Archivio perché… archivio

Con il tacito consenso del Ministro della Giustizia, ogni anno il P.G. presso la Suprema Corte emette mediamente oltre 1200 provvedimenti d’archiviazione disciplinare, ma nessuno li può leggere

Lo scandalo delle Toghe Sporche è oggetto di procedimento penale presso la Procura della Repubblica di Perugia. Inoltre, tutte le condotte dei magistrati inquisiti o coinvolti a diverso titolo dalle intercettazioni pubblicate dalla stampa sono – o saranno –oggetto di indagine disciplinare da parte del P.G. della Suprema Corte. Infatti chi deve garantire il rispetto della legge da parte dei cittadini è tenuto innanzi tutto ad osservare i doveri sommi impostigli dal proprio statuto professionale: «Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni» (art. 1 del D. lgs. n. 109 del 2006).
Per legge, il P.G. ha l’obbligo di esercitare l’azione disciplinare, per prevenire che egli possa agire pro amico vel contra inimicum, mentre il Ministro della Giustizia ne ha soltanto la facoltà, che esercita in base a valutazioni sostanzialmente politiche.
In realtà, a fronte di una notizia disciplinare, con motivato provvedimento il P.G. può discrezionalmente archiviare se il Ministro non si opponga espressamente, giacché, per effetto della riforma Mastella risalente al 2006, è stata abrogata la disposizione che riservava al C.S.M. la declaratoria di non luogo a procedere richiesta dal P.G. Al C.S.M., titolare del potere sanzionatorio nei confronti dei magistrati ordinari, pervengono quindi soltanto le notizie disciplinari discrezionalmente non archiviate dal P.G. È tanto palese quanto cospicua, dunque, la differenza rispetto al procedimento penale, in cui il P.M., altrettanto obbligato all’esperimento dell’azione penale, può soltanto prospettare al Giudice l’archiviazione. Per altro, in sede disciplinare il P.G. può archiviare anche in fattispecie alquanto elastiche perché, per legge, «L’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza».
Non è l’unica grave anomalia del sevizio disciplinare: malis mala succedunt. Con sentenza 6 aprile 2020 n. 2309 – in netto contrasto con lo spirito della sentenza dell’Adunanza Plenaria 2 aprile 2020, n. 10 – il C.D.S. ha statuito che l’archiviazione del P.G. è accessibile soltanto al Ministro della Giustizia, restando perciò interamente opaca per l’autore della segnalazione disciplinare e perfino per il magistrato indagato e il C.S.M. Il Giudice amministrativo ha infatti considerato ostativo all’ostensione il decreto n. 115/1996 del Ministero della Giustizia, assumendo tra l’altro che tale provvedimento «si riferisce al rapporto di “dipendenza” lavorativa presso il Ministero, non anche ad un rap-porto di dipendenza “gerarchica” del personale dall’amministrazione». È di tutta evidenza, tuttavia, che non solo il rapporto di servizio dei magistrati ordinari, ma anche il loro procedimento disciplinare sono regolati, per disposto costituzionale, da una normativa specifica, ben diversa da quella che regola i dipendenti ministeriali non investiti di funzioni giurisdizionali, sicché è quanto meno azzardato ventilare che il Magistrato ordina-rio ‘dipenda’ dal Ministro. D’altra parte, neppure il P.G. si adegua alla ricordata decisione del C.D.S., perché di regola egli, allorché l’autore dell’esposto disciplinare chieda di conoscerne l’esito, risponde che l’indagine è stata archiviata, rifiutando l’ostensione della sola motivazione. Talvolta inoltre, sfuggendo al proclamato segreto e alla decennale prassi, è dato leggere in articoli di dottrina giuridica interi stralci della motivazione dell’archiviazione disciplinare.
