Dubbi e perplessità sul Green Pass

Vado dritto al punto, perché l’articolo è già lungo: il GreenPass è una misura che non mi soddisfa e che potrebbe creare più danni che benefici.

A questo si aggiunge la preoccupazione per il declino, lo squallore e la deriva del dibattito pubblico che, da entrambi i lati, si sta allontanando precipitosamente dai toni e dai contenuti che sarebbe auspicabile veder germogliare all’interno delle democrazie liberali.

Più che scrivere contro il GreenPass, infatti, mi limiterò a sottolineare le criticità delle argomentazioni più ricorrenti.

 

1) “Dobbiamo introdurre il Green Pass per evitare che si sviluppino varianti”.

In un mondo estremamente connesso e globalizzato, composto da 8 miliardi di persone, con alcuni Paesi che faticano tutt’ora ad avere accesso ai vaccini, è ingenuo ritenere che la vaccinazione di qualche milione di italiano in più possa impedire la nascita o l’arrivo di future varianti.

Le varianti ci sono e sono più contagiose; se ne arriveranno di nuove, lo faranno a prescindere dalle scelte dei politici italiani.

Certo, non è che se in alcuni Paesi i vaccini scarseggiano allora non ci vacciniamo nemmeno in Italia. Ma se si vogliono eliminare diritti e libertà per un obiettivo che si ritiene più importante (e già qui bisognerebbe stare in guardia) l’obiettivo deve essere quanto meno realizzabile. Non è questo il caso: l’arrivo di nuove varianti dipende in misura quasi completa da cosa accade nel resto del mondo, e non mi sembra opportuno introdurre divieti per traguardi che sfuggono quasi completamente al nostro controllo.

 

2)“Chi non si vaccina è un rischio per gli altri, quindi deve pagare un prezzo per questa sua scelta” (perdere il diritto di andare in determinati luoghi o fare molto più spesso il tampone).

Partiamo da un assunto semplice quanto fondamentale: prima di privare gli uomini di libertà e diritti, è necessario addurre giustificazioni abbondanti, esplicite, ragionate, schiaccianti, quasi incontrovertibili; è inoltre necessario utilizzare il principio di proporzionalità e necessarietà, il rischio sopportato deve essere abbastanza elevato da giustificare le limitazioni.

Se si crede nello stato di diritto, non basta dire che qualcuno è un rischio. Bisogna quantificare. Perché? Perché anche andare in giro senza vaccino per l’influenza è un rischio. Persino accendere il fornello per farci il caffè è un rischio per il nostro vicino, che potrebbe rischiare di vedersi la casa incendiata.

Praticamente tutto ciò che facciamo è un rischio per gli altri: è proprio per questo che le risposte alle delicate domande sulle limitazioni di libertà e diritti risiedono nella quantificazione del rischio, nella probabilità e nella gravità del danno a cui esponiamo gli altri, e non possono sottostare a una vaga retorica di bene comune, interesse collettivo o rischio generale (pena il sorgere di misure colme di isterie e controsensi).

In questi giorni sono fioccati i parallelismi: vi è chi ha fatto notare che, così come è richiesta una patente per guidare, così dovrebbe essere richiesta una patente per poter entrare in un ristorante. In molti hanno sostenuto che volere la libertà di non vaccinarsi equivalga a volere la libertà di passare con il semaforo rosso.

La tiritera comune di questi giorni sbandiera a tutte vele lo slogan liberale del “la mia libertà finisce dove inizia la tua”. E ci mancherebbe, è uno dei capisaldi di ogni democrazia liberale da quando John Stuart Mill lo introdusse.

Ciò che tuttavia è sistematicamente omesso, per ingenuità o per malafede, è la definizione di cosa costituisca un’aggressione alla libertà altrui. Lo ripeto: se bastasse parlare di libertà che iniziano e finiscono, si potrebbe tranquillamente dire che non vaccinarsi all’influenza è un’aggressione alla libertà altrui così grave da giustificare misure restrittive per i non vaccinati. Perché ciò non avviene? Perché il rischio di contrarre l’influenza da un non vaccinato è ritenuto minore rispetto al costo delle restrizioni.

I professori Perotti e Boeri, in un articolo molto meno delirante, hanno paragonato i danni che un non-vaccinato provoca alla comunità a quelli che i fumatori arrecano ai cosiddetti fumatori passivi, e per i quali devono pagare un prezzo (le imposte sulle sigarette).

Ma tutti questi paragoni ignorano un punto fondamentale: a differenza di automobilisti e fumatori passivi, i cittadini, vaccinandosi, sono in grado di proteggersi in modo estremamente efficace dal comportamento dei non vaccinati (sembrerebbe che i vaccini riducano con efficacia che oscilla tra il 93% e il 98% ospedalizzazioni e morti).

E’ lecito chiedere che un guidatore abbia la patente perché è impossibile tutelarsi da un tamponamento mortale, e per gli stessi motivi si chiede che il guidatore non sia ubriaco o non passi agli incroci con il semaforo rosso. Infatti, non esiste un vaccino né per gli incidenti stradali né per gli effetti nocivi della nicotina.

Ma esiste un vaccino per il COVID19, e funziona.

