Il 4 aprile Paul Krugman, Premio Nobel per l’economia nel 2008, ha tenuto, su invito del Consiglio Nazionale degli architetti, una lectio magistralis presso l’Aula Magna dell’Università di Padova sul rapporto tra architettura, economia urbana e benessere. La città ha sempre rappresentato uno spazio libero di confronto e la scelta isolazionista dell’attuale amministrazione americana, ha sottolineato Krugman con lo sguardo rivolto al presente, nega le ragioni della società aperta e lo spirito della Polis. L’attacco di Donald Trump al mondo della cultura, ha aggiunto Krugman durante l’intervista alla piattaforma multimediale dell’Università di Padova, fa pensare che, in altri tempi, gli attuali governanti americani avrebbero consegnato Galilei alla Santa Inquisizione.
Queste considerazioni sollevano una questione emersa in varie forme nel corso della storia americana, come è stato ampiamente documentato da Richard Hofstadter nel 1962 in Anti-intellectualism in American life, (tradotto in italiano da Einaudi nel 1968). Il testo (Premio Pulitzer nel 1964) torna adesso in libreria con una prefazione di Tom Nichols e una introduzione di Sergio Fabbrini (R. Hofstadter, L’odio per gli intellettuali in America, Luiss University Press, 2025).
L’origine degli Stati Uniti, scriveva Hofstadter, rinvia a una élite in cui convergevano potere economico e qualità intellettuali, come dimostrano le figure di John Adams, Benjamin Franklin, Alexander Hamilton, Thomas Jefferson. In seno alla stessa élite emersero però delle contraddizioni ancor prima che si consolidasse il movimento democratico. La generazione che stilò la Dichiarazione d’indipendenza e la Costituzione, precisa infatti Hofstadter, redasse anche gli Alien and Sedition Acts, leggi, approvate nel 1798 e sostenute dall’allora Segretario di Stato Timothy Pickering. Queste leggi, che l’attuale governo americano considererebbe esemplari, prevedevano una limitazione delle richieste di cittadinanza, classificavano come nemico qualunque cittadino di una nazione in conflitto con gli Stati Uniti e contemplavano l’espulsione di quanti avessero mosso critiche al Congresso o all’esecutivo. Jefferson si oppose a queste norme e, durante la sua presidenza, riuscì ad abrogarle parzialmente.
Le riserve sugli intellettuali erano diffuse mentre i Padri Fondatori erano ancora in vita, come confermano gli attacchi subiti persino da George Washington e da Jefferson. Il delegato della Carolina del Sud, William Loughton Smith, lo accusò infatti, nel 1796, di essere un astruso dottrinario, del tutto inadatto a reggere lo stato. In Jefferson Smith riconosceva quel che per lui era il tratto tipico del filosofo : la “tendenza a ragionare partendo da determinati principi anziché dalla natura vera dell’uomo”. La politica richiedeva, a suo avviso, un forte carattere, non un raffinato intelletto. Lo aveva dimostrato Washington, che “non era un filosofo. Se lo fosse stato, noi non avremmo mai visto le sue grandi imprese militari”. Argomenti analoghi furono in seguito utilizzati contro John Quincy Adams, che, in una fase storica segnata dal “declino del gentleman” descritto da Hofstadter, appariva, in molti ambienti popolari, più debole rispetto all’energico Andrew Jackson.
Nella common school, come nelle università e nei colleges, si privilegiava l’aspetto morale e pratico su quello cognitivo. Hofstadter rileva come questo sentire fosse in qualche modo condiviso da tanti uomini colti e dallo stesso Jefferson, il quale, in una lettera del 1787 al nipote Peter Carr, scriveva che, se discutessimo di una questione morale con un contadino e un professore, il primo potrebbe offrici la soluzione più saggia, proprio perché “non è stato fuorviato da norme artificiali”.
I movimenti populisti trovavano alleati tra i fondamentalisti delle diverse confessioni religiose, che scorgevano nella formazione laica e nel pensiero scientifico delle insidiose minacce nei confronti delle credenze tradizionali. La popolazione comune, che fino al Novecento accedeva raramente alle high schools, si dimostrò ostile verso contenuti e metodi che riteneva nocivi per l’educazione dei giovani. Nonostante l’avversione dei conservatori per la teoria darwiniana, nel 1909 l’evoluzionismo fu inserito nei programmi scolastici. Dieci anni dopo, però, nel Tennessee e in altri stati, il darwinismo fu messo sotto accusa e un docente, John Scopes, fu processato per averne parlato agli studenti. La caccia alle streghe, commenta Hofstadter, avrebbe individuato, in seguito, nemici altrettanto pericolosi nel marxismo, in Freud e in Keynes.
