Lo Stato minimo secondo Wilhelm von Humboldt

Nel gennaio del 1792 appare, in forma anonima, sulla Berlinische Monatsschrift (la stessa rivista sulla quale, nel 1784, Kant aveva pubblicato la sua Risposta alla domanda : che cos’è l’illuminismo?), un saggio di cui l’anno successivo Wilhelm von Humboldt dichiarerà di essere l’autore. Si tratta di un breve testo, in realtà una lettera, che ha per titolo : Idee per una costituzione politica suggerite dalla nuova costituzione francese. Humboldt, che nel corso della sua vita ricoprì importanti incarichi ministeriali e fondò l’Università di Berlino, fu ambasciatore a Roma, a Vienna, a Londra e rappresentò la Prussia al Congresso di Vienna. Il destinatario della lettera è Friedrich Gentz, un uomo politico prussiano, divenuto in seguito segretario di Metternich, che in quel momento si sentiva vicino alla Rivoluzione francese, da cui prese le distanze dopo aver tradotto le Riflessioni di Edmund Burke.

 

Humboldt, che nel 1789, a Parigi, era stato testimone delle prime fasi della Rivoluzione, scriveva che l’Assemblea Costituente, nel proporsi di rifondare lo Stato “seguendo i soli principi della ragione”, non aveva tenuto conto della inadeguatezza dei modelli istituzionali concepiti a priori. Nella politica, come in ogni vicenda umana, commentava, possono risultare efficaci solo quei progetti che emergono “dalla lotta tra il caso onnipotente e la ragione che vi si oppone”. Il nostro sapere, sostiene, con argomentazioni che sarebbero state poi riprese da Popper, Menger, Mises, Hayek, si fonda infatti su idee “incomplete e vere solo per metà”.

La ragione può avere la forza di dar forma al materiale preesistente, “ma non ha la forza per produrne del nuovo”. L’ambizione di realizzare pienamente uno Stato ideale nel presente, prescindendo dal passato, evoca, per Humboldt, l’immagine di un bel fiore “ma soltanto un fiore. La ghirlanda può essere intrecciata solo dalla memoria che congiunge il passato con il presente. Quanto accade al singolo individuo accade anche per intere nazioni”. Ecco perché proprio “dalla costituzione vigente deve scaturirne una nuova”.

 

La lettera a Gentz, per ammissione dello stesso Humboldt, pose le premesse per il Saggio sui limiti dell’attività dello Stato, pubblicato in modo parziale, sempre nel 1792, sulla Berlinische Monatsschrift e sulla rivista di Friedrich Schiller Neue Thalia. Il saggio potrà essere letto nella sua versione integrale solo nel 1851.

La libertà si esprime nella maniera più alta, scrive, solo all’interno di una civiltà che si è gradualmente sviluppata nel tempo. Quando invece è il frutto di una rivoluzione, per bella e nobile che essa sia, somiglia a qualcosa che lo Stato stesso concede. Tale concessione possiede però il carattere della costrizione e, anche quando questo non appaia evidente, tende a subordinare l’individuo all’istituzione. Ciò lo distoglie dal cercare da sé le soluzioni in modo autonomo. Se si considera, sostiene Humboldt, che la maggior parte della popolazione è portata a identificare i principi morali con le leggi dello Stato, ci si trova dinnanzi a uno spettacolo scoraggiante in cui i più santi doveri e gli ordini più arbitrari si trovano “posti tutti sullo stesso piano”.

 

La libertà non riesce a realizzarsi pienamente in condizioni di uniformità, proprio perché, come insieme a lui avrebbe detto anche Mill, è in stretta connessione con la varietà. L’intervento dello Stato non deve invadere la sfera privata del cittadino, perché le disposizioni delle istituzioni “abituano l’uomo a contare su di un insegnamento, su di una direzione e di un sussidio esterno, piuttosto che ad aprirsi da sé le sue vie”.

 

La soluzione più opportuna consiste allora nel prospettare possibili opzioni, consentendo agli individui di scegliere liberamente. Quando lo Stato non si limita al compito “negativo” di rimuovere ostacoli, ma si propone di formare e orientare i cittadini, prevale una concezione paternalistica, che nega l’autonomia ai singoli. L’esperienza della felicità è legata alla capacità procurarsi ciò che si desidera con le proprie forze e “quando lo Stato soffoca l’attività individuale con un intervento troppo esteso, l’uomo che ha preso l’abitudine di affidarsi completamente ad una forza estranea, si trova in condizione assai più triste”.

