L’unificazione europea alla prova di un’elezione decisiva

Un passo in avanti su fatti, principi e valori.

Premessa

L’elezione del Parlamento europeo è ormai un fatto politico di rilevanza assoluta. Un tempo erroneamente considerato come una prova (o verifica) di quella nazionale, con le ultime tornate ha assunto, via via, una rilevanza sempre crescente. L’esito elettorale di giugno 2024 avrà un impatto mondiale, per la molteplicità di crisi internazionali in corso, tutte precipitate addosso all’Europa: dalle guerre in Ucraina e in Medio-Oriente (misurazione di capacità politica), alla questione climatica e alla rivoluzione digitale (misurazione di leadership sull’innovazione) fino ai rapporti con gli altri global players (misurazione del proprio ruolo nel Mondo). Un esito con un impatto, nel bene e nel male, anche su quella americana del prossimo novembre.

L’Unione Europea, una questione aperta

Cosa sia oggi l’Unione Europea è domanda che presenta molteplicità di risposte. Per definirla, sono utilizzati criteri interpretativi diversi, da parte della politica e dell’accademia, come pure degli stessi movimenti europeisti e federalisti.  Generalmente e sinteticamente, sono formulate definizioni attorno a due principali ordini di problemi.

Il primo ruota attorno alla differenza tra federazione e confederazione. Non ci addentriamo nelle infinite disquisizioni dottrinarie al riguardo, anche tenuto conto che nel mondo esistono diversi modelli federali , peraltro diversi tra di loro [1].  Si può, empiricamente, osservare che l’Unione Europea funziona come una federazione quando c’è la co-decisione legislativa tra il Parlamento e il Consiglio, cioè quando quest’ultimo vota a maggioranza qualificata nelle materie di competenza esclusiva o concorrente dell’Unione, come indicate nei Trattati. Funziona, invece, come una confederazione nei casi in cui non si applica questo metodo (politica estera, difesa e diversi aspetti della fiscalità).

Il secondo criterio interpretativo ruota attorno alla differenza tra “Europa del mercato” eEuropa politica”. Appare, in verità, difficile stabilire là dove finisca il mercato e dove cominci l’unione politica. Brexit docet: non volendo sottostare a vincoli politici di qualsiasi natura e temendo di andare verso un’entità politica europea che le avrebbe sottratto il controllo su molte altre materie (let’s take back the control, dicevano i brexiteers), il Regno Unito ha dovuto abbandonare anche il mercato unico. È risultato, alla fine, che non si poteva andar via dall’Unione e restare dentro il mercato europeo. Queste due cose non sono divisibili perché il mercato è già parte dello “stato”, è già cosa politica, è il risultato di regole e leggi, votate, emanate e garantite da istituzioni che sono politiche (il Parlamento, la Commissione, il Consiglio UE). E come fatto politico, il mercato agisce, chiudendosi o aprendosi al mondo. Basti vedere il recente dibattito sul neo-protezionismo americano ed europeo attorno alla questione degli “aiuti di stato” sulla transizione energetica. Le scelte strategiche sul “mercato” sono, dunque, politiche, fatte da attori politici, nella loro veste politica, istituzionale ed europea.

Appare, allora, più utile esaminare l’Unione Europea sul terreno del suo concreto divenire storico, politico e istituzionale, cercando di individuare i caratteri peculiari di questo svolgimento. E allora si vedrà che siamo di fronte ad un “processo di unificazione”, in corso di svolgimento politico, istituzionale, economico e sociale dal lontano 9 maggio 1950 (Dichiarazione Schuman).[2]

Processo è parola-chiave, coglie l’elemento dinamico della storia dell’unificazione europea. Significa svolgimento continuo, non ripetitivo, di una realtà politica, istituzionale, economica, sociale e culturale che si modifica in base alle risposte (o non risposte) che le politiche dell’Unione hanno dato (e continuano a dare) alle sfide e alle crisi ricorrenti.  La famosa espressione di Jean Monnet “L’Europa si farà nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni apportate a queste crisisignifica, appunto, questo: l’Europa è il risultato di un processo.

