John Stuart Mill. Liberalismo e giustizia sociale

John Stuart Mill ebbe una solida formazione classica e, da giovane, tradusse alcuni dialoghi di Platone, usando lo pseudonimo di Antiquus. Apprezzava, in particolare, il Protagora, in cui si delineava la distinzione fra diritti politici e competenza tecnica. Nel mito del Protagora si racconta che gli Dei affidarono a Prometeo e ad Epimeteo il compito di donare agli animali e agli uomini gli strumenti essenziali per la sopravvivenza. Epimeteo distribuì con leggerezza le varie qualità e si trovò a mani vuote quando dovette pensare agli uomini. Con il suo sacrificio, Prometeo diede poi all’umanità il fuoco. Zeus, impietosito, ordinò a Hermes di distribuire rispetto e giustizia a tutti, rendendo possibile la fondazione di città rette dalla legge. Tutti, infatti, devono riconoscersi nel Nomos, proprio perché l’arte politica non possiede il carattere specialistico della  medicina o dell’architettura. Nella Polis democratica, scrive Aristotele, in cui si governa e si è governati a turno, si realizza la “libertà fondata sull’uguaglianza”.

 

I tories criticavano aspramente la democrazia ateniese, in quanto ritenevano che mettesse in ombra il sapere specialistico. Mill ritiene invece che la funzione deliberativa debba coesistere con la competenza, dal momento che il confronto dialettico (Talking) è strettamente connesso alla decisione politica (Doing). Il Platone del Protagora diede a questo problema una soluzione inclusiva, che non ritroviamo nel Platone elitistico della Repubblica, in cui solo ai Filosofi-Re era riservato il governo della città ideale. Ecco perché Mill, al Platone “dogmatico” della Repubblica, preferiva   il Platone “socratico” del Protagora.

 

Nelle sue Considerazioni sul governo rappresentativo, riprende questi temi, scrivendo che, se la competenza artistica o professionale appartengono solo ad alcuni per il beneficio di tutti, è indispensabile che la virtù civile e il rispetto della giustizia siano diffusi. Al modello “rappresentativo” o “libero”, contrappone allora la “pedantocrazia”, il governo dispotico dei funzionari. L’elitismo di Mill emerge tuttavia quando definisce il rapporto tra legislativo ed esecutivo. Una Commissione di codificazione (di nomina regia, ma sottoposta al controllo parlamentare) dovrebbe elaborare le leggi, mentre al Parlamento spetterebbe la funzione di discuterle e approvarle. Per Mill la democrazia porta con sé una tendenza naturale alla mediocrità, che potrebbe essere arginata dando un peso maggiore, mediante il voto plurimo, alle persone più colte.

 

Il suo atteggiamento nei confronti del voto plurimo non fu però univoco, proprio in quanto confliggeva con la difesa dell’uguaglianza e non poteva essere giustificato solo con le buone intenzioni di limitare l’appiattimento democratico. Tutto ciò, come ha rilevato Nadia Urbinati, può trovare riscontro in un passo della Politica aristotelica, in cui si legge che “l’eguaglianza è duplice: numerica l’una, in rapporto al merito l’altra”, ma la giustizia in senso democratico, proseguiva Aristotele, “consiste nell’avere uguaglianza in rapporto al numero e non al merito”. Nel timore che la democrazia potesse sfociare in una dittatura della maggioranza, Mill fu favorevole al sistema proporzionale, che avrebbe potuto garantire una rappresentanza più diffusa rispetto al modello maggioritario.

 

Mill non si limita a difendere la libertà negativa (libertà da), come assenza da coazione, ma sostiene la necessità di promuovere le capacità degli individui, perché possano realizzare i loro progetti di vita. Traccia così un itinerario nel quale oggi potrebbe riconoscersi Amartya Sen, con la sua politica delle opportunità (capabilities).

L’esigenza di realizzare l’uguaglianza può anche giustificare, per lui, l’intervento dello Stato e una trasformazione della legislazione, al fine di regolare i rapporti di proprietà. Pur mostrandosi sensibile alle critiche e alle proposte dei socialisti, e pur attribuendo al capitalismo la responsabilità di una distribuzione iniqua della ricchezza, “in proporzione inversa al lavoro”, Mill si contrappose sempre al loro progetto di “liberare” i lavoratori dal capitale, per sottoporli poi al controllo dello Stato.

