Fiumi d’inchiostro continuano ad essere versati su libri, giornali e riviste per dimostrare che noi euro-occidentali non abbiamo alcun diritto a ritenerci superiori agli altri popoli e alle altre culture dal momento che di «crimini contro l’umanità» ne abbiamo commesso a iosa – guerre, conquiste coloniali, etnocidi, massacri ideologici.
È vero, si ammette, che le altre civiltà non sono state da meno ma la nostra pretendeva di fondarsi sui diritti universali dell’uomo e quindi su una filosofia politica e giuridica che non ammetteva deroghe nei rapporti con «l’altro».
È un discorso che si sente ripetere fino alla nausea ma che non regge davanti a una semplice domanda: i diritti e le libertà civili (eguaglianza di uomo e donna, libertà di culto e di apostasia, libertà di associazione e di insegnamento, libertà d’impresa) sono valori assoluti, da difendere sempre e dovunque, o sono una caratteristica peculiare della tribù occidentale che non si può pretendere diventi «costume» anche per quanti scelgano di vivere nelle nostre contrade in cerca di un’esistenza libera dal bisogno?
Se sono valori assoluti, lasciamo agli storici e ai filosofi stabilire: se hanno a che fare più con il mondo greco-romano che con quello cristiano, più con l’illuminismo che con il romanticismo; se nel corso dei secoli, sono stati «traditi» o, almeno in parte, rispettati; e accordiamoci sul principio che rappresentano una conditio irrinunciabile di appartenenza alle nostre comunità politiche.
Ne deriva, ad esempio, che l’imporre un matrimonio a una minorenne o una mutilazione genitale dovrebbe essere seguito non solo dalla condanna penale ma dalla perdita della cittadinanza.
Rinunciamo pure a pesare le differenti etnie culturali sulla bilancia del Bene e del Male ma non confondiamo il relativismo descrittivo della realtà («esistono tanti modelli culturali») col relativismo etico («tutti i modelli culturali sono buoni») e col relativismo metodologico («per comprendere i modelli culturali bisogna comprenderne i valori specifici»).
No, le civiltà e i costumi che ne derivano non sono, per noi, tutte sullo stesso piano.
Quando si parla dell’incontro con «il diverso che ci arricchisce» si fa della retorica vacua e pericolosa. L’arricchimento ci fu quando i Romani, un popolo contadino con un forte senso del diritto, conquistò la Grecia: «Graecia capta ferum victorem cepit» scriveva Orazio (la Grecia soggiogata conquistò il feroce vincitore).
Nacque allora, insegnano gli antichisti, una civiltà millenaria, non romana ma greco-romana che tanto avrebbe segnato le arti, le lettere, le scienze, le istituzioni, la filosofia dell’Occidente.
Persino lo «scontro di civiltà» causato dalle invasioni barbariche ebbe una sua positività.
Come scriveva Montesquieu nello Spirito delle leggi, le libertà dei moderni nacquero nei boschi germanici: «Le nazioni che conquistarono l’impero romano erano molto libere».
Finché i conquistatori rimasero in Germania, tutta la nazione poteva riunirsi; dispersi nella conquista, non poterono più farlo: «Era comunque indispensabile che la nazione deliberasse sui suoi affari, come prima della conquista: lo fece con l’elezione dei rappresentanti. Questa è l’origine del governo gotico tra noi».
Invece tra i nuovi, pacifici, invasori ci sono molte persone talora persino più «civili» di noi ma, quando lo sono, lo si deve con buona pace degli «antagonisti» antropologi culturali al fatto che si sono occidentalizzati, che «sono diventati come noi», che nelle patrie di origine hanno acquisito un’educazione, delle competenze tecniche e scientifiche non inferiori alle nostre.
Non sono «figure della diversità» ma uomini che hanno preso le distanze dal loro «specifico culturale» come quei siciliani che, tanti anni fa, non si riconoscevano più nella filosofia del delitto d’onore.
Memori della lezione di Giovanni Sartori, finiamola di tessere l’apologia del multiculturalismo.
Nel mondo unificato dalla democrazia in politica e dal mercato in economia, dobbiamo tenerci caro il pluralismo non il multiculturalismo: il primo fa pensare alle differenti perle di uno stesso diadema, il secondo a unità chiuse che rivendicano la conservazione di usi, di costumi, di tradizioni che non solo intendono preservare dal precipitare dei tempi ma che, talora, pretendono di imporre all’intero pianeta per salvarlo dalla corruzione profonda in cui è precipitato per colpa di noi «crociati».