Solidarietà costituzionale e rapporti d’affari

Con un orientamento inaugurato nel 1999 e divenuto sempre più frequente, i giudici italiani applicano agli ordinari rapporti contrattuali l’art. 2 Costituzione, nella parte in cui <<La Repubblica … richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale>>.
In concreto, per effetto di tali sentenze innovative e, a volte, imprevedibili anche da un interprete esperto, un operatore economico che abbia rispettato i dettami del codice civile e delle altre leggi ordinarie e che abbia intrapreso una costosa e lunga contesa giudiziaria nella fiducia di essere dalla parte della ragione, si vede dare torto per il fatto di non essere stato solidale con l’altro contraente. Il fatto che la Costituzione sia legge di rango superiore nella gerarchia delle norme, consente al giudice di trascurare il sistema delle leggi ordinarie e l’interpretazione faticosamente elaborata da cinquant’anni di giurisprudenza.

L’indirizzo ha ricevuto il plauso della maggior parte dei giuristi e un ampio consenso sociale. In particolare, nella situazione emergenziale creata dall’epidemia da Covid-19, gli appelli dei professori di diritto ai giudici, affinché, applicando il principio di solidarietà, inventino soluzioni non rinvenibili nella legge ordinaria, si sono moltiplicati.

Sul piano emozionale, questo modello di soluzione delle liti suscita una subitanea adesione: chi di noi alla domanda – ma tu vuoi essere solidale? – risponderebbe di no. È sufficiente, tuttavia, un minimo di riflessione per rendersi conto che l’indirizzo è a) errato e b) foriero di gravi conseguenze negative sull’economia.

a) Primo. La Costituzione contiene norme direttamente applicabili ai rapporti tra privati e norme che necessitano della mediazione del legislatore ordinario e l’art. 2 appartiene a questa seconda categoria. Spetta alla legge stabilire a priori modi e misura della solidarietà e non può il giudice imporli ex post. In effetti, il dovere imposto dall’art. 2 Cost. appare già realizzato con l’imposizione progressiva sui redditi (elevata) e con le imposte sugli affari, il cui ricavato viene utilizzato dallo Stato per consentire ai non abbienti l’accesso gratuito ai servizi essenziali, con le agevolazioni riconosciute alle società benefiche e alle cooperative a mutualità prevalente eccetera.
Secondo. Il contratto tra privati paritari (diversamente da ciò che avviene nei contratti di lavoro subordinato, nei contratti con il consumatore ecc.) non è il luogo della solidarietà, ma un affare, i cui protagonisti devono poter perseguire interessi egoistici con l’unico limite del rispetto della legge e del leale rispetto delle regole del gioco (buona fede).
Terzo. L’applicazione diretta della solidarietà si presta a soluzioni imprevedibili, perché il concetto appare avere contenuto diverso a seconda dell’ideologia in cui venga collocato. Solo per menzionare alcuni degli orientamenti politici di cui la solidarietà costituisce elemento portante, si possono ricordare: nazismo, fascismo, sindacalismo, dottrina sociale della Chiesa.
Infine, l’orientamento appare contrario al senso di giustizia, in quanto, anche volendo interpretare la solidarietà come espressione di un’ingenua esigenza di togliere a chi ha di più per dare a chi ha di meno, il giudice civile non ha il potere autonomo di accertare la reale consistenza patrimoniale delle parti. Anzi, se si esaminano le sentenze, si può osservare come i giudici si disinteressino della circostanza, tutelando non solo la posizione del contraente “apparentemente” più povero (come nel caso, deciso nel 2009, del riconoscimento del danno ai concessionari abbandonati in bocco dalla Renault, nonostante il recesso della Renault fosse stato contrattualmente previsto), ma anche quella del contraente più ricco (come nel caso, deciso nel 2019, del cliente della banca cui non si è consentito di far valere la nullità – stabilita a sua protezione – dei rapporti di investimento selezionando solo quelli svantaggiosi).

Insomma, i giudici utilizzano la solidarietà per inventare soluzioni ispirate al loro personale senso di giustizia.
b) L’imprevedibilità di queste decisioni nuoce al mercato, che ha necessità non tanto di soluzioni giuste a posteriori (ammesso che esista un criterio oggettivo per stabilire quali soluzioni siano giuste), quanto di regole certe a priori.

Se, in futuro, un giudice dovesse affermare che il debitore non è tenuto a rimborsare il prestito alla banca perché necessita del danaro per sottoporre sé o un proprio congiunto a una costosa e vitale operazione medica, quale banca presterebbe ancora danaro alle persone?

Se, in futuro, un giudice dovesse ritenere che il prezzo di vendita di un immobile liberamente pattuito era troppo alto perché il venditore era ricco e l’acquirente povero e senza abitazione, che ne sarebbe del mercato immobiliare?

Pretendere che non si cerchi di perseguire (lecitamente e lealmente) il proprio interesse, ma che si debba tener conto delle eventuali difficoltà dell’altro contraente, appare il risultato di un’idea utopistica, antistorica e antieconomica.

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