sul principio di chi inquina paga si fonda la normativa ambientale riguardante le bonifiche dei sistemi inquinati.  Individuare, tuttavia, il vero responsabile della contaminazione non è semplice. La vastità e la disorganicità di buona parte delle norme non chiariscono, inoltre, cosa si intenda per bonifica.

Spesso si presenta il caso di proprietari o acquirenti di terreni contaminati che non sono i diretti responsabili dell’inquinamento. Su questa fattispecie, in passato si sono registrate interpretazioni contrastanti dello stesso principio guida delle norma ambientali da parte del Consiglio di Stato e da parte del Ministero dell’Ambiente.

A differenza di ciò che sosteneva il Ministero contro una società incolpevole dell’inquinamento, per cui  “la locuzione “chi” non va riferita solo a colui che, attraverso una condotta attiva, ha abusato del territorio immettendo materiali inquinanti, ma anche a chi, in modo negligente, non fa nulla per eliminare, o anche ridurre l’inquinamento”, i giudici amministrativi del Consiglio di Stato, nella sentenza n.4225 del 10 settembre 2015 sez. VI, ribadivano che gli obblighi del proprietario non responsabile della contaminazione devono riferirsi alle sole “iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”.  La bonifica e il successivo ripristino dell’area devono, pertanto, gravare solo su colui che è il reale responsabile dell’inquinamento. Qualora non fosse possibile individuarlo, la bonifica è eseguita dalla pubblica amministrazione che può procedere anche alla vendita forzata del sito bonificato, indennizzando successivamente il proprietario con la differenza tra ciò che è stato speso per la bonifica e quanto è stato ricavato dalla vendita.

Altro caso interessante riguarda le riorganizzazioni societarie e i passaggi di proprietà di aziende o rami di aziende, anche tra gruppi industriali differenti.

La sentenza del TAR Lombardia (BS) sez.I n.802 del 9 agosto 2018 spiega che “le riorganizzazioni societarie infragruppo non sono mai opponibili alla pubblica amministrazione quando abbiano lo scopo, o il risultato, di rendere più difficile la tutela di interessi pubblici, nello specifico il conseguimento degli obiettivi di messa in sicurezza e di bonifica delle aree inquinate. […] Quando la società controllata responsabile dell’inquinamento passa, per conferimento o in altra forma, a un diverso gruppo, il gruppo cedente rimane obbligato alla messa in sicurezza e alla bonifica, salvo consenso dell’amministrazione titolare dell’interesse pubblico coinvolto.” Anche in questa circostanza, le amministrazioni locali giocano un ruolo fondamentale nel garantire che operazioni di riassetto societario non diventino espedienti per eludere quanto previsto dalla legge a carico del soggetto responsabile dell’inquinamento.

Ugualmente degno di nota è il caso dei fenomeni di contaminazione storica dell’ambiente, presenti nei Siti di Interesse Nazionale (SIN). In un recente pronunciamento del Consiglio di Stato (Sez. IV n. 5761 – 8 ottobre 2018) si stabilisce che l’amministrazione pubblica competente per legge può emanare un’ordinanza ai sensi dell’art. 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (Testo Unico Ambientale), con la quale si obbliga il soggetto individuato come responsabile della contaminazione alla riparazione e al ripristino ambientale per fenomeni di inquinamento che ancora sono presenti, anche nel caso che tale contaminazione derivi da atti compiuti prima che il decreto entrasse in vigore.

Due conclusioni importanti si traggono da questa sentenza. La prima: per individuare il responsabile dell’inquinamento il criterio fondamentale è quello del “più probabile che non”; la seconda conclusione, altrettanto rilevante, è che le disposizioni stabilite dalla legge, avendo in questo caso natura riparatoria e ripristinatoria, si possono applicare anche a fatti avvenuti prima che quella norma entrasse in vigore.

Il soggetto responsabile dell’inquinamento non è sanzionabile, perché ha agito quando la legge non c’era. È possibile, però, obbligarlo alla bonifica di una contaminazione che ha causato e che ancora persiste.

Emerge, quindi, in modo chiaro il ruolo sostanziale delle amministrazioni locali nell’ambito della bonifica dei siti contaminati, confermato dall’articolo 36 bis della legge del 7 agosto 2012 che, modificando i requisiti previsti dall’art. 252 del Testo Unico Ambientale, ha trasferito alle regioni le competenze per le operazioni di bonifica per diciotto dei cinquantasette SIN.

Per tutti gli interventi di risanamento ambientale dei SIN sarebbe necessario il passaggio da un sistema di gestione centralizzato che, per usare le parole di Antonio Martino, realizza l’unico obiettivo della “lentocrazia”, ad uno fortemente decentrato.

Il vantaggio sarebbe duplice. Da un lato si snellirebbero le procedure decisorie, aumentandone l’efficacia e l’efficienza, perché definite e gestite da soggetti che conoscono meglio le singole realtà locali.

Dall’altro lato, i cittadini elettori, che dimostrano una sempre maggiore sensibilità ambientale, sceglierebbero con più attenzione la propria classe dirigente, migliorandone decisamente la qualità.  Chi dovrebbe risolvere quei problemi particolarmente presenti nel dibattito civile, riceverebbe un mandato diretto e nessuna possibilità di attribuire furbescamente a livelli decisionali distanti dal territorio la propria inefficienza o la propria incompetenza.

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