Decreto legge “Natale senza i tuoi”: istruzioni per l’uso

Il decreto legge che regolerà i nostri comportamenti durante le “vacanze” di Natale è rimasto orfano di un nickname (niente ristoro, rilancio, salvaitalia, curaitalia  e altre amenità) e allora ho deciso di proporre io come chiamarlo: decreto “Natale senza i tuoi”.

A leggerlo si capisce bene perché i governanti che tanto hanno coccolato i suoi “fratelli maggiori” abbiano ripudiato quest’ultimo, rifiutando anche di assegnargli un nome.

O meglio, a leggerlo non si capisce niente: hai bisogno di un avvocato per sapere quali sono le “regole di Natale” per l’emergenza COVID. Oppure devi fidarti acriticamente della sintesi che ti viene fatta da giornali, televisioni, siti istituzionali pubblici e conferenze stampa autorevoli.

Ma non è detto che tali sintesi siano corrette e, anzi, almeno in un punto eclatante non sono certamente corrette.

Se non mi credete, leggete, o meglio scorrete velocemente, il vero testo del decreto legge 18/12/2020 che detta le “Misure urgenti per le festività natalizie e di inizio anno nuovo” così come pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e fatemi sapere cosa avete capito:

“1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 2 dicembre 2020, n. 158, nei giorni festivi e prefestivi compresi tra il 24 dicembre 2020 e il 6 gennaio 2021 sull’intero territorio nazionale si applicano le misure di cui all’articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2020; nei giorni 28, 29, 30 dicembre 2020 e 4 gennaio 2021 si applicano le misure di cui all’articolo 2 del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2020, ma sono altresì consentiti gli spostamenti dai comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti e per una distanza non superiore a 30 chilometri dai relativi confini, con esclusione in ogni caso degli spostamenti verso i capoluoghi di provincia. Durante i giorni compresi tra il 24 dicembre 2020 e il 6 gennaio 2021 è altresì consentito lo spostamento verso una sola abitazione privata, ubicata nella medesima regione, una sola volta al giorno, in un arco temporale compreso fra le ore 05,00 e le ore 22,00, e nei limiti di due persone, ulteriori rispetto a quelle ivi già conviventi, oltre ai minori di anni 14 sui quali tali persone esercitino la potestà genitoriale e alle persone disabili o non autosufficienti conviventi.

2. Durante l’intero periodo di cui al comma 1 restano ferme, per quanto non previsto nel presente decreto, le misure adottate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35. 3. La violazione delle disposizioni del presente decreto e di quelle del decreto-legge 2 dicembre 2020, n. 158, è sanzionata ai sensi dell’articolo 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35.”

Il cittadino che volesse adeguare la propria condotta non a quello che gli viene detto in una conferenza stampa o che legge sui giornali o ascolta in televisione ma, come dovrebbe,al testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non saprebbe da dove iniziare.

E anche un operatore tecnico, a partire dalle forze dell’ordine, si troverà in gravi difficoltà nel mettere in esecuzione un testo normativo siffatto.

Ad essere generosi non si capisce niente. Ad essere obiettivi è sconcertante che le misure di contrasto a un fenomeno grave come quello pandemico siano contenute in una sorta di scioglilingua crittografato completo di “caccia al tesoro” per la ricerca dei testi normativi dai quali estrarre le regole applicabili.

Siamo ben lontani, insomma, da quella “qualità della legge” richiesta dalla Corte Europea per considerare valida e legittima una norma sanzionatoria che deve “essere accessibile al cittadino e prevedibile per quanto riguarda i suoi effetti. Affinché la legge soddisfi le condizioni di prevedibilità essa deve enunciare con sufficiente precisione le condizioni nelle quali una misura può essere applicata, permettendo così alle persone interessate di regolare la loro condotta”.

Un cittadino che legge questo provvedimento normativo non ha, invece, senza sua colpa, la più pallida idea di cosa il legislatore gli richieda di fare o di non fare.

