Un appello in favore della libertà

Il momento è delicato, sotto tutti i punti di vista. Probabilmente le cose cambieranno, una volta passata la crisi sanitaria. Cambierà il modo di vedere il mondo, magari in senso meno idolatrico del progresso, quasi che questo fosse una linea retta “necessaria”. Cambierà il modo di vedere l’uomo, non più come un essere che domina la natura, che la soggioga a proprio piacimento. È la sua precarietà, infatti, a costituire la cifra essenziale del suo essere, del suo agire.

Cambierà tanto, questo è praticamente certo. Ma sarà anche il momento per orientare questo cambiamento, per elaborare idee, per riflettere su quale direzione provare a prendere. Certo, l’uomo non può manipolare la realtà come se questa fosse un manichino. Le conseguenze inintenzionali delle azioni umane continueranno a manifestarsi. Dopo tutto, fa parte dell’uomo, della sua costitutiva fallibilità e della sua ignoranza, il fatto che non tutto – anzi, molto poco – sia pianificabile e prevedibile nei suoi esiti. La libertà, di fatto, non può prescindere da questa sua dimensione “aperta”: aperta al rischio, all’incertezza, al dubbio. Insomma, libertà significa non avere la presunzione di disegnare con una matita il futuro, cancellando il passato, comprimendo il presente. Libertà significa responsabilità, se si vuole trovare una parola che si lega imprescindibilmente ad essa. Proprio per questo motivo, sarà necessario rifare i conti con noi stessi e con alcuni elementi della nostra vita.

In ragione di ciò, Carlo Lottieri, professore di filosofia del diritto presso l’Università di Verona e direttore del Dipartimento di Teoria Politica presso l’Istituto Bruno Leoni, ha lanciato un appello per la libertà (pubblicato su alcuni quotidiani come “Il Giornale” e rilanciato poi in rete). Un appello volto a far comprendere quanto, nelle condizioni attuali, ma soprattutto prima che scoppiasse la pandemia quanto la parola libertà fosse soffocata da un virus, ben più pericoloso e subdolo del Covid-19, giacché non combattuto, ma addirittura promosso dagli stessi individui: questo virus è lo statalismo. Un virus insidioso perché deresponsabilizza le persone, inaridisce i legami sociali, guasta la cooperazione sociale, promettendo sicurezza, benessere, prosperità. Il rischio che si intravede in molte dichiarazioni di politici, ma anche in esponenti della società civile, è quello di incrementare ulteriormente l’azione dello stato a scapito della società, delle persone, delle comunità prepolitiche esistenti, una volta terminata l’emergenza sanitaria. A scapito della libertà, in definitiva.

L’appello contro la pandemia statalista (cui si può aderire inviando una e-mail al seguente indirizzo: [email protected]) è stato firmato, tra gli altri, da docenti universitari – si pensi, solo per fare dei nomi, a Sergio Belardinelli, Raimondo Cubeddu, Lorenzo Infantino – giornalisti, editori, imprenditori, proprio per sottolineare come vi siano ancora, fortunatamente, molteplici energie che hanno a cuore la libertà e sono consapevoli del rischio molto concreto che il post-coronavirus comporti un’ulteriore, soffocante e forse mortale ferita alla società. Tagli alla spesa pubblica, riduzione delle norme, eliminazione per ogni imposta diretta nell’anno corrente: questi sono alcuni dei punti cardine dell’appello liberale lanciato dal docente bresciano.

«Di una sola cosa, non so come mai, la natura non trasmette agli uomini il desiderio: la libertà, un bene così grande e dolce che una volta perduto sopravvengono tutti i mali possibili, e anche i beni che restano perdono del tutto il loro gusto e sapore, corrotti dalla servitù», scriveva Étienne de La Boétie nel “Discorso sulla servitù volontaria”. Se il destino non è nella disponibilità totale degli individui, questi, tuttavia, possono scegliere che strada provare a solcare: se quella della libertà e della responsabilità, o quella dello statalismo e della schiavitù. La prima strada è quella della vita: rischiosa e burrascosa, senza dubbio, ma certamente più umana e degna di essere vissuta.

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