La Donna

“Non è bene che l’uomo (ish) sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gen. 2,18) “Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo una donna (ishà) e la condusse all’uomo. Appena l’uomo la vide disse: questa volta essa è carne dalla mia carne osso dalle mie ossa” (Gen. 2,21). Il questo modo mirabile Dio colmò nell’uomo la mancanza di un suo simile, anzi un altro ISH con un prolungamento ISH-À. Quel prolungamento, quel di più che è dato dall’esclusiva capacità femminile di generare, di dare la vita. È un carisma perpetuo come il movimento degli astri, una vocazione che si espleta a prescindere dal generare la vita, ma che genera in maniera materna anche la percezione di sé e degli altri. Le differenze caratterizzanti l’uomo e la donna non sono solo esteriori o somatiche, ma entrambi i soggetti differiscono nel modo di vedere, di sentire e di operare. San Giovanni Paolo II ha voluto tributare alla donna i suoi meriti nella Lettera alle donne del 29 giugno 1995, e sollecita il mondo ad avere un senso di gratitudine e riconoscerne la dignità e i diritti. Anzi, va oltre e ringrazia la Santissima Trinità per il “mistero della donna”. Già, proprio perché la donna è capace di contenere la vita e la vita è Dio; infatti, appelliamo lo Spirito Santo come “fonte della vita”. Un privilegio che è parso bene al Creatore di donare ad ishà. In qualche modo, anche solo inconsciamente, l’idea di superiorità di ish trova un vincolo eterno, un equilibrio divino derivante dalla capacità generativa della donna. E dunque per questo che, se ish vuole donare la vita deve farlo attraverso ishà. Sappiamo che Dio creò un essere vivente tutto nuovo, per colmare quell’insopportabile senso di solitudine che va sotto il nome di “solitudine di Adamo”. Egli creò una compagna da appaiare alla sua natura razionale, preminente su tutte le creature. Ma Dio, a causa della disobbedienza dei nostri progenitori, ha dovuto formulare nuove regole tenendo in considerazione questo vulnus che i nostri progenitori avevano acconsentito di accogliere. Nel comminare la condanna Dio dice: “Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (Gen. 3,16) Dunque per la donna rimarrà un istinto verso l’uomo, ovvero una passione che la spinge a desiderare e farsi desiderare e per l’uomo i sentimenti di dominio, di potestà, di controllo, sovranità, preminenza… Istinto e dominio, dopo il peccato, sono i due nuovi modi ferali di essere. Già, perché peccando non hanno più potuto cogliere dall’albero della vita diventando per questo mortali. Il peccato andrebbe dominato, ma il più delle volte trascende ogni umano controllo, generando brutture. La donna per “istinto generandi” è portata verso l’uomo, ma a volte ciò è percepito dall’uomo come una disponibilità di cui avvalersi anche solo per esercitare la propria mascolinità, talvolta fino alla prevaricazione. Tutto ciò poi può portare all’aberrazione nota a tutti che va sotto il nome di “femminicidio”, un neologismo che per la frequenza del fenomeno ora è in uso frequentemente. Chissà Dante in che girone infernale avrebbe collocato gli autori di femminicidio. Forse ancora più in profondità che nel primo girone del settimo cerchio dove gli omicidi sono immersi nel Flegetonte, un fiume di sangue bollente. Forse collocherebbe nello stesso luogo anche gli stupratori. Un meschino atto di imperio, violento e con terribili conseguenze nel corpo e nella psiche. Un’azione che trascina lo stupratore al di sotto della sua eccelsa natura di essere razionale, cedendo ad istinti animali, che annientano la ragione stessa. Con il linguaggio psicologico potremmo dire che ci troviamo di fronte ad un bias cognitivo, ovvero ad una distorsione, una inclinazione causata da un pregiudizio. Detto pregiudizio si potrebbe collocare nell’affermazione di sé stesso come signore preminente. I due soggetti creati per conforto vicendevole, a partire dalla disobbedienza segnano un differente passo. Un incedere che nei secoli si è sedimentato formando una percezione maschile e sociale della donna che spesso misconosce la dignità femminile, travisando le sue intrinseche prerogative ora emarginandola ora riducendola persino in schiavitù e dominandola. Evenienza oggi molto mitigata dall’autonomia economica da lavoro femminile, anche se spesso la donna è sottopagata per non sminuire la supremazia economica maschile. Quanto a diritti delle donne l’Europa molto in fretta ne fa emergere di nuovi come il diritto all’aborto, uno scempio sul corpo femminile. Una libertà molto dolorosa. La pratica abortiva è una profanazione violenta, che lascia strascichi psicologici e a volte anche fisici. La dignità umana passa anche per il rispetto del proprio corpo, prima di chiederlo ad altri come diritto bisognerebbe che la donna stessa si rispettasse e non considerasse un diritto personale sopprimere una parte di sé, un soggetto vivo e vitale ma incapace di difendersi. Ancor di più oggi che esiste una vasta gamma di anticoncezionali capaci di evitare soluzioni tanto drammatiche e invasive, quindi la necessità di ricorrere a questo presunto diritto.

Il diritto all’aborto ha il suo esatto contrario nel diritto alla procreazione rivendicato da unioni sterili. Una limitazione superata con l’utero in affitto. Un utero di donna senza nome, senza identità, una macchina-umana necessariamente donna ma, senza diritti. Un utero res nullius per la cui proprietà, anche momentanea, basta pagare e per maggior beffa, la gran parte di quel danaro non arriva alla donna-incubatrice ma unge la macchina del business delle nascite conto terzi. Anche la locuzione: “utero in affitto” è una deminutio perché mutuato dall’uso delle cose. Infatti, si affitta un garage, una macchina, un appartamento non certo parti di una persona vivente. Sarebbe opportuno ripensare la parola diritto e valutare se si può definire in questi termini un’azione che prevede la negazione di diritti altrui. Se l’Europa non riconosce il diritto all’esistenza degli europei e incentiva a colpi di presunti diritti l’eliminazione di nuove generazioni, non v’è dubbio: è l’inizio della fine.

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