Con buona approssimazione, e senza alcuna certezza, un giurista attento e paziente proverebbe a tradurre la sciarada in questi termini essenziali:

Dal 21 al 23 dicembre 2020 è vietato, nell’ambito del territorio nazionale, ogni spostamento in entrata e in uscita tra i territori di diverse regioni o province autonome, anche se è comunque consentito il rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione.

Resta obbligatorio l’uso della mascherina nei luoghi chiusi diversi dalle abitazioni, e anche all’aperto quando non può essere rispettato l’obbligo di isolamento da persone non conviventi, e permangono l’obbligo di mantenere la distanza interpersonale di un metro e il divieto di spostamento tra le ore 22.00 e le ore 05.00 del giorno successivo (c.d. coprifuoco) se non per esigenze lavorative, per motivi di salute o per necessità.

Nei giorni 28, 29, 30 dicembre e 4 gennaio è vietato anche ogni spostamento, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un Comune diverso da quello di residenza, domicilio o abitazione, (ad eccezione dei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti per gli spostamenti verso altri Comuni nel raggio di 30 km che non siano capoluoghi di provincia) salvo che per comprovate esigenze lavorative, di studio, per motivi di salute, per situazioni di necessità o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi e non disponibili in tale Comune e sono sospese le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie). Resta consentita la sola ristorazione con consegna a domicilio, nonché’ fino alle ore 22,00 la ristorazione con asporto, con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze.

Nei giorni24, 25, 26, 27 e 31 dicembre 2020, 1, 2, 3, 5 e 6 gennaio 2021, infine, è vietato anche ogni spostamento, compresi quelli all’interno dello stesso Comune, salvi gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute, e lo spostamento, una sola volta al giorno, in compagnia di non più di una persona o dei figli minori di 14 anni, verso una sola abitazione privata ubicata nella stessa Regione .

In tali giornate non sono sospese le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità, le edicole, i tabaccai, le farmacie e le parafarmacie, le lavanderie, i barbieri e i parrucchieri e  tutte le altre attività indicate negli allegati 23 e 24 del DPCM 3/12/2020;

E’ consentito svolgere individualmente attività motoria in prossimità della propria abitazione e attività sportiva all’aperto e in forma individuale;

La violazione di una qualsiasi di tali regole sarà punita con una sanzione amministrativa da 400 a 1.000 euro.

La scelta di fondo, quindi, è stata quella di utilizzare su larga scala l’arma dei divieti e delle sanzioni.

Le motivazioni che hanno indotto il Governo a scegliere questa soluzione e a comprimere in modo così netto le libertà individuali, anche rispetto alla propria più recente decisione (mi riferisco al decreto legge emanato pochi giorni prima, e precisamente il 2 dicembre), che aveva già fornito “regole di Natale” meno restrittive,  non sono state rese note.

Quale sia l’effettivo scenario di rischio e se e come lo stesso sia mutato dal 2 al 18 dicembre, al punto da richiedere una modifica drastica delle regole già adottate, rimangono informazioni riservate ai pochi privilegiati che hanno accesso alle stanze del potere esecutivo.

I dati e i documenti in possesso del Comitato Tecnico Scientifico, così come le sue valutazioni, continuano, infatti, a non essere rese note tempestivamente dal Governo.

Dopo che l’Autorità Giudiziaria ha imposto di rendere pubblici i verbali del Comitato Tecnico Scientifico per consentire alla generalità dei cittadini di comprendere e valutare la legittimità e la razionalità delle misure adottate, il Governo, che prima di tale decisione teneva segreti tali documenti, procede alla pubblicazione dei verbali , peraltro privi dei dati e dei documenti di supporto, solo dopo, in media, 45 giorni (a oggi, 26 dicembre, sono pubblicati solo i verbali sino al 9 novembre), quando, cioè, non hanno più alcuna attualità e sia lo scenario epidemiologico che i provvedimenti di contrasto alla diffusione del virus sono completamente mutati.

