Il problema non è Fontana, ma se la Lombardia si rappresenti in lui

La Lombardia non è una regione qualsiasi. È, a livello simbolico e anche e soprattutto nella realtà, il motore economico dell’Italia, il suo avamposto sulla frontiera della modernità. Così come Milano è da sempre considerata la “capitale morale” del paese.

Chi è candidato a occupare il posto di governatore di quella regione dovrebbe perciò stare molto attento a quel che dice, al linguaggio che usa. Certo, un lapsus può sfuggire a chiunque: siamo uomini, imperfetti, pressati da mille impegni che distolgono spesso la nostra attenzione.

Ma nel caso delle parole proferite ieri da Fontana, il candidato governatore leghista al Pirellone, non si tratta di un semplice lapsus, come ha poi tenuto a sottolineare, o di una una gaffe: se non altro per la dimestichezza che egli ha mostrato di avere con un termine, “razza”, che nel linguaggio delle persone normali, i borghesi si sarebbe detto un tempo, non ha più corso da tempo.

 Sia per le molto dubbie basi scientifiche che lo sorreggeva nell’età del positivismo trionfante, sia per essersi legato poi nel Novecento a ideologie che lo hanno usato come pretesto per veri e propri crimini contro l’umanità.

Qui non se ne fa una questione di moralità o di presentabilità di Fontana, ma semplicemente di dissimetria fra ciò che una regione vuole essere, moderna e colta, e l’immagine di chi deve rappresentarla, che non può essere tutto il contrario.

Nella fattispecie, l’uscita di Fontana è politicamente deleteria per tutti coloro che credono giusto, come chi scrive, che in Italia siano necessarie una limitazione, un controllo e una selezione dell’immigrazione: per coloro che giudicano politicamente (e anche moralmente) irresponsabile aprire le porte a tutti in nome di una astratta ospitalità.

Per ospitare, bisogna essere in grado di farlo e quindi di garantire all’ospite una degna accoglienza. Così come l’ospite è tenuto a rispettare le usanze di chi lo ospita, adeguarsi alle leggi e alle regole della casa ove ha deciso di andare.

 Ora, l’Italia non è in grado, soprattutto da sola in Europa, ad accollarsi un numero esorbitante d’immigrati, né molti di questi sono disposti a “occidentalizzarsi” come si diceva un tempo. Il problema diventa allora serio per chi, come noi, crede nel superiore valore morale della nostra civiltà e delle nostre libertà e non vuole trovarsi schiacciato in casa da chi non ha questi valori.

Il problema non è allora di razza da preservare, né tanto meno di “razza bianca”, come ha detto l’improvvido Fontana, ma di identità. Non per costruire un’identità chiusa ma per aprirla solo a coloro che non ne mettono in discussione gli irrinunciabili valori di base.

La battaglia è culturale, non etnico-razziale. E fra persone di una media intelligenza, e in un altro contesto storico, non ci sarebbe stato nemmeno il bisogno di dirlo.

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