Quanto rischia quindi un vaccinato?

Un vaccinato rischia molto poco in presenza di un non vaccinato, e rischia molto molto poco in presenza di un vaccinato. Abbastanza da impedire l’accesso in determinati luoghi? Io non penso.

Si dirà: “però vanno tutelate quelle persone che non hanno la possibilità di vaccinarsi per motivi di salute”. Senz’altro, ma fatico ancora una volta a trovare adeguata proporzionalità e quantificazione. Quante sono queste persone? Quanto rischiano se inserite in un contesto in cui sono rispettati il distanziamento e le misure di protezione? Rischiano così tanto da imporre a tutti i non vaccinati non solo le adeguate misure di protezione, ma addirittura l’impossibilità di accesso ad alcuni luoghi?

Ricordiamo inoltre che il vaccino non impedisce il contagio. Riduce le probabilità, ma una percentuale di rischio permane sempre.

Mi chiedo, quindi: non sarebbe stato sufficiente proseguire con misure di protezione e distanziamento, senza andarsi ad impelagare in questo pantano che sta provocando parecchia rabbia ed intolleranza?

 

3) “Bisogna evitare che il sistema sanitario collassi”.

Questa è l’unica argomentazione veramente solida: se il sistema sanitario dovesse implodere, il governo Italiano rimetterebbe tutti quanti in lockdown, e non sarebbe giusto far pagare a tutti il costo delle scelte di pochi.

Condivisibile: futuri lockdowns devono essere scongiurati.

Ma che il GreenPass eviti futuri lockdowns è un’ illusione, così come lo furono le sparate del tipo “ultimo lockdown di 2 settimane per salvare il Natale”, e poi l’Estate, e poi la Pasqua, e poi chissà che altro in un susseguirsi infinito.

La dicotomia presentata in conferenza stampa dal Presidente Draghi “o GreenPass o Lockdown”, è semplicemente falsa.

Il GreenPass non garantisce che non vi saranno ulteriori lockdowns. I parametri sono lì, in bella mostra: se le terapie intensive supereranno il 20%, sarà zona arancione. Tutto ciò che il GreenPass fa è limitarsi a funzionare da incentivo alla vaccinazione (da questo punto di vista i dati ne confermano il successo).

Se quindi pare legittimo intraprendere misure per tutelare il sistema sanitario, prima di procedere con obblighi e restrizioni bisognerebbe chiedersi: “qual è il rischio che gli ospedali collassino?”; “Quanto viene ridotto questo rischio con il GreenPass?”.

Senza queste doverose domande (del tutto assenti dal dibattito pubblico), sorge spontaneamente il dubbio che questo GreenPass rappresenti, più che la volontà di tutelare libertà e salute, una sorta di crociata punitiva verso i novax, una vendetta morale verso i colpevoli di “analfabetismo funzionale”.

E per quanto sia una sofferenza dover ancora sentire complottismi su 5G, piani di sterminio di massa, scie chimiche &co., bisogna mantenersi saldi nella consapevolezza che nello stato di diritto la libertà non è condizionata né alla profondità di pensiero né al grado di cultura. L’uomo nasce libero, e la libertà deve essergli garantita per il solo fatto di essere umano.

 

Vi è poi un’ultima ragione, di natura pragmatica, per coltivare remore verso questa misura: ogni volta che uno strumento politico diviene d’uso comune e accettato in larga parte dalla popolazione, diventa estremamente difficile rimuoverlo.

Nessuno si è chiesto quanto durerà questo GreenPass, e vi è la concreta possibilità che per i prossimi 3-5 anni saremo costretti ogni 8 mesi a vaccinarci per godere di alcune libertà fondamentali, a prescindere da quanto il COVID rappresenterà un pericolo.

Forse stiamo disegnando una società che pretenderà in modo sempre più asfissiante prove e dimostrazioni non per imporre divieti, quanto piuttosto per concedere libertà e diritti. Così la dottrina del diritto naturale sembra traballare pericolosamente.

Aggiungo, tralasciando la filosofia e continuando con il pragmatismo, che esiste pure il concreto rischio che le limitazioni diventino via via più gravose (solo qualche settimana fa, prima dell’idea di Macron, era certo che il GreenPass fosse solo uno strumento per regolare i viaggi intraUE).

Tra i due approcci agli estremi, non fare nulla nella speranza che le vaccinazioni spontanee possano essere sufficienti a evitare nuove crisi sanitarie, o imporre l’obbligo vaccinale alle fasce d’età concretamente a rischio ospedalizzazione, si è scelta una via di mezzo che crea incertezza, danneggia l’economia e spezza in due la società, senza nemmeno riuscire a garantire l’assenza di futuri lockdowns.

Ma, come accennavo all’inizio, più inquietante ancora è la direzione su cui si sta incanalando il dibattito pubblico: da un lato solito complottismo mischiato a rabbia montante, dall’altro scarsa attitudine nel ponderare le proprie ragioni prima di privare di diritti e libertà gli altri.

Non ci attendono tempi prosperi.

Articoli correlati

Inizia a scrivere il termine ricerca qua sopra e premi invio per iniziare la ricerca. Premi ESC per annullare.

Torna in alto