Non è possibile, quindi, comprendere e valutare l’azione del Governo, ma solo obbedire e conformarsi acriticamente alle sue prescrizioni.

A molti piace, a me no. E certamente non perché io sia un ribelle o un antigovernativo, Semplicemente perché resto convinto che la differenza tra cittadino e suddito è la stessa che intercorre tra democrazia e regimi autoritari. Più il cittadino si trasforma in suddito e più la democrazia lascia spazio all’autoritarismo.

Non conosciamo, quindi, le reali motivazioni delle misure scelte, ma sappiamo che per assicurare la loro concreta esecuzione è stata adottata la strada dei divieti e delle sanzioni.

Tale strada in ogni democrazia, ma in fondo anche nei regimi autoritari, ha, tra le altre, una regola inderogabile: i divieti, massimamente quelli che limitano la libertà personale, devono essere funzionali a ottenere un risultato coerente con la finalità perseguita.

In questo caso la finalità perseguita è, ovviamente, il contrasto alla diffusione dell’epidemia e il risultato a tal fine ritenuto necessario e funzionale è quello di evitare, o quantomeno limitare, i contatti diretti tra le persone.

Se, quindi, fosse stato vietato di uscire di casa con un indumento di colore rosso, certamente avremmo pensato che il Governo tutto fosse impazzito e che la compressione della nostra libertà determinata da questa regola non fosse accettabile perché indossare un indumento rosso non può in alcun modo favorire la diffusione del virus, né evitare o limitare i contatti diretti interpersonali.

E avremmo, ovviamente, ragione e nessun giudice avrebbe confermato mai la sanzione per la violazione di quel divieto e, forse, nessun agente delle forze dell’ordine l’avrebbe proposta.

Lascio al lettore l’analisi, in questa prospettiva, dei singoli “divieti”per verificare se e quante limitazioni di libertà inutili rispetto alla finalità perseguita e al risultato sperato sono contenute nel decreto “Natale senza i tuoi”. Suggerisco senz’altro di iniziare la ricerca dalla regola che vieta di fare visite in abitazioni private in compagnia di più di una persona, ma anche quella di non poter acquistare un capo di abbigliamento il giorno prima e poterlo fare il giorno dopo non è male.

E se, per evitare i morti e le lesioni che quotidianamente si verificano sulle strade a causa della violazione delle regole della circolazione, venisse vietato a tutti di circolare con auto o moto cosa ne penseremmo?

Risponderemmo probabilmente che tale ragionamento è inaccettabile perché una guida prudente e responsabile non può mai essere un pericolo potenziale e non può esserci tolta la nostra libertà personale e individuale di circolare liberamente perché altri guidano in modo irresponsabile; aggiungeremmo che sappiamo bene che circolando per le strade, come svolgendo molte altre attività, siamo esposti a rischio, compresi i comportamenti irresponsabili di altri, ma che accettiamo consapevolmente questo rischio anche perché saremmo liberi, se non vogliamo accettarlo, di camminare a piedi; concluderemmo sostenendo, con ragione, che il divieto resterebbe ingiusto anche se attraverso tale misura si volesse salvaguardare la nostra stessa persona perché la soglia accettata di rischio consentito, a condizione che non vengano lesi, o esposti concretamente a un pericolo, diritti altrui fa parte della sfera di libertà individuale di ciascuno di noi.

Diremmo, insomma, qualcosa di ovvio: non puoi limitare la nostra libertà senza che tu abbia qualche elemento per sostenere che la nostra specifica condotta che intendi vietare danneggi o metta in pericolo altri.

Nel nostro caso, vietare gli spostamenti di tutti per il timore che alcuni non rispettino o eludano l’obbligo di distanziamento interpersonale, creando i tanto temuti “assembramenti”,o di indossare la mascherina sembra violare ingiustificatamente il diritto dei tanti soggetti che rispettano e continuerebbero a rispettare gli obblighi di distanziamento e le cautele opportune per la gestione dei contatti interpersonali.

