Pontelandolfo 1861 e la teoria neoborbonica

Il volenteroso prof. e archivista Gennaro De Crescenzo – del quale qui sotto pubblichiamo un intervento – replica ad ogni mio articolo sui fatti di Pontelandolfo del 1861, tanto che ormai lo sento come uno di famiglia e, forse, è il caso che ci si incontri per bere e mangiare qualcosa insieme. A volte le migliori amicizie nascono da aspri contrasti. Lo auspico con sincerità.

Per quanto riguarda Pontelandolfo, caro De Crescenzo, devo dire che, sì, lei mi ha convinto. Non mi riferisco agli argomenti che usa bensì al cuore della sua battaglia che potremmo definire “teoria o scienza neoborbonica”.

Gli argomenti che usa, infatti, con tutta la buona volontà proprio non posso accettarli perché non sono credibili.

Faccio un esempio chiaro così anche il lettore potrà capire. In questo suo ultimo intervento lei dice che lo studio di padre Davide Panella è di quindici anni fa ed è stato superato dal libro di Pino Aprile. Ma lei sa molto bene che il saggio di padre Davide non è quello di oltre quindici anni fa bensì quello del 2013: lo sa molto bene perché gli è stato dato personalmente da Mario Pedicini sulla cui rivista è stato pubblicato.

La differenza – lo dico a beneficio del lettore – è decisiva perché il saggio del 2013 non precede ma segue il libro di Aprile e padre Davide lo scrisse proprio perché fu fatto un uso distorto del primo saggio. Così padre Davide sulla scorta dei dati d’archivio scrisse un nuovo saggio per prendere le distanze da Aprile e smentirlo su tutta la linea.

Dunque, gentile De Crescenzo, è lei che dice cose superate e lo dice sapendo di dirle. Questo depone male per lo spirito di verità e, infatti, anche gli altri argomenti li usa male e in modo strumentale. Ma lasciamo gli argomenti e veniamo invece alla felice teoria neoborbonica.

Dunque, la sua teoria è davvero originale ed è una sorta di messa a sistema della posizione neoborbonica. Su Casalduni e Pontelandolfo i neorbonici ragionano così: a Casalduni non risultano morti perché non disponiamo di registri, invece a Pontelandolfo i registri li abbiamo ma non sono affidabili.

La sua posizione personale su Pontelandolfo segue questa contraddizione e la raffina così: i registri parrocchiali che riportano tredici morti non sono affidabili perché i morti furono molti di più, centinaia forse migliaia ma non vennero registrati.

È, soprattutto per lei che è un archivista, un criterio illuminante con cui con un piccolo passo si fa fare un grande balzo in avanti all’umanità: lei non conquista l’incerto con il certo ma il certo con l’incerto. Geniale.

In un solo colpo riesce a sovvertire il metodo filologico e quello sperimentale. Ne sono affascinato e, quindi, adotto il suo criterio che potrebbe essere usato anche in sede criminologica e processuale con ottimi risultati. Sicuramente ha già dato eccellenti frutti a Pontelandolfo riuscendo a stabilire senza fonti che ci furono migliaia di morti.

È vero che ci sono i registri che accertano tredici morti; è vero che c’è la lettera del 3 settembre 1861 di Caterina Lombardi che conferma i tredici morti; è vero che c’è la cronaca del tempo di Antonio Pistacchio che conferma anche lui ma tutto ciò non conta perché lei ha creato un nuovo metodo di accertare i fatti che non si basa sulle fonti ma sulla distrazione.

Leonardo Sciascia – lei lo sa perché l’ho riferito già nella replica sul Corriere del Mezzogiorno che ha ospitato il suo intervento – diceva che un vivo si può nascondere ma occultare un morto è impossibile. Figurarsi centinaia e migliaia di morti che secondo lei ci furono ma non vennero registrati per distrazione, appunto.

Davvero un ottimo criterio per accertare i fatti.

È la teoria neoborbonica, ecco, da oggi la chiameremo così. In pratica con la teoria neoborbonica si può stabilire che i morti furono migliaia e furono uccisi non una ma due volte: la prima volta dall’esercito italiano e la seconda volta dai pontelandolfesi che registrarono con scrupolo solo tredici morti e condannarono tutti gli altri per sempre all’oblio.

Lei, De Crescenzo, chiede verità e rispetto. Da parte mia ha tutto il rispetto per la sua persona e anche per il suo lavoro, anche se lei in verità non è proprio rispettoso della mia persona: le faccio i complimenti per la curatela dell’opera di Giacinto de’ Sivo e, se ci vediamo, sarò lieto se me ne vorrà fare omaggio, così un po’ la perdono.

Per quanto riguarda la verità, invece, mi dispiace ma non posso: non perché non voglia, ma proprio perché non posso.

Qui deve far da sé perché la verità è un personale atto di dolore che non può essere surrogato. Purtroppo, in questa triste vicenda dei fatti di Pontelandolfo si è cercato di surrogarla chiedendo una verità ufficiale e lei, anche se si dichiara neoborbonico, in questo è – mi scusi – proprio italiano, italianissimo.

La verità non è né ufficiale né ufficiosa: è soltanto la verità e per stare in piedi necessita di studi e libertà e non ha bisogno di timbri di Stato che, invece, le amministrazioni di Pontelandolfo, che in questa tristezza hanno le maggiori responsabilità, hanno voluto ad ogni costo, anche al prezzo della filologia che hanno sempre tacitamente conosciuto (sono caduto anche io in questa confusione).

