Senza merito, siamo destinati alla decadenza

Il Sessantotto impregna ancora oggi il nostro Paese. Con ciò si vuole intendere, soprattutto, che esso ha fatto sì che si assolutizzasse un principio importante, certamente, ma che, se spinto al parossismo e declinato in modo onnipervasivo, ha conseguenze oltremodo nocive sul tessuto sociale di una comunità: il principio di eguaglianza.

Una società che non pone argini alle tendenze egualitaristiche che la stessa democrazia ha in sé, alleva e ispira nel profondo la mentalità dei cittadini, non lascia spazio alla libertà individuale e, anzi, la schiaccia in quanto attentatrice dell’ideale democratico (per come Tocqueville l’intende, ovvero come “eguaglianza delle condizioni”). Il risultato, allora, sarà verosimilmente la stagnazione economica, l’intorpidimento del pensiero, l’infiacchimento spirituale e la cristallizzazione della realtà sociale.

Ne ha scritto molto bene Marcello Veneziani su “Il Tempo” di sabato 29 settembre. Disonore al merito, il titolo del pezzo del pensatore pugliese, rende assai bene i tempi a cui siamo arrivati. Finalmente siamo guidati da un esecutivo che vuole il bene dei cittadini, il “Governo del Popolo” che implementa la “Manovra del Popolo”. Ma questo benedetto concetto collettivo, “il Popolo”, cos’è che indica esattamente? Quali sono i suoi contorni? Perché se sta a individuare la platea di chi desidera vivere in modo bolso, alle e sulle spalle di tutti quelli che lavorano, producono e si spendono attivamente per migliorare la propria condizioni, ebbene, come molti altri che rigettano il percorso latinoamericaneggiante che si è intrapreso, io non ci sto e faccio (orgogliosamente) parte dei “Nemici del Popolo”. Come sostiene Veneziani, «capisco il soccorso, ma in una società giusta e ben fatta, [l’assistenza] dovrebbe essere il correttivo, il paracadute per chi non ce la fa; invece qui è diventato la norma, il canone, la legge, il criterio universale di selezione perfino per la classe dirigente».

Una società opulenta, prospera e in salute è doveroso che si impegni attivamente per chi è in difficoltà. Intendiamoci, è odioso e mortificante girare per le strade e vedere persone rovistare nei cassonetti dell’immondizia: significa che qualcosa non ha funzionato, che in qualcosa si è fallito. È necessario aiutare chi versa in reali, effettive e critiche situazioni di povertà e indigenza. E come hanno scritto magistralmente Dario Antiseri e Flavio Felice sul sito del Centro Studi Tocqueville-Acton (https://tocqueville-acton.com/2018/03/12/il-problema-del-sostegno-al-reddito-nel-pensiero-dei-grandi-liberali/), i grandi liberali sono favorevoli a un’assistenza di questo tipo. Ma prima, e ce lo dice il buon senso – non si tratta certo di un’imposizione dei poteri forti, di un complotto della massoneria giudaica o dell’azione selvaggia di mercati costituiti da egoisti e gretti “homines oeconomici” –, è necessario che si siano create le risorse, che si sia prodotta la ricchezza.

Questa non è, infatti, come incredibilmente sostenuto da un alto esponente dell’esecutivo, “un diritto”: questo è l’esito (tutt’altro che scontato, bensì frutto di fatica e sacrifici) di una società che persegue l’eguaglianza attraverso la libertà, e non il contrario; di una società che incentiva e premia il merito, e non l’appiattimento; di una società che valorizza i talenti, e non che coltiva la mediocrità erta a istituzione di stato; di una società che parla di diritti, ma non dimentica né i doveri né la libertà.

Una società non equa, ma egualitaria, «una società che calpesta quel primario criterio di giustizia, che scoraggia i capaci e meritevoli, finisce male». Ha ragione Veneziani, senza dubbio. Ma se l’obiettivo era (ed è) quello di emulare modelli esotici dal sapore peronista, beh, la strada è quella giusta. E il male si tramuta così in bene. Quando si dice che tutto è relativo…

Carlo Marsonet, 4 settembre 2018

 

 

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