Vorrei, su questo versante, provare a sfatare la leggenda secondo la quale chi ritiene illegittimi i divieti generalizzati di spostamento (vere e proprie misure di prevenzione detentive di massa) è un negazionista o, al meglio, una persona egoista, insensibile e non rispettosa dei diritti altrui.

Anche il Presidente della Repubblica ha ricordato che la propria libertà finisce dove inizia quella degli altri, sottintendendo che non esiste la libertà di andare in giro a contagiare agli altri una malattia o, comunque, a esporli a tale rischio.

Tale affermazione è condivisibile, e per certi aspetti ovvia, ma solo se riferita ai soggetti portatori del virus e a coloro che, a causa di sintomi specifici o di incontri avuti con soggetti positivi al virus, sono nelle condizioni, attuali o potenziali, di estendere il contagio, e non certo a chi sicuramente non è  stato contagiato o non vi è alcun elemento per credere che lo sia stato o, ancora, è stato contagiato in precedenza ed è perfettamente guarito e, quindi, non è, neppure potenzialmente, pericoloso per la salute altrui.

Per questi soggetti gli arresti domiciliari non sono una corretta prevenzione del rischio ma semplicemente un abuso perché, non costituendo essi un pericolo neppure potenziale per la salute pubblica, non vi è alcuna plausibile giustificazione che possa condurre a comprimere i loro diritti fondamentali.

Né si può dire che le persone sane o senza sintomi mettono a rischio la salute altrui circolando liberamente perché, potendo in futuro contrarre la malattia e quindi consentirne ulteriore diffusione, calpestano il diritto altrui di non essere esposti al contagio.

Basta riflettere senza la pressione della paura per comprenderlo.

Se un soggetto sano decide di non chiudersi in casa durante un’epidemia egli non è pericoloso per nessuno di coloro che chiedono per la propria persona la massima protezione dal contagio. E’ vero che tale soggetto, uscendo di casa, accetta il rischio di essere contagiato e di ammalarsi, ma è vero anche che tutte le persone che incontrerà avranno certamente fatto la sua stessa libera scelta: sono uscite di casa e hanno accettato il rischio del contagio. Tutti loro, sani, privi di sintomi e senza precedenti contatti con soggetti positivi, usando le mascherine di protezione e rispettando le distanze interpersonali e le prescrizioni igieniche, ritengono accettabile il rischio di compromettere la propria salute nel caso di contatto con chi sia portatore inconsapevole del virus, dovendo ragionevolmente escludersi, in una comunità ordinata e governata, che gli ammalati e coloro che devono essere assoggettati alla quarantena possano circolare liberamente.

Egli, quindi, non aumenta in alcuna misura il rischio per coloro che chiedono e, sotto certi aspetti giustamente, pretendono di non avere contatti con soggetti terzi per timore del contagio. Nessuno obbliga chi non intende accettare tale rischio a uscire di casa o a ricevere nella propria casa chi ha fatto una scelta diversa: la loro libera scelta di isolarsi li protegge dal contagio a prescindere dalla condotta posta in essere da chi circola liberamente.

A meno che non si voglia tornare a sostenere che è lo Stato, anche in ragione dei costi che sarebbe costretto a affrontare per curarlo, a dover assicurare anche coattivamente le migliori condizioni di salute del singolo cittadino e stabilire i rischi che lo stesso può o non può assumersi in rapporto alle probabilità di contrarre una malattia.