Coloro che ricoprono ruoli burocratici, sostiene inoltre Humboldt, mostrano fedeltà al governo da cui dipendono piuttosto che alla Nazione. Egli ravvisa una sostanziale differenza tra le organizzazioni della Nazione e quelle dello Stato. Le prime hanno un carattere mediato, le seconde sono decisamente più rigide. In origine, scrive, quelle che sono poi divenute istituzioni, erano spontanee organizzazioni sociali, che hanno oltrepassato il compito di mantenere la sicurezza, per trasformarsi in potere assoluto. Questo potere, prosegue, “si estende dal suo terreno d’origine (che è la funzione di polizia) a tutti gli altri campi, in modo che l’organizzazione politica si allontani sempre più dal suo principio, che è il patto sociale”. Temi, questi, che Hayek avrebbe ripreso ampiamente.

 

Lo Stato deve dunque sanzionare azioni che limitino la libertà dei singoli, ma non deve occuparsi del loro benessere. Il suo vero scopo dovrebbe consistere nel “condurre gli uomini, per mezzo della libertà, alla associazione la cui attività possa in mille casi sostituirsi a quella dello Stato”. Con l’andare del tempo, commenta, si assiste invece a un aumento del numero dei funzionari e degli archivi, a cui corrisponde una riduzione delle libertà.

Si avverte qui la distanza rispetto alla concezione hegeliana dello Stato etico, ripresa poi nel ‘900 in chiave totalitaria. Nella aggiunta al paragrafo 258 dei Lineamenti di filosofia del diritto, Hegel scriveva che lo Stato è in sé e per sé la totalità etica. La realizzazione della libertà non procede infatti, a suo avviso, dalla coscienza singola. Lo Stato è allora “l’ingresso di Dio nel mondo”, un Dio reale, il cui fondamento è “la potenza della ragione che si realizza come volontà”. Lo Stato hegeliano non esiste, come leggiamo nelle Lezioni sulla filosofia della storia, in funzione dei cittadini, perché “esso è il fine e quelli sono i suoi strumenti”.

 

Lo Stato non può essere frutto della volontà individuale, secondo Gentile, per il quale la libertà del liberalismo è astratta e “inesistente”. Per creare lo Stato, scrive, l’individuo deve già possederlo, “essere già virtualmente Stato”. In quanto “Unico”, volontà universale, lo Stato potrà allora essere considerato “divino”. Ne I fondamenti della filosofia del diritto Gentile sosterrà che lo Stato “non è inter homines, ma in interiore homine”, dal momento che non vi è distinzione fra l’uomo privato e l’uomo politico e l’uomo può riconoscersi come soggetto libero solo in quanto si identifica, ma, potremmo dire si annulla, nella dimensione organica dello Stato.

In questa forma di teologia politica, variamente declinata, Karl Popper ravvisava il carattere proprio della statolatria totalitaria. L’identificazione idealistica e storicistica di razionale e reale aveva fatto venir meno, secondo Popper, la tensione verso il dover essere, che animava il liberalismo kantiano, e che possiamo riconoscere in Schiller come in Humboldt.

 

L’attenzione di Humboldt alla sfera individuale non approda a una visione atomistica dei rapporti sociali. Egli ritiene infatti che gli uomini debbano unirsi per superare il loro isolamento, non la loro originalità. L’unione, scrive, non deve fondere un essere con un altro , “ma aprire le vie dell’uno verso l’altro”. Quando lo Stato oltrepassa il suo compito di garantire la sicurezza, ostacola la libera realizzazione degli individui. Solo nella libertà i cittadini possono contribuire alla realizzazione del bene comune, che non può essere indicato a priori da una istituzione superiore.

Con un tono che ricorda da vicino Humboldt, Ludwig von Mises scriveva nel 1944 che lo statalismo si propone di guidare i cittadini tenendoli sotto tutela e aspira a restringere la loro libertà d’azione. Lo Stato può essere il fondamento della società e della cooperazione, scrive Mises, “ma è soltanto uno strumento e un mezzo, non il fine ultimo. Esso non è Dio […] e i Führer e i Duci non sono né dei né vicari di Dio”.

 

 

 

Testi citati

von Humboldt, Idee per una costituzione politica suggerite dalla nuova costituzione francese. Da una lettera dell’agosto 1791 a un amico, trad. it. in Id., Scritti filosofici, UTET, Torino, 2007.

Id., Saggio sui limiti dell’attività dello Stato, trad. it., Giuffré, Milano, 1965.

F. W. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, trad. it., Laterza, Bari, 1971.

Gentile, Genesi e struttura della società, Le Lettere, Firenze, 1994.

Id., I fondamenti della filosofia del diritto, Le Lettere, Firenze, 2003.

Popper, La società aperta e i suoi nemici, trad. it., Armando, Roma, 1977, 2 voll., vol. II.

von Mises, Lo Stato onnipotente, trad. it., Rusconi, Milano, 1995.

 

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