Durante la campagna elettorale del 1952, che vide contrapposti il democratico Adlai Stevenson e il repubblicano Dwight D. Eisenhower, fece la sua comparsa il termine “teste d’uovo” (eggheads), che il romanziere Louis Bromfield attribuì a “individui con pretese intellettuali”, a suo parere superficiali, nonostante fossero generalmente professori. Muovendo da queste premesse, Bromfield delineava il profilo psicologico di una “testa d’uovo”, che per lui coincideva con un intellettuale liberal, un soggetto “iperemotivo e femmineo nelle sue reazioni di fronte a qualsiasi problema”. Tutto ciò portava a concludere che Stevenson e i democratici non erano in grado di comprendere le esigenze delle persone comuni.
Per la destra la stessa ricerca scientifica poteva trasformarsi in un ostacolo in seno al Dipartimento della Difesa, dal momento che gli scienziati tendevano a sfuggire al controllo dei militari. L’ostilità si rivolgeva in modo indiscriminato tanto ai professori di Harvard, quanto, agli gli intellettuali ”dalle idee contorte” che frequentavano il Dipartimento di Stato. Nella stampa conservatrice degli anni Cinquanta i liberal della East Coast erano descritti come degli snob, insofferenti verso “la gente del grande Midwest, cioè del cuore dell’America”.
La politica culturale aggressiva nei confronti delle grandi università, attuata da Trump, da J. D.Vance e dai loro collaboratori, attinge dunque a piene mani da questo arsenale complottistico-paranoico, in cui il senatore Joseph McCarthy svolse un ruolo essenziale, dichiarando, nel 1951, che una “cospirazione di scala immensa” minacciava gli Stati Uniti. Riviveva così, scrive Hofstadter in Lo stile paranoide nella politica americana (1964), il tono di un manifesto del partito populista del 1895, che metteva in guardia da “una cospirazione in corso”. Sempre nel 1951, McCarthy accusava il segretario di stato George C. Marshall di “servire la politica del Cremlino” e di aver contribuito, con il suo Piano, al declino della potenza americana. Il continuatore della crociata maccartista fu poi, commenta Hofstadter, un fabbricante di dolciumi, R. H.W.Welch Jr., che non si limitò ad accusare Marshall o Roosevelt, ma coinvolse lo stesso Eisenhower, definito “un agente scrupoloso e consapevole della cospirazione comunista”.
Il tema della cospirazione europea contro l’America non è dunque nuovo, come sottolinea Hofstadter, che, nel saggio sopra citato, riporta un articolo, pubblicato su un giornale texano nel 1855, in cui le monarchie europee e la Chiesa di Roma erano accusate di ordire una congiura antiamericana. Quando Trump dichiara che l’Europa vuole “fregare” gli Stati Uniti, ripropone, in forma lievemente diversa, vecchie immagini della propaganda populista. Dopo la fine della guerra fredda gli strenui sostenitori del complotto hanno dovuto individuare nuovi nemici, che hanno assunto il volto dell’Unione Europea, degli scienziati che studiano la crisi climatica o delle case farmaceutiche che producono i vaccini, contro cui si scaglia il ministro No-vax della sanità Robert Kennedy Jr. La voce critica degli intellettuali risulta allora dissonante e viene messa a tacere, per lasciare spazio al ruolo strumentale degli esperti, chiamati a dar parvenza di legittimità alle decisioni dell’istituzione che li ha nominati.

È presidente del Collegio Siciliano di Filosofia. Insegna Storia della filosofia moderna e contemporanea presso l’Istituto superiore di scienze religiose San Metodio. Già vice direttore della Rivista d’arte contemporanea Tema Celeste, è autore di articoli e saggi critici in volumi monografici pubblicati da Skira e da Rizzoli NY. Collabora con il quotidiano Domani e con il Blog della Fondazione Luigi Einaudi.