Questo processo si è sviluppato come una continua risposta alle “crisi” degli stati nazionali, posti sempre di fronte all’alternativa tra risolvere assieme un problema comune, con politiche e istituzioni comuni, o non risolverlo affatto. Queste risposte hanno dato luogo a fatti concreti: la politica agricola, commerciale, la libera circolazione delle persone, delle merci, servizi e capitali, l’elezione diretta del Parlamento europeo, la moneta unica, l’allargamento dell’Unione, i piani di sviluppo dell’economia. Da questi fatti sono emersi principi di natura costituzionale: il primato del diritto europeo, l’economia sociale di mercato, la cittadinanza europea, l’indipendenza della moneta dalla politica, il controllo del debito pubblico e dell’inflazione, la solidarietà  legata al controllo europeo sulle risorse. Infine, dalla correlazione tra i fatti e i principi sono emersi i valori sui quali si basa oggi la nostra Unione: la pace (come valore fondante su cui nasce il processo di unificazione, esplicitamente indicata nella Dichiarazione Schuman), la democrazia sovrannazionale, la sostenibilità nelle sue diverse forme (ambientale, economica, sociale e territoriale).

Il processo di unificazione ha, dunque, prodotto  fatti, sviluppato principi e affermato valori, concatenandoli coerentemente in politiche e istituzioni via via diverse.   Si può, allora, formulare un principio generale, che può essere espresso nel modo seguente: nella politica finora considerata normale (quella nazionale) ciò che resta fisso sono le istituzioni e ciò che cambia continuamente è il processo politico (come lotta per il controllo del potere nazionale). Con l’unificazione europea vale il contrario: ciò che è costante è il processo e ciò che cambiano sono le istituzioni.

È questa la logica che sta alla base del processo di unificazione, che si manifesta come “gradualismo costituzionale” [3], vale a dire come la costruzione, nel tempo, delle architravi costituzionali  della “cattedrale-Europa”[4]  e che da vita a un potere statuale  sovrannazionale  e democratico.   È nata, così, una statualità europea[5], assai diversa da quella giacobina-napoleonica che ha segnato la vita dello stato-nazione. Essa è fatta d’istituzioni sovrannazionali e di regole comuni, mutevoli, ma nella costanza del processo e che si sono consolidate nel tempo, accrescendo la logica federale iniziale, già presente nelle prime istituzioni comunitarie. L’Unione europea si basa su un sistema bicamerale di rappresentanza dei Popoli (Parlamento) e degli Stati (Consiglio), su un esecutivo (Commissione), una presidenza collegiale (Consiglio europeo), una Corte europea di Giustizia, una moneta propria e una Banca centrale (BCE),  una Corte dei Conti, propri organi consultivi (Comitato economico-sociale e comitato delle regioni), una propria banca per gli investimenti (BEI). E con una strutturazione precisa dei poteri e delle competenze tra l’Unione e gli Stati, come pure dei meccanismi decisionali; con un proprio sistema d’intervento, di coordinamento e di controllo da parte dell’esecutivo sui governi nazionali; con un proprio bilancio e con proprie risorse, sia pur ancora limitate. [6] E tutto ciò, pur in assenza di principi comuni che possano determinare una politica estera e di difesa europea.  È questa la debolezza dell’Unione nell’attuale fase del processo. Cui occorre porre rimedio. Il momento è questo.

L’Europa di oggi e il Mondo

Quale politica estera dovrebbe fare oggi l’Unione Europea? Generalmente si risponde a questa domanda evocando le immagini, alternative, di Europa come “hard power” (o Europa-potenza) oppure di “soft power” (Europa, come faro di principi e valori). Gli slogan non servono. Anche in tal caso è necessario procedere individuando fatti, principi e valori.

I fronti sui quali è necessario un ruolo più attivo dell’UE sono diversi e crescenti. A titolo esemplificativo: questione ambientale, guerre e tensioni internazionali, migrazioni, sanità, disparità economico-sociali tra le diverse aree del Mondo e altri ancora. I valori che possono ispirare l’azione dell’UE nel Mondo sono quelli insiti nel proprio DNA: la pace come risultato di un sistema normativo sovrannazionale (la res publica universalis), la sostenibilità come modello economico-sociale, la democrazia sovrannazionale come sviluppo della cittadinanza, con l’impronta delle lotte storiche di progresso per la libertà, la democrazia e l’uguaglianza.  Sono questi i valori che differenziano l’Unione Europea rispetto agli altri grandi attori politici nel Mondo.

