Atac, tutte le strade portano a Roma (e si fermano lì)

E dire che Roma le ha provate tutte. Da sinistra a destra, passando per l’esperimento a cinque stelle il declino sociale ed economico che investe una delle più antiche metropoli del mondo appare inesorabile.

Non si tratta solo di debiti e fondi mancanti: a Roma manca una idea, manca un obiettivo strategico che le permetta di tornare, come meriterebbe, nel novero delle moderne capitali del mondo occidentale.

La già nota situazione delle condizioni delle reti idriche, grazie ad un abile e tragicomico rimpallo tra diverse amministrazioni politiche, ha portato alla luce una criticità che a Roma, in quasi duemilaottocento anni di storia, non si era mai vista né sentita, rendendo così l’idea di quanto tale realtà urbana stia regredendo sempre di più rispetto al suo storico e risalente passato.

Nell’antichità nessuna civiltà aveva retto per così tanti secoli al corso degli eventi come Roma, la quale, invece, seppe rappresentare una felice eccezione proprio per il livello di raffinatezza e di modernità nella costruzione di strade ed acquedotti tramite i quali riuscì a governare un vastissimo territorio che si estendeva dalla Scozia all’Iraq.

Una capacità che, in questi ultimi vent’anni, sembra essersi persa nel mare magnum di una burocrazia elefantiaca che sta relegando, progressivamente, la Capitale d’Italia nelle peggiori posizioni delle classifiche settoriali.

I problemi finanziari ed amministrativi di Atac hanno reso il trasporto pubblico locale uno degli esempi più imbarazzanti di modello a gestione pubblica che continua, anno dopo anno, a consegnare ai romani una serie record di inefficienza, facendo così strage dei più elementari principi di buon andamento della pubblica amministrazione.

Basti pensare che, rispetto a soli tre anni fa, sono più di seicentomila le corse su strada soppresse e per più del cinquanta per cento a causa dei continui guasti alle vetture che raggiungono, a loro volta, la veneranda età media di dodici anni per mezzo.

Come se non bastasse, in sfregio ai più elementari principi dell’aritmetica gestionale, siamo di fronte ad una azienda la quale, pur potendo contare su circa dodicimila dipendenti, produce ed incassa meno rispetto ad aziende omologhe del settore che contano, invece, su un numero decisamente minore di occupati.

Rimane un mistero, quindi, come possano essere annullate circa il cinquanta per cento delle corse della metropolitana a causa della mancanza del personale.

Non solo. Se pure fossimo di fronte ad un modello di servizio pubblico sano ed efficiente, paradossalmente, la situazione non cambierebbe molto.

I circa seimila chilometri di strade, dal centro storico alla periferia, sono infatti disseminati, per circa l’ottanta per cento, da avvallamenti che misurano più di trenta centimetri. Ripararli costerebbe circa un miliardo di euro, quasi la stessa cifra del costo che la pubblica amministrazione dovrebbe sostenere per ripianare la situazione debitoria di Atac.

Grazie a questi numeri, riferiti al solo comparto del trasporto pubblico locale e della viabilità, oggi, la Capitale d’Italia sta riscrivendo la sua storia al contrario, smentendo così quelle regole basilari che vedono l’accesso all’acqua e il funzionamento, pur minimo, del trasporto pubblico come le basi per la vita di una comunità moderna e civile in tempo di pace.

Chissà se, tra vent’anni, si riuscirà pure a cambiare gli storici aforismi che, a distanza di millenni, ricordavano l’Urbe come il centro del delle vie mondo: da tutte le strade portano a Roma a tutte le strade si fermano a Roma il passo è, mai come stavolta, a portata di mano.

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