C’è anche chi lo afferma, e non sono pochi né privi di un certo grado di istruzione (non uso volontariamente il termine cultura in questo contesto), senza rendersi conto che questa è la base logica, il “rationale”, degli esercizi fisici obbligatori del ventennio fascista, dei trattamenti terapeutici coatti per i dissidenti e i dissonanti su sino alla selezione della razza, dal monte Taigeto di Sparta dal quale venivano gettati i neonati deboli o disabili, alla ricerca a Berlino del perfetto modello ariano e alla “soluzione finale” per gli appartenenti a razze ritenute inferiori.

Ci saremmo tutti indignati se quando imperversava l’AIDS fossero stati vietati e sanzionati i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso o con soggetti che facevano uso di droga o l’uso personale delle sostanze stupefacenti iniettabili: però le evidenze scientifiche erano chiare sul punto.

La propagazione e la corsa del virus partiva da quelle categorie di soggetti e coinvolgeva anche altre fasce di cittadinanza, prime tra tutte quelle bisognose di trasfusioni e i medici e i soccorritori che venivano a contatto con il sangue infetto, che, a loro volta, divenivano veicolo di trasmissione del virus per il quale per lungo tempo non vi è stata cura e ancor oggi non esiste vaccino.

Eppure, giustamente, in epoche più felici della ragione, a nessuno è venuto in testa di vietare per motivi epidemiologici alla generalità dei cittadini, e finanche a chi apparteneva alle fasce di popolazione più direttamente coinvolte, condotte attinenti alla sfera della loro libertà personale, nella specie quella sessuale.

A ben guardare, insomma, è esattamente il contrario di quanto comunemente si afferma: chi vuole isolarsi in casa è libero di farlo e quando pretende o ordina che lo facciano anche gli altri lede i loro diritti e non viceversa.

Da questa riflessione consegue l’opportunità o la necessità di negare l’esistenza dell’epidemia o di rifiutare l’applicazione delle regole di contenimento della sua diffusione imposte dal Governo?

Certamente no.

Personalmente sono convinto che adottare ogni precauzione, compresa quella di spostarsi il meno possibile e avere meno contatti sociali possibili sia una scelta giusta e da perseguire con convinzione perché utile alla propria salute e a quella dei propri cari, a prescindere dal fatto che sia imposta o meno. Ho seguito e continuerò a seguire tutte le precauzioni, anche in considerazione delle mie fragilità personali, ma avrei certamente preferito farlo in base alla mia libera scelta e sulla base delle informazioni complete sull’effettivo scenario di rischio, non perché qualcuno me lo ha imposto.

Nel contempo trovo insopportabili e pericolosi coloro che pretendono di sopprimere ogni regola di diritto e di civiltà al fine di preservare la propria vita e la propria salute. L’epidemia passerà, lasciando la sua scia di dolore e di vittime, e non possiamo accettare che porti via con sé l’inviolabilità dei diritti umani fondamentali di libertà sui quali si regge ogni democrazia.

Non bisogna avere timore di opporsi alle misure illiberali e irragionevoli, anche se finalizzate a un miglior contrasto dell’epidemia e, addirittura, anche se utili a tal fine. E’ il solo modo di combattere un virus ancora più pericoloso per la vita sociale di domani, quello dell’autoritarismo, dello Stato etico che sostituisce, per giungere a ciò che reputa essere il bene comune, la sua volontà alla libertà del singolo e punisce chi non vuole adeguarsi alle scelte, anche sbagliate o capricciose, di chi governa.

In fondo, se coloro che si sono opposti alle feroci dittature del secolo scorso avessero anteposto, anziché sacrificarlo, il valore della propria vita e del proprio stato di salute a quello della libertà di tutti saremmo ancora oggi sotto Hitler, Stalin e Mussolini.

E se pensate che il ritorno al passato sia impossibile mettete il naso, protetto dalla mascherina, fuori dai confini nazionali e provate a guardare, ad esempio, cosa accade oggi in Cina e quale sia il ruolo giocato da questa potenza illiberale sul piano internazionale.

