Le convergenze parallele e le omogeneità valoriali in politica

Aldo Moro, stando a quanto la storia della prima Repubblica ci ha consegnato, ebbe a considerare le c.d. “convergenze stabili” (o parallele secondo alcuni scritti) come strumento per consentire l’uscita dallo stallo politico al fine di costruire maggioranze di governo indirizzate a condividere un percorso di riforme su più anni.

È quel che, in buona sostanza, si manifestava poi nel verso di una sorta di “compromesso storico” tra Democrazia Cristiana e Partito comunista italiano con l’unica esclusione, morotealmente parlando, dell’incidenza di quel totalitarismo di cui l’esperienza sovietico- comunista si faceva simbolo ideologico.

Le convergenze di cui Moro ebbe a teorizzare la funzione, poi, furono considerate in chiave parallela nel senso stretto di immaginare un treno su due binari: appunto la democrazia (il treno) e i due binari (i partiti del compromesso).

Pur qualcuno la formula delle “convergenze” rappresentava un ossimoro: secondo la geometria euclidea due rette parallele mai possono convergere. Eppure quella delle convergenze morotee non è rimasta inapplicata nel tempo successivo ed anche dopo la morte dell’ex Presidente del Consiglio italiano.

D’altronde, concettualmente, si parla di convergenze ogni qualvolta si debba indicare che due partiti convergono su alcuni punti pur mantenendo una sostanziale distanza nella linea politica.

Ma le convergenze parallele a cui gli analisti degli anni sessanta facevano richiamo attribuendone la teorizzazione ad Aldo Moro, prevedeva un elemento consolidante in più: l’accordo stabile nel tempo storicizzandolo (da qui la funzione ideale del “compromesso storico”).

Naufragata la prima Repubblica, il sistema elettorale fu poi modificato in ottica di richiamo maggioritario affinché fosse consentita una più decisa stabilità di attuazione delle politiche da parte dei vincitori delle elezioni. Il sistema elettorale nuovo, c.d. Mattarellum, mantenne una decina d’anni.

Il tema delle convergenze morotee, pur velatamente, è stato il più applicato (consapevolmente o meno) da parte delle forze politiche pur senza la stabilizzazione storica delle alleanze: un accenno fu quello di Romano Prodi che, tuttavia, coniugò nel Partito Democratico due (o più) anime politiche di cui i maggiori interpreti furono i Democratici di Sinistra e la Margherita. Atro tentativo lo portò avanti Silvio Berlusconi quando lanciò il Polo delle libertà che poi ri-nomenclò Casa delle Libertà fino a suscitare la nascita di un partito contraltare del PD prodiano: il Popolo della Libertà unendo Forza Italia e Alleanza Nazionale.

Entrambe le esperienze hanno sì basato la costituzione di esse sulla strada della storicizzazione del rapporto di alleanza, ma con un limite: invece della convergenza hanno usato lo strumento a rovescio ovvero il far confluire idee politiche differenti in un “contenitore omologante”.

Il tempo ha portato a raccontarci come il Popolo delle Libertà sia imploso dopo qualche anno; il Partito Democratico, tra alti e bassi, resiste ancora, ma non è da escludersi possa giungere alla medesima conclusione e che alla lunga diventi un “contenitore intermezzo” tra la sinistra comunista, il Movimento 5 Stelle e un’area nuova (che farebbe eco alla Margherita di Rutelli, ma che ha strutturazione nettamente diversa): il Terzo Polo.

Ad oggi, quindi, se noi badiamo al come l’arco politico-parlamentare si presenti otterremmo (e otteniamo) che: la sinistra (o almeno le battaglie storiche) è rappresentata dal Movimento 5 Stelle, mentre guardando verso posizioni leggermente più moderate, pur saldamente nel centrosinistra (filo-progressista con quote democristiane), c’è il Partito democratico. Su quest’ultimo passaggio però va considera l’ascesa di Elly Schlein che sembrerebbe voler riaffermare i temi su cui, invece, il partito di Giuseppe Conte si sta consolidando da qualche anno.

Al centro della politica italiana parrebbe esser nata una conformazione politica, per ora in senso federativo, costituita da Italia Viva di Matteo Renzi, Azione di Carlo Calenda e i moderati orfani di un centrismo (quasi) puro.

Oltre confine centrista, c’è Forza Italia con qualche quota democristiana di quel che rappresenta l’UDC (e si precisa “qualche” perché buona parte dei democristiani conservatori sono da un’altra parte ovvero in quota meloniana: Fratelli d’Italia).

Allora, la lezione di Aldo Moro torna utile ai giorni nostri per una attualizzazione diversificata: non più convergenze parallele, ma aree per omogeneità valoriali.

Quindi dall’immagine dei binari paralleli si passa agli anelli di congiunzione: una idea potrebbe darla la simbologia degli anelli delle Olimpiadi.

È il caso, perciò, di affermare che il bipolarismo rischia di non trovare effettività quando occorre formare i governi; piuttosto esso è un fenomeno funzionale al momento elettorale perché, in ragione del principio di alternanza e di contrapposizione democratica, occorre che vi sia un gioco di diversità programmatica.

Se, però, facciamo uno sforzo di intuizione, il voto è destinato a cambiare nel tempo e, quindi, è deducibile come le forze politiche non possono rimanere statiche nel come nate (che non significa rinunciare alla propria essenza costitutiva) rispetto alle sfide sovranazionali e nazionali. Ciò significa che i partiti stessi, salvo quelli tendenti a posizionamenti polarizzanti, saranno sempre più obbligati a dialogare tra loro pur in genetica diversità politica. Una “esperienza tipo” può ricondursi al Governo di Mario Draghi.

Questo ragionamento porta, inevitabilmente, a comprendere che i partiti non polarizzanti (ad esempio quelli includenti le storie liberaldemocratiche, cattoliche, popolari, ecc.) saranno posti per forza di cose in una posizione di “legamizzazione” (si consenta lo sforzo terminologico) per formare i governi stando all’impianto costituzionale vigente; infatti, cosa diversa potrebbe accadere nell’ipotesi di stravolgimento costituzionale ove mai indirizzato ad istituire un sistema presidenziale o semipresidenziale.

La doverosità del legame governativo impone ed imporrà che determinati partiti faranno i conti con la compatibilità valoriale: una sorta di verifica per cui, al fine di ottenere come risultato le convergenze di cui Aldo Moro parlava decenni fa, interagiscano per formare governi stabili coloro che riconoscono il principio in base al quale alcune culture politiche possono dialogare senza delegittimarsi, ma anellarsi vicendevolmente a seconda delle esigenze politiche del Paese.

È questa la questione di fondo: per ottenere convergenze parallele, lo spazio politico vedrà crescere aree valoriali omogenee (non omologanti).

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