Su quali principi va fondata la politica estera dell’Unione Europea? Questi principi, per essere efficaci, devono, valere non più solo per l’Europa, ma anche per il Mondo. Questo è già un nuovo principio che rivoluziona il tradizionale approccio nella politica estera degli Stati, che è determinato, ancor oggi, dal principio della ‘ragion di stato’[7].  Il federalismo, nella sua prospettiva mondiale, consente di superare questa ‘ragione’ (nazionale) che troverebbe, invece, nel diritto sovrannazionale le regole della propria sicurezza.

Si possono, dunque, formulare, in via generale, i seguenti principi per una politica estera europea, in assenza dei quali sarà difficile formulare politiche comuni, come pure modifiche ai Trattati esistenti.

  • La ricerca della “sicurezza internazionale”. Si basa sul principio che, in un mondo globalizzato, uno Stato è veramente sicuro se anche gli altri lo sono, se la sicurezza dell’uno è anche quella dell’altro. L’opposto degli attuali principi (io sono più sicuro se tu sei più debole). Ciò si traduce nella capacità di regolare – partendo da alcuni beni pubblici globali (ambiente, sanità, commercio internazionale, moneta, digitale, migrazioni e altro) – i rapporti tra gli stati sulla base di regole garantite da istituzioni sovrannazionali, non più dalla forza o dalla violenza (Kant). La guerra in Ucraina, ad esempio, ci mostra che si fronteggiano due principi radicalmente opposti. Il primo è quello rappresentato dalla Russia: si può attaccare un altro Stato perché siamo tutti Stati a sovranità assoluta, ci riconosciamo come tali (principio di Westfalia), dunque possiamo usare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. All’opposto, i Paesi UE sono Stati a “sovranità relativa” perché la loro azione è condizionata dalle istituzioni sovrannazionali alle quali si sono sottoposti, dunque, i loro rapporti sono ormai basati sul diritto e non più sulla violenza. Questa differenza è radicale. Uno dei due principi finirà per imporsi, tertium non datur. [8]L’Ucraina ha deciso di aderire all’UE, dunque di rinunciare alla sovranità assoluta che deriva da questa scelta. Tocca ora alla Russia effettuare un’analoga rinuncia, se l’UE sarà chiara nell’affermare il principio (alla base del suo progetto)  secondo il quale “la sicurezza  di uno Stato non può essere data da un ampliamento – operato con la forza – dei suoi confini, perché questo vuol dire meno sicurezza per gli altri”. Occorre invece creare assieme le strutture istituzionali di una sicurezza in Europa.  Si tratterà, in tal caso, con la fine della guerra, di avviare accordi tra una “nuova” Russia e UE sulle politiche concrete: transizione energetica, regole sul commercio, la libera circolazione (persone, merci, servizi e capitali) e l’interfaccia tra i nostri due mercati, con un’Ucraina europea, ma anche “ponte” con le realtà politiche e culturali che compongono la federazione russa.   Questo esempio del rapporto UE-Russia ci mostra che la “sicurezza internazionale” regolata da istituzioni comuni e sovrannazionali, può diventare il primo principio regolatore della politica estera dell’UE.
  • Il concetto di sovranità[9] va sostituito con quello d’interdipendenza tra gli Stati. Con la sovranità lindipendenza di ciascuno Stato è assicurata dalla sua forza, con la quale si misura il rapporto con tutti gli altri Stati. Con l’interdipendenza s’individua, invece, il punto capace di garantire una capacità autonoma, per ciascuno stato, nel concorrere al raggiungimento di un risultato comune, che s’intende condividere. Con la CECA, ad esempio, l’interdipendenza tra Francia, Germania e gli altri Stati, fu ottenuta con la creazione di un’Alta Autorità che organizzava e gestiva in comune la produzione e la distribuzione del carbone e dell’acciaio. Essa era il punto sul quale convergeva l’interesse e la sicurezza di tutti. Una soluzione analoga dovrà essere perseguita, sul piano globale, nel governo di beni pubblici mondiali. Si tratta di beni rispetto ai quali nessun Stato può essere del tutto sovrano, ma tutti sono costretti a essere interdipendenti se vogliono conseguire un risultato, controllandone l’esito
  • Il multilateralismo è il naturale sviluppo, sul piano globale, di ciò che l’allargamento ha rappresentato per la politica estera UE nel continente europeo. I “confini” dell’Europa non sono mai stati definiti, né possono essere tali una volta per tutte.  Il processo di unificazione non punta a creare uno Stato “delimitato”, bensì ad allargare i propri confini ogni qual volta la “ragione di stato” dell’UE esprime il bisogno di una maggiore sicurezza, condividendola con gli stati vicini che cercano, anch’essi, la stessa sicurezza, attraverso istituzioni sovrannazionali comuni.  Nel processo di unificazione europea ciò che noi chiamiamo “confine” (limes) é in realtà la “soglia” (limen)[10], che consente di immaginare le relazioni tra le diverse aree federali del mondo come open federation, cioè come strutture federali diverse, ma interagenti attraverso politiche d’interesse comune.

