La volontà popolare, ovvero dell’eterna finzione per abbattere le sfumature liberali della democrazia

La più emblematica cifra della politica contemporanea è l’appello costante, esasperante, martellante al popolo. Del resto, si dirà, semplificando e anche un po’ banalizzando, non è forse la democrazia quella forma di regime politico in cui è il popolo a essere sovrano e, pertanto, spetta a lui decidere su tutto? Da sempre questo è l’argomento su cui si fa leva, in definitiva, per limitare la libertà individuale. Evidentemente, dacché le masse sono entrate in politica e si è così verificata quella che Mannheim chiamava la “democratizzazione fondamentale”, non si può evitare di includerle direttamente nel campo della politica.

Del resto, se così non fosse, ci troveremmo ancora in un ordinamento del tipo ancien régime in cui solo una sparuta minoranza di persone conta davvero e costituisce una nazione. Fortunatamente non è più così. Epperò, non è tutto oro quel che luccica. Infatti, il processo di democratizzazione comporta un abbassamento complessivo della qualità dell’elemento umano. Per far sì che tutti più o meno raggiungano un livello accettabile di istruzione, occorre abbassare l’asticella. Ciò, come risulta piuttosto chiaro a chi vuol vedere la realtà per ciò che è, costituisce un immane problema. Infatti, il livellamento onnipervasivo indebolisce in definitiva la capacità individuale di comprensione e riflessione, elementi fondamentali per una persona, prima ancora che cittadino, in grado di fare i conti con l’effettivo funzionamento della società. Ma non solo. L’eguagliamento delle condizioni si ripercuote naturalmente sul funzionamento della politica. Essa tende a diventare lo scontro quasi esiziale tra i capricci di individui illimitati che si contendono la benevolenza della mano pubblica. Ne risulta che la democrazia liberale – costruzione estremamente imperfetta e perfettibile, come tutte le istituzioni umane – vede declinare il suo compito precipuo, ovvero la capacità di imbrigliare “passioni pronte ad esplodere”, come scrisse Aron. In un momento in cui, in altre parole, l’individuo si rende sempre più incapace di limitare le proprie aspettative e i propri desideri, i diritti che egli richiede al potere politico aumentano a dismisura, con ciò erodendo la sua capacità di resistenza allo stesso. La politica democratica, così, è diventata il terreno in cui, anziché essere tutelata la sfera dell’individuo, il potere diventa l’idolo che bisogna volgere a proprio favore. Come osservava Constant, non è corretto focalizzarsi – percependone il potenziale illiberale – sul principio di legittimità del potere, ma sull’entità, cioè a dire sull’ampiezza del potere medesimo. Se, infatti, col pretesto della volontà popolare si demanda alla politica qualsiasi compito, dal perseguimento della “giustizia sociale”, all’intervento in ogni ambito della vita socio-economica, essa si riempie di contenuti di matrice collettiva che inaridiscono l’autonomia degli individui, con ciò indebolendo la facoltà di resistenza al potere politico da parte della società. La democrazia, in tal modo, perde le sue sfumature liberali, soverchiata da un potere che gli stessi individui scevri di capacità di autolimitazione hanno contribuito ad edificare, idolatrando il potere politico, anziché esserne diffidenti e resistere alle lusinghe di una creatura che vive della smania di benefici che si vogliono ottenere in cambio, ahimè, della privazione di autonomia individuale e di libertà.

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