Su quei fatti venerandi e terribili ha scritto, per fortuna, un ottimo libro – forse il migliore – proprio un pontelandolfese come Lorenzo Melchiorre Pulzella con una bella introduzione dell’indimenticabile Alessandro Cutolo che, mi creda, di archivi e ricerca storica ne sapeva. La coscienza di Pontelandolfo vive là dentro. E’ vero, ci vorrebbe una giornata della memoria: per la serietà.

Quanto a me ho rispetto per tutti i morti, anche per i quarantotto carabinieri che, prigionieri, vennero trucidati con le zappe e combatterono una guerra per l’ideale italiano che proprio nel nostro Mezzogiorno nacque.

Che Dio, se non gli uomini, conservi sempre la memoria del loro valore e il loro esempio.

 

Non si potevano registrare i morti

di Gennaro De Crescenzo*

“La memoria dovrebbe essere più rigorosa e non dovrebbe essere strumentalizzata”: è l’unica osservazione che si può condividere nell’articolo firmato da Giancristiano Desiderio sul Corriere del Mezzogiorno dell’11/8/17 e sulla vostra rivista (in realtà si tratta più o meno dello stesso articolo pubblicato ogni tanto da Desiderio e al quale abbiamo più volte replicato).

Èuna osservazione, però, che Desiderio e quanti continuano a citare fonti superate o utilizzate parzialmente, dovrebbero tenere sempre presente. I morti di Pontelandolfo, per Desiderio, sarebbero 13 e le sue fonti sono sempre le stesse: riporta, infatti, i dati di una pubblicazione (di oltre 15 anni fa!) di Fernando Panella ma non riporta interamente le verità di quella ricerca così come aveva fatto correttamente Pino Aprile e oltre 7 anni fa. Dimostra così di non aver letto bene né i suoi “avversari” né le sue stesse fonti.

Prima di tutto se Desiderio avesse frequentato sistematicamente gli archivi saprebbe bene che, quando si parla di libri di morti parrocchiali, si tratta sempre di dati del tutto parziali: non sempre, specie in situazioni di estrema gravità come quelle di cui stiamo parlando, c’era il tempo o il modo di registrare i morti sui libri e, come attestato da Panella, “non tutti i feriti e gli ustionati perirono subito”. Intanto la tesi “nuova” dei battezzati ottiene il risultato contrario rispetto a quello che voleva ottenere: i battezzati nel 1861 furono 172 (196 quelli del 1860): al di là del fatto (rilevante) che la strage ci fu nell’agosto e che quindi gli 8 mesi precedenti furono “normali” anche per le nascite, l’oltre 10% in meno su soli 4 mesi non è statisticamente irrilevante per un dato comunque relativo e per chiunque abbia qualche nozione di statistica. Intanto il bersagliere Carlo Margolfo, testimone oculare del tempo, riferisce che, appena entrati in paese, avevano “incominciato a fucilare i preti ed uomini, quanti capitava” (“quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case”…).

Intanto lo stesso giornale filo-governativo “Il Popolo d’Italia” parla di 164 morti. Intanto sempre Panella, incrociando i dati (sempre parziali) dei morti dei mesi successivi e confrontandoli con quelli dei morti degli anni precedenti evidenzia che l’incendio non solo arrecò danni ingenti alle case, ma “si deve ritenere la causa diretta di tanti decessi e il dato di centinaia di vittime è forse esagerato ma più vicino alla realtà”. Intanto (anche secondo i dati riportati da Desiderio!) Pontelandolfo conobbe una crescita di circa 1000 abitanti nei 30 anni prima della strage.

Secondo gli stessi dati riportati (sempre da Desiderio ma -chissà perché!- a partire dal 1866) la popolazione (invece di crescere come aveva fatto notevolmente nei decenni precedenti) perde in meno di 5 anni oltre 300 abitanti e Desiderio riesce a dimostrare il contrario di quello che voleva dimostrare. Intanto dai dati (quelli sì davvero inediti) pubblicati da Pino Aprile in “Carnefici” e ricavati dal Dicastero Interno e Polizia risultano 5.747 abitanti nel 1861 (esattamente 4 giorni prima della strage) e qualche mese dopo (Calendario Generale del Regno d’Italia) ne risultano 1.463 in meno (non tutti morti, forse, ma un sicuro segnale di qualche evento drammatico e che di certo non conferma i “soli 13 morti”).

Perché mai, allora, Desiderio confronta i dati pre-strage con quelli di 5 anni dopo senza tenere conto delle fonti, di tutte le fonti? Forse per “strumentalizzare la storia”? Se lo stesso presidente della Repubblica rappresentato nel 2011 da Giuliano Amato ha chiesto ufficialmente scusa per quello che successe a Pontelandolfo e che (fino a quando Aprile e altri che Desiderio definirebbe “neoborbonici” non tiravano fuori notizie e documenti) “era stato messo ai margini della storia”, com’è possibile che ci sia ancora qualcuno pronto a ridimensionare una tragedia che (uno, cento o mille morti e di certo non limitata solo a Pontelandolfo) rappresenta una vergogna nella storia italiana?

Certo è che oggi gli abitanti di Pontelandolfo, in un trend senza discontinuità, sono quasi la metà di quelli della metà dell’Ottocento e al centro di una emigrazione mai conosciuta prima e ancora drammaticamente attuale. Quei poveri morti e la nostra storia meritano (dopo oltre 150 anni), verità e rispetto e, forse, pure un Giorno della Memoria (per lo studio e la riflessione).

*Prof. Gennaro De Crescenzo. Presidente Movimento Neoborbonico (specializzato in Archivistica presso l’Archivio di Stato di Napoli)

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