 

A differenza dell’esperienza storica della federazione americana, nata in un contesto storico-geografico marginale rispetto al problema del “governo del mondo” del tempo (allora rappresentato dalla sola Europa), l’unificazione europea s’incrocia, nello spazio e nel tempo, con il problema dell’unificazione mondiale.  Si pone perciò il problema di come l’unità federale (raggiunta in pratica la dimensione continentale in Europa) possa interfacciarsi con le altre grandi realtà del Mondo, per le quali vige ancora il concetto della sovranità assoluta dello Stato, cioè dello stato-potenza. L’UE deve differenziarsi da questo modello, diversamente entrerà in una logica di scontro di potere tra Stati sovrani, che ne snaturerebbe il ruolo. La sua reale forza sta nel costruire un sistema “multilaterale di stati”, volto alla creazione di “comunità globali” per perseguire le politiche comuni nei vari campi in cui solo una soluzione globale può essere efficace, cioè sotto controllo comune. Queste comunità globali, nei vari settori – collegate all’ONU – rappresenteranno la transizione verso un’Unione mondiale di Stati o Federazione Mondiale.

 

  • L’Unione Europea come “potenza normativa”, unita a una capacità di difesa secondo il principio della  dual army. L’avvio del multilateralismo nella politica estera europea può passare attraverso l’arma più forte di cui l’UE dispone: la capacità di produrre regole. È ciò che fa da settant’anni al proprio interno, avendo unificato, con l’arma del diritto, i cittadini dei suoi stati: nel consumo, nel commercio, nei trasporti, nella tutela dell’ambiente, nella gestione della moneta, nella tutela e nello sviluppo dei diritti umani, di cittadinanza e altro ancora. Sono le regole comuni che hanno creato, passo dopo passo, il cemento della nostra Unione, dunque l’unità politica. Su questo l’UE è “potenza” perché in nessun altro Paese del mondo si è sviluppato un processo simile di unificazione. Questo suo DNA, può essere utile (e vincente) per costruire l’unità mondiale. Perché con la costruzione di regole comuni dovranno fare i conti anche gli altri grandi player (USA, Cina, Russia, India …) che hanno lo svantaggio di non aver mai (o quasi mai) “giocato” a costruire regole comuni, bensì a imporle con la propria forza. Ora, se la pura forza militare non servirà più a risolvere i problemi del mondo, allora servirà l’Europa delle regole. La recente sentenza del Tribunale Penale Internazionale, fortemente voluto dall’UE (mandato d’arresto per Putin) ci mostra  questa “potenza” dell’Europa.

Anche sulla questione militare la soluzione europea del “dual army” (eserciti nazionali territoriali, a difesa dei singoli stati, più forza militare federale di rapido intervento) può rappresentare un modello per un mondo in marcia verso la sua unità. L’arma nucleare deve essere bandita, ciascun stato deve mantenere una propria difesa territoriale (come avvenne nell’esperienza americana), mentre ci deve essere una forza globale (al servizio dell’ONU) di intervento in caso di crisi regionali. L’UE dovrebbe dichiarare che la sua forza militare “federale” di rapido intervento sarà posta al servizio dell’ONU, come primo nucleo di una polizia mondiale.