Ecco perché è necessario continuare a chiedere senza paura che continuino ad applicarsi le regole del diritto anche nell’emergenza; ecco perché è vile non evidenziare il pericolo di misure repressive ingiustificate o addirittura ingiuste. E una misura repressiva è ingiustificata quando la sanzione è indirizzata a reprimere senza motivo ragionevole l’esercizio di una libertà inviolabile del singolo ed è anche ingiusta quando reprime quella libertà indiscriminatamente vietando a tutti ciò che è il normale esercizio di tale libertà allo scopo di evitare che alcuni ne facciano uso indebito.

In questa prospettiva ho elaborato, solo per me stesso, un manuale di condotta “resistente” ad alcune delle imposizioni che regoleranno i nostri prossimi 15 giorni, anche per contrastare, nel mio piccolissimo, la disinformazione imperante.

Non prendetelo troppo sul serio, perché la disobbedienza civile non è mai gratis e non è per tutti,  ma neppure troppo sul faceto.

Anzitutto è utile ricordare quali sono i motivi per i quali è possibile uscire dalla propria abitazione anche nei giorni festivi e prefestivi.

Ecco, a uso di controllati e controllori, l’elenco dei più comuni.

Possiamo andare, in base al decreto “Natale senza i tuoi”:

a) a comprare le sigarette b) in farmacia c) a comprare generi alimentari in un esercizio commerciale o al mercato d) a comprare cibo da asporto al bar o al ristorante e) in lavanderia f) a partecipare alle funzioni religiose g) in edicola h) a pagare una bolletta di un servizio essenziale (acqua, luce, gas); i) dal medico; l) dal veterinario m) a visitare un parente o un amico (in questo caso se non siete più di due) n) dal barbiere o dal parrucchiere; o) dal ferramenta; p) a comprare indumenti intimi; q) a comprare prodotti per l’igiene della persona o della casa; r) a comprare prodotti o ricambi per computer o cellulari; s) in un distributore automatico di qualsiasi cosa; t) a comprare le lampadine per l’illuminazione della casa; u) a comprare un libro; u) in cartoleria; v) in profumeria; z) a comprare il cibo per il cane o il gatto.

Questo è, infatti, l’elenco (non completo perché ci sono anche altri esercizi commerciali dei quali è consentita l’apertura) delle attività commerciali per le quali non è stata disposta la sospensione: anche se non lo troviamo espressamente scritto e pochi lo stanno evidenziando, è chiaro che se lasci aperte tali attività e perché le ritieni, per qualche ragione, essenziali e, quindi, ritieni che i cittadini abbiano necessità di quei beni o quei servizi: non li lasci certo aperte mentre vieti ai cittadini di andarci.

Con grande enfasi telegiornali, conferenze stampa e siti degli enti pubblici hanno ricordato a tutti noi che per andare a svolgere queste banalissime attività dobbiamo rendere una dichiarazione giurata con la quale comunichiamo la ragione per la quale siamo usciti dalla nostra abitazione: la famigerata autocertificazione.

Ci stupirà certamente sapere che nessuna norma oggi in vigore obbliga a compilare un’autocertificazione sui motivi dei propri spostamenti e nessuna sanzione è prevista per la mancata compilazione di tale autocertificazione.

A prescindere dal fatto che la giurisprudenza ha già chiarito che non è astrattamente e logicamente possibile autocertificare, ma eventualmente solo esporre, le proprie intenzioni, essendo riservata la certificazione a fatti storici già verificatisi, o a condizioni personali, e l’autocertificazione a notizie certificabili già in possesso della pubblica amministrazione, non intendo sottostare a questo assurdo “obbligo” inventato e strampalato in base al quale per uscire di casa dovrei consegnare all’autorità una dichiarazione nella quale giuro che è mia intenzione andare a comprare il dentifricio o la carta igienica.

Almeno il limite del ridicolo non va oltrepassato, e non mi sento di farlo.