Perché sono importanti i predetti rilievi? Perché nel periodo 2012-2018 (sette anni) risultano iscritte mediamente ogni anno n. 1380 notizie d’illecito disciplinare (segnalazioni con cui avvocati o cittadini denunciano abusi dei magistrati). Ogni anno il 91,6% di tali notizie (cioè n. 1264) è stato archiviato dal P.G. e quindi soltanto per n. 116 di esse è stata esercitata l’azione disciplinare. Consegue che mediamente ogni anno oltre 1260 archiviazioni sono destinate al definitivo oblio, sebbene conoscerne la motivazione è tanto importante quanto apprendere le ragioni (a tutti accessibili) per cui le sanzioni vengono disposte dal C.S.M. La ‘casa’ della funzione disciplinare, pilastro e primo avamposto della legalità, è dunque velata senza alcuna concreta ragione. Non è così in-fatti per altre archiviazioni. In ambito penale, se sia stata emessa l’archiviazione, qualunque interessato (indagato, terzo, denunciante o querelante) normalmente ha diritto di averne copia (art. 116 c.p.p.), essendo venute meno le ragioni della segretezza. Le archiviazioni disciplinari nei confronti degli avvocati sono d’ufficio notificate per intero al denunciante (Art. 14, 2° del Regolamento 21 febbraio 2014, n. 2); anche quelle nei con-fronti dei magistrati amministrativi sono ostese a chiunque ne abbia interesse (C.D.S. sentenza n. 1162/2012). La segretezza delle archiviazioni disciplinari del P.G. è quindi un inquietante unicum, specialmente a volere considerare che la Corte Costituzionale ha sancito da tempo «l’abbandono di schemi obsoleti, ereditati dalla legislazione anteriore e ancora attivi dopo l’entrata in vigore della Costituzione, imperniati sull’idea, che rimandava ad antichi pregiudizi corporativi, secondo cui la miglior tutela del prestigio dell’ordine giudiziario era racchiusa nel carattere di riservatezza del procedimento disciplinare» (sent. n. 497/ 2000). Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha sposato il principio generale della trasparenza (delibera del 5.3.2014).
Le indagini penali nei confronti di taluni magistrati membri del C.S.M., coinvolti nello scandalo delle Toghe sporche, inevitabilmente hanno avuto – o avranno – anche un risvolto disciplinare. Se in qualche caso il P.G. archiviasse – com’è in suo potere – non ne sapremo mai la ragione; eventuali archiviazioni in sede penale sarebbero invece accessibili. Absurdissimum, se si considera che, in sede disciplinare (come in sede penale), per il magistrato indagato l’archiviazione rappresenta l’esito più fausto e ambito (una … medaglia al valore giudiziario), anche rispetto alla sentenza di assoluzione emessa dal C.S.M. o dalle Sezioni Unite (a tutti accessibile).
Mai come in questo momento si rivela fondamentale il principio generale della trasparenza: «Dove un superiore, pubblico interesse non imponga un momentaneo segreto, la casa dell’amministrazione dovrebbe essere di vetro.» (Filippo Turati, in Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, sess. 1904-1908, 17 giugno 1908, p. 22962). Dopo oltre un secolo, introdotta finalmente la legge sulla trasparenza (D. lgs. n. 33/2013), è tempo che, specialmente in questa grave contingenza storica, anche la casa dell’archiviazione disciplinare cessi di essere opaca senza alcuna plausibile ragione. Se la decisione amministrativa o giurisdizionale si distingue da «un pugno sul tavolo» soltanto in virtù della motivazione, non è ormai accettabile che, al cittadino che abbia segnalato qualche abuso dei magistrati, si risponda dicendo: archivio perché …archivio!
La rinascita della magistratura, ‘disfatta’ dai recenti scandali, ne presuppone la più ampia, spontanea e convinta trasparenza.

 

[1] R. RUSSO, Giustizia è sfatta. Appunti per un accorato necrologio, 8 gennaio 2020, in Judicium.it, diretto dal prof. B. Sassani.

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