Con questi principi sarà così possibile:

  • procedere alla trasformazione della Nato in una equal partnership, una condizione che, peraltro, costituirebbe la garanzia (per la Russia) che la fine della guerra in Ucraina non determinerà un rafforzamento del potere americano in Europa, bensì la nascita di una vera autonomia europea, condizione per costruire una effettiva “casa comune europea” tra UE e Russia. Questo è un passaggio cruciale perché mostrerà che l’UE non è più junior partner nel campo Occidentale, evitando così anche la pericolosa deriva della Russia verso la condizione di junior partner della Cina. C’è invece la necessità che il “nuovo ordine mondiale” si basi su un sistema multilaterale in cui, oltre a USA, UE, Cina e Russia, ci siano altri pilastri, di sostanziale simile forza politica, quali India, America Latina e Unione Africana.
  • costituire agenzie o comunità mondiali (di natura federale, come fu la CECA) per ambiente, sanità, commercio, controllo nucleare, digital frame, migrazioni etc. dotate di istituzioni e poteri d’intervento reali. Saranno proprio queste comunità specifiche a creare il primato del diritto universale su quello dei singoli Stati, da una parte; e quell’unità di fatto tra interessi globali che è necessaria per porre le basi di una democrazia universale, dall’altra. Anche sotto quest’aspetto il processo di unificazione europea costituisce un modello importante di riferimento.
  • avviare una riforma dell’ONU, con un Consiglio di sicurezza aperto alle grandi aree del mondo, il superamento del potere di veto e la nascita di un Parlamento mondiale.

La sicurezza reciproca multilaterale, basata sul principio d’interdipendenza, è il nuovo obiettivo che dovrà ispirare la politica dell’UE, per essere leader nella realizzazione della pace come valore globale. L’interdipendenza tra diverse entità politiche statuali è, allora, il reale fondamento del federalismo nel suo aspetto istituzionale, sia sul piano globale, sia nel rapporto tra il governo federale e i singoli governi nazionali in Europa (e, un domani, nelle altre aree del mondo), sia ancora a livello sub-statale, nel rapporto tra i diversi livelli di governo delle comunità locali (federalismo territoriale).

Fatti, come risultati dell’azione politica, principi, come guide che rendono possibili le politiche, valori, come portato di fatti e di principi, hanno dato corpo allo sviluppo del processo di unificazione europea. Non si può escludere che sarà così anche per il processo di unificazione mondiale, se si avvierà sul principio del diritto e non della violenza.

Conclusioni.

L’elezione europea del giugno 2024 può rappresentare una tappa importante nel cammino dell’Unione verso una più netta configurazione politica, se quest’elezione si manifesterà come una netta “scelta di campo” tra due opzioni fondamentali: o un’Unione più solida, più forte politicamente e istituzionalmente, dunque capace di agire, oppure un aumento del disordine mondiale. Ciò dipenderà essenzialmente dalla lotta delle forze politiche in campo, a condizione che: a) sappiano configurarsi come “partiti europei” di fatto; b) lottino come tali per conquistare la presidenza della Commissione europea, promuovendola come il “governo federale” dell’Unione. Perché è la lotta per il potere europeo che determinerà, in ultima istanza, la nascita di un potere europeo capace di agire ed autonomo rispetto a quello dei singoli Stati membri.

Occorrono, allora, programmi chiari e differenziati, sui temi della sicurezza e dello sviluppo, i due beni pubblici principali che determinano la fisionomia fondamentale di uno Stato. E occorrono leader che li sappiano interpretare e rappresentare. Sarà il sale di una democrazia europea compiuta, da cui far nascere un governo europeo reale, capace di avviare un nuovo corso per un Mondo in marcia verso la propria unità.

 

 

[1] Kenneth C.Wheare, Del Governo Federale, Il Mulino, Biblioteca federalista, 1997, prende in considerazione e analizza le differenze tra Stati uniti d’America, Svizzera, Canada e Australia e un modello “quasi-federale”, la Repubblica federale tedesca.

[2] Dal punto di vista teorico e d’idealità politica il processo di unificazione europea affonda le proprie radici in diversi documenti nati nel corso della Resistenza al nazi-fascismo. Tra questi, il più famoso è il “Manifesto per un’Europa libera e unita”, passato alla storia come il Manifesto di Ventotene, scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, con il contributo di Eugenio Colorni. S’indicava nella federazione europea l’alternativa alla secolare guerra tra gli stati, al suo modello (lo stato-nazione) e all’ideologia del nazionalismo. Analoghe indicazioni venivano già, negli anni Venti e Trenta dello scorso secolo, dallo stesso Luigi Einaudi (che criticava, sul Corriere della Sera, l’impotenza della Società delle Nazioni) e dagli intellettuali inglesi di Federal Union (Lord Lothian, William Beveridge, Lionel Robbins, Barbara Wootton e altri).

