Pandemia Coronavirus – La vera sfida: disegnare il domani | tre proposte d’azione concreta

La pesante emergenza con la quale tutti noi ci stiamo confrontando pone nell’immediato problemi di ordine medico, logistico e organizzativo indubbiamente ardui da affrontare e tuttavia solo esempi minori di ciò che attende Governi, sistemi economici e comunità nel prossimo futuro, quando la crisi sarà superata e si dovrà iniziare la fase della ripresa.
Più volte ascoltiamo in questi giorni commentatori, Amministratori ed esperti – forse troppi – lanciare lo slogan “nulla sarà come prima”. Ciò è indubbiamente vero, ma i cambiamenti devono essere orientati e per quanto possibile controllati per evitare che travolgano la società come oggi la conosciamo, lasciando sul terreno persino più vittime di quelle causate dal morbo.Il momento è indubbiamente delicato e non solo per l’insorgere della pandemia, di per sé sufficiente a porre sotto stress sistemi già in affanno, ma pure perché il suo manifestarsi coincide con altri fenomeni di portata epocale: stravolgimenti ambientali, pressione demografica, rivoluzione tecnologica, globalizzazione dei circuiti finanziari, competizione tra potenze geo-politiche, e altri ancora se ne potrebbero elencare.
La reazione deve essere improntata pertanto a pragmatismo e capacità d’intervento a più livelli, innanzitutto nell’intento di evitare il collasso del tessuto sociale ed economico esistente, per porre poi le basi per una sua più profonda ristrutturazione.
Le propongo di seguito tre tra questi interventi, a valere quali esempi di un nuovo modo di vedere e immaginare il mondo che verrà, dalla macro alla nano-dimensione.
La prima linea d’azione prefigura l’introduzione di uno strumento d’intervento rapido in campo economico.
È di questi giorni il naufragio del Consiglio Europeo che avrebbe dovuto trovare una risposta comune alla recessione, a rischio complicazione in depressione, in graduale propagazione nel Continente. L’emergenza ha semplicemente fatto emergere visioni e valutazioni divergenti sulle dinamiche di governo della finanza pubblica da tempo consolidate.
Qualche soluzione verrà, ma la sensazione è si tratterà di un compromesso abborracciato.
I riflessi tuttavia non sono stati unicamente negativi.
In effetti, si è posto grande accento sulla spaccatura tra Olanda, Germania e altri Paesi del Nord, da un lato, e Italia, Francia, Spagna, dall’altro. Non si è invece sottolineata con altrettanta enfasi la convergenza maturata tra alcuni Paesi mediterranei, Italia in testa, e Portogallo, Belgio, Lussemburgo e Irlanda.
Eppure, il raggruppamento di nove Stati membri, uniti nella richiesta di attivare i Coronabond, se non addirittura gli Eurobond, rappresenta in termini economici, politici e demografici una comunità nella comunità.
Si potrebbe ripartire da qui.
A questi Paesi, a noi vicini anche empaticamente nell’impegno ad intervenire, potrebbe essere avanzata la proposta per la creazione di una Cooperazione Rafforzata in campo economico-finanziario – possibilità prevista dai Trattati UE – da implementarsi con la sponda operativa della Banca Europea degli Investimenti, sinora tenuta ingiustamente in scarsa considerazione, essendo l’attenzione polarizzata sulla BCE.

Una modesta dotazione individuale da parte dei singoli Stati Membri aderenti consentirebbe invece la creazione di un plafond di risorse che, integrato da una corrispondente dotazione BEI, potrebbe essere utilizzato quale controgaranzia per un fondo assicurativo a favore delle piccole e micro-imprese europee.
Grazie al Fondo e alle già esistenti convenzioni bancarie tra BEI e intermediari nazionali, i richiedenti –commercianti, piccoli artigiani, start-up e persino professionisti – potrebbero sottoscrive una semplice polizza assicurativa, versare un minimo premio e accedere immediatamente ad una linea di finanziamento senza garanzie reali, erogata a prescindere da rating e dati contabili e di bilancio, inevitabilmente dissestati a causa della situazione contingente. Moratoria iniziale, tassi agevolati (persino tasso-zero) e personalizzazione delle formule di rientro potrebbero completare lo strumento.
L’intervento tecnico, sostanzialmente riproducente il meccanismo alla base dei consorzi di garanzia che ben conosciamo, potrebbe apparire grezzo, ma la sua portata sul territorio sarebbe di immediato e visibile impatto.
Non dovrebbe sfuggire poi la portata politica di un tale gesto di reazione tangibile tra Stati Membri solidali tra loro, a provocare una reazione sistemica in un momento in cui l’impasse dei Partner europei rende ancora più drammatico il momento che stiamo vivendo.