Scriveva, con grande vigore polemico, ma anche con un certo gusto del paradosso, che, dinnanzi alla scelta fra una ineliminabile ingiustizia sociale e un sistema comunista, “tutte le difficoltà, grandi o piccole, del comunismo, peserebbero sulla bilancia come polvere”. Queste considerazioni devono però essere sempre poste accanto alle sue riserve. Si chiedeva infatti quale spazio avrebbe potuto avere, nel comunismo, “l’individualità del carattere” o “lo sviluppo multiforme della natura umana”. Mill ritenne che nei rapporti economici si potesse raggiungere una forma di cooperazione fra capitale e lavoro, per realizzare pienamente la democrazia. Questa sensibilità verso la giustizia sociale, propria del liberalismo radicale inglese, è anche legata all’incontro del giovane Mill, formatosi nel clima del Positivismo e dell’Utilitarismo, con i temi del Romanticismo. Sono felici, annotava nella sua Autobiografia, “solo quelli che si pongono obiettivi diversi dalla loro felicità personale”. Considerava il predominio delle classi aristocratiche “un male per eliminare il quale qualsiasi battaglia sarebbe stata giustificata”.

 

Trovano dunque terreno fertile quanti si accostano alle opere di Mill per evidenziarne quelle contraddizioni, che sono, in realtà, il segno più evidente della complessità di un pensiero liberale in cui si coniugano, ereticamente, mercato e solidarietà, elitismo e democrazia. Le nostre convinzioni più giustificate -scriveva- “non riposano su altra salvaguardia che un invito permanente a tutto il mondo a dimostrarle infondate”. Karl Popper avrebbe sottoscritto in pieno una tale testimonianza di razionalismo critico.

Il suo liberalismo aperto e la sua analisi della democrazia rappresentativa non conoscono i toni dell’ideologia, ma sono sempre retti da una ragione critica che si alimenta del dubbio. Si potrebbe forse pensare, di molte delle proposte di Mill, ciò che Benedetto Croce scrisse del liberalsocialismo in una lettera a Guido Calogero, che ne era uno dei più attivi teorizzatori, e cioè che si trattò di un “ircocervo”, come dire di una strana combinazione di elementi talora dissonanti ed eterogenei.

 

Le riflessioni di Mill non intendono porre le basi di un sistema, ma costituiscono piuttosto una bussola per orientarsi in una realtà sociale rispetto alla quale le rigidità ideologiche manifestano la loro inadeguatezza. Il suo liberalismo accoglie alcune istanze del socialismo, ma si propone sempre di promuovere l’uguaglianza nella libertà. Un messaggio, questo, che rivive nel pensiero del liberalismo contemporaneo, da John Rawls a Ralf Dahrendorf, ad Amartya Sen.

 

L’attualità del suo pensiero emerge anche nell’ambito di una riflessione sui limiti dello sviluppo. Nel 1848, nei suoi Principi di economia politica, si chiedeva che senso avesse vivere in un mondo in cui nulla fosse “lasciato all’attività spontanea della natura”, nel quale cioè ogni realtà naturale venisse ridotta a oggetto da manipolare. Se la bellezza della terra -scriveva- dovesse essere compromessa da un aumento indiscriminato della ricchezza e della popolazione, senza alcuna possibilità di assicurare agli uomini una vita felice, sarebbe preferibile scegliere di vivere “in uno stato stazionario”, prima di trovarsi costretti a doverlo fare per necessità. Tale scelta, precisava, non implicherebbe però una condizione stazionaria del progresso intellettuale, sociale e morale. Con la mente rivolta ai suoi amati classici, pensava infatti che, una volta che gli uomini si fossero liberati dalla “gara” per uno sviluppo fine a se stesso, avrebbero potuto dedicarsi a “perfezionare l’arte della vita”.

 

 

 

Testi citati

Platone, Protagora, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1996.

Aristotele, Politica, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1993.

Urbinati, Mill. L’Ethos della democrazia. Mill e la libertà degli Antichi e dei Moderni, Laterza, Roma-Bari, 2006.

Stuart-Mill, Autobiografia, trad. it., Laterza, Bari, 1976.

Id., Principi di economia politica, trad. it., UTET, Torino, 2006.

Id. La libertà, trad. it.  Il Saggiatore, Milano, 1981.

Id., Considerazioni sul governo rappresentativo, trad. it., Editori Riuniti, Roma, 1997.

Carteggio Croce-Calogero, Il Mulino, Bologna, 2004.

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