So che questo comporterà che le povere forze dell’ordine, forse vergognandosi per quello che sono costrette a fare e pur non trovando – dopo il mio invito a mostrarmela – la norma che impone di compilare l’autocertificazione – mi proporranno per la sanzione prevista per lo spostamento immotivato dalla propria  abitazione. Conserverò lo scontrino dell’acquisto del dentifricio o della carta igienica e mi farò un selfie con data e ora mentre lo acquisto; forse, per sicurezza, acquisterò anche le sigarette e  un pacco di cerotti in farmacia e mi farò sistemare il look dal barbiere: poi un giorno porterò tutti gli scontrini e le ricevute al giudice avanti il quale impugnerò la sanzione.

E’ un rischio e una seccatura, ma consentire di calpestare gratuitamente i miei diritti e la mia dignità non è una delle mie prerogative.

Se l’autorità ha motivo di ritenere che io sia uscito immotivatamente di casa svolga pure i suoi controlli, mi segua durante i miei spostamenti e adotti le decisioni che riterrà opportune ma “dimmi cosa vuoi fare o ti punisco”, anche no.

Sono un cittadino che rispetta la legge e anche oggi la sto rispettando: se hai motivo di dubitarne, indaga; se hai un motivo ragionevole per ritenere che la stia violando, applica la sanzione.

Natale senza i tuoi: se la polizia dovesse bussare alla porta della mia casa e chiedesse di entrare sostenendo che sospetta che all’interno dell’abitazione vi sia un numero troppo elevato di persone, chiederò il mandato di perquisizione senza il quale rifiuterò l’ingresso. Non possono certo buttare giù la porta per procedere alla perquisizione per l’accertamento di una violazione amministrativa, e se anche dovessero farlo la loro condotta dovrà poi essere sottoposta alla convalida prima di un pubblico ministero, poi di un giudice e poi, se avrò tempo e voglia, di un tribunale e della Corte di Cassazione.

In tutto questo percorso le probabilità di incontrare un magistrato con la mente non annebbiata dai proclami di regime è ragionevolmente alta. E’ possibile, quindi, e anzi probabile che a finire sotto processo non sarò io ma chi ha fatto irruzione in casa mia per accertare quanti eravamo a mangiare il panettone e per ordinare lo scioglimento di questa “adunata sediziosa” di pericolosi bimbi, mamme e nonni che a casa loro osano mettano a rischio la propria salute per fruire di cosette così piccole e insignificanti come l’affetto e la libertà.

Coprifuoco: Mi sembra evidente che in nessun testo normativo sia imposto l’obbligo di rientrare a casa propria entro le 22.00; è solo vietato, dopo tale ora, spostarsi, se non per necessità. E tornare a casa propria la notte, anziché dormire sotto i ponti è una indiscutibile necessità. Se, quindi, mi troverò a cena da mio padre per la sera di Natale o in altre giornate, non mi ingozzerò per terminare il pasto in tempo utile per rientrare a casa prima del coprifuoco. Non mi sposterò dall’abitazione di mio padre, e con questo rispetterò la norma. Quando avrò finito, con calma, rientrerò a casa perché è un mio diritto e una mia necessità. Se sarò multato farò opposizione al giudice e se troverò un giudice che ritiene ragionevole sanzionare chi sta tornando a casa propria dopo aver cenato con il padre solo perché non ha fatto in tempo a finire il pasto entro le 22.00 avrò contezza dello stato di degrado e di ridicolo nel quale è caduta la mia terra.

Io resto ottimista: credo che la grande parte delle donne e degli uomini delle forze dell’ordine siano più che imbarazzati a svolgere queste insolite attività repressive e che il loro buon senso, che corrisponde in questo caso al criterio di giustizia, impedirà che avvengano episodi dei quali domani potremmo vergognarci come Paese.

Ma se così non fosse, io non sono comunque disposto ad aprire la porta all’autoritarismo e a rinunciare ai miei diritti fondamentali per la paura – che pure provo – della malattia epidemica.

 

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