Il secondo intervento interessa un livello decisamente più nazionale.
Nei paesi occidentali – si noti, non in Cina o in altri Paesi asiatici – la crisi del coronavirus è stata prima di tutto un default dei sistemi sanitari esistenti. Emblematica in tal senso la débâcle della sanità lombarda, passata nel giro di poche settimane da un’immagine di eccellenza globale a disarmanti scene di isteria collettiva e sbandamento organizzativo. Asimmetrie decisionali, errori nell’allocazione delle risorse, ritardi e inefficienze nelle risposte dei presidi, scambi di reciproche accuse sull’inadeguatezza nella catena degli approvvigionamenti di uomini, materiali ed attrezzature hanno richiamato ai più le cronache della disfatta di Caporetto, vicenda storica che si ripresenta a cento anni di distanza a ferire nuovamente la memoria collettiva, lasciando cicatrici difficili da eliminare.
Ad un’analisi oggettiva, non sfugge peraltro l’analoga vicenda della sanità spagnola.
Entrambi i sistemi, quello spagnolo e quello italiano, poggiano su fondamenta di marcato decentramento, con i poteri gestionali del servizio e della sua strutturazione sul territorio affidati alle Regioni. In Francia, Germania e persino Regno Unito – al di là delle scelte di carattere politico adottate – il Servizio dipendente dal centro ha risposto meglio. Molto meglio.
Sarà opportuno prenderne atto, ripensando all’opportunità di rivedere la distribuzione di poteri e risorse, in un quadro che a tutta evidenza pone e riproporrà in futuro pressioni di natura sovra-regionale e sovra-nazionale ben diverse dalla gestione delle liste d’attesa o dei programmi di cura di routine. I primi segnali ci sono, pare opportuno insistere su questo tema.
Infine, un piano d’azione nano, destinato però ad incidere – assieme ad altre rivoluzioni appena accennate in questi giorni – sulla nostra vita quotidiana.
L’emergenza ci ha tutti confinati in casa. Ci siamo ritrovati fisicamente concentrati nella più piccola dimensione di comunità che si possa immaginare, quella della famiglia. Anzi, per alcuni si è trattato di una scala ancora inferiore, quella dell’individuo. A queste unità, in particolare a quelle calate in scenari urbani, ma non solo, ci si deve indirizzare con un programma mirato di sostegni volto a promuovere forme – già sperimentate – di minimo sostentamento alimentare. Lo slogan “restate a casa” non fornisce, lo si è visto bene in questi giorni, una risposta alle esigenze di sopravvivenza delle famiglie e, almeno in Italia, non è stato possibile organizzare una distribuzione porta a porta di cibo.
Nel giro di un mese, abbiamo visto entrare in crisi la filiera agricola globale.
Si dovrebbe dunque ripartire dall’individuo, per ideare e poi diffondere capillarmente il modello delle colture di prossimità, ripensate e reinventate, calandolo a livello di singolo condominio e persino di singola unità familiare. Le più avanzate tecnologie possono consentire la realizzazione di nano-unità di produzione ad altissima resa con un minimo dispendio di risorse, energia, acqua e fertilizzanti biologici.

L’indotto generato e gli effetti prodotti – che non escludono la possibilità di una rivendita su mercati di micro-dimensione – disegna nuovi concept di micro-azienda.
L’idea può far sorridere, ma è meno ingenua di quel che potrebbe sembrare.
Consente di attuare infatti un modello di valorizzazione del potenziale racchiuso nelle famiglie, a sua volta motore di un più ampio ridisegno dei servizi alla persona che sarà tra le eredità più tangibili della crisi in atto, in una logica che comprenderà il crescente ricorso al telelavoro, all’educazione a distanza, allo shopping online e, last but not least, alla telemedicina.
La famiglia, il suo nucleo più intimo e vitale, ritorna al centro dei mega-sistemi.
Tutto ciò avrà il potere di riplasmare persino l’ambiente fisico che ci circonda, ad incominciare appunto dalle nostre case.

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