[3] Per un’analisi del concetto cfr. “Il gradualismo costituzionale” (Antonio Longo)  in Il Federalista, 2011, nr. 3 https://www.thefederalist.eu/site/index.php/it/interventi/857-il-gradualismo-costituzionale

[4] A. Padoa-Schioppa – Perché l’Europa. dialogo con un giovane lettore – Ledizioni, 2018

[5] In tal senso cfr. M. Albertini – L’ago della bilancia è la moneta – 1990 – in “Tutti gli scritti” – vol. IX – Il Mulino. Detto diversamente, l’unità europea assomiglia più al processo rivoluzionario che, nel corso di ottant’anni, plasmò il costituzionalismo inglese nel XVII secolo, piuttosto che al singolo atto ‘rivoluzionario’ della Pallacorda, da cui nacque lo Stato-nazione. È scritto anche nella Dichiarazione Schuman: “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.

 

[6] Malgrado i difetti, siamo in presenza di uno Stato di Stati (Ein Staat der Staaten), secondo la mirabile espressione con la quale i ragazzi della “Rosa Bianca” definirono, nel quarto volantino (1942), la loro idea dell’unità europea: non gerarchica (secondo la propaganda del tempo), bensì federale, come poi scrissero nel quinto volantino (cfr. La Rosa Bianca quarant’anni dopo (A. Longo) in Il Federalista, Anno XXVIII, 1986, Numero 2-3,

[7] Il concetto impiegato fa riferimento ai teorici del “sistema europeo degli Stati” quali Friedrich Meinecke e Ludwig Dehio. L’Unione europea, in un Mondo ancora diviso in Stati sovrani, è anch’essa soggetta al principio della “ragion di stato”. L’aggressione russa all’Ucraina, ad esempio, ha minacciato la sua sicurezza, spingendola a sostenere attivamente la resistenza ucraina. Sempre la ragion di stato spinge gli USA a sostenere l’Ucraina, per evitare un vuoto di potere in Europa che finirebbe per rafforzare la ripresa dell’espansionismo russo.

[8]  L’esito del conflitto ucraino vedrà, da un punto di vista meramente teorico, due possibili conclusioni alternative: 1) un negoziato sulla spartizione dei territori occupati e di confine: in tal caso, sarà chiaro che l’aggressione russa, alla fine, avrà pagato; 2) l’implosione/sconfitta dell’attuale regime di Mosca e l’accettazione, da parte di una nuova Russia, di entrare a far parte di un sistema di sicurezza in Europa, governato da istituzioni comuni. Così come la sconfitta di tutti gli Stati europei (vincitori e vinti) fu la condizione necessaria per avviare il processo di unificazione europea (è questa una precisa indicazione contenuta nel Manifesto di Ventotene), allo stesso modo la sconfitta politica di questa Russia costituisce la condizione per l’avvio di una fase nuova nel sistema dei rapporti internazionali.

[9] Il termine ‘sovranità’ non sta più in relazione con il nuovo mondo basato sull’interdipendenza tra gli Stati. È  termine assai antico che rimanda al potere del monarca assoluto e del sistema westfaliano degli Stati che postulava il riconoscimento reciproco degli Stati sulla base della loro indipendenza da ogni vincolo superiore (imperatore o Chiesa). È il modello che si è affermato con lo Stato-nazione, burocratico e accentrato. Il federalismo si basa sul principio opposto: il potere politico non è unico e indivisibile, ma si articola su diversi livelli di governo, ciascuno con le proprie prerogative di poteri e di competenze. In un mondo globalizzato nessuno Stato, neanche il più potente, è “sovrano”, nessuno può risolvere i problemi da solo, tutti sono “interdipendenti”, costretti a cooperare. La stessa “capacità di agire” degli stati (altra vecchia definizione della sovranità) non sta più solo nel potere di fare le leggi, di prendere iniziative o effettuare scelte politiche, bensì richiede anche la “capacità di controllare l’esito di ciò che si è deciso” (Mario Draghi). Se, infatti, non si è in grado di controllare gli esiti delle scelte politiche effettuate, in realtà non si è “sovrani”. Di fronte alle grandi sfide cui l’umanità si trova, questa “capacità di controllare l’esito delle scelte effettuate coincide con il livello in cui l’interdipendenza istituzionalizzata tra gli Stati è massima, cioè con la federazione mondiale.

[10] Sulla sostanziale differenza cfr. Mediterraneo: limes o limen?  (Annamaria Campanale) –  https://www.juragentium.org/forum/horchani/it/campanal.htm

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