Usi e abusi dei monumenti

La recente nomina di un ingegnere elettronico a capo della Soprintendenza ai Beni culturali della provincia di Agrigento solleva una questione particolarmente grave e inquietante riguardo al ruolo, ormai marginale, che riveste la tutela del patrimonio archeologico nel nostro Paese, e in Sicilia in particolare. Dal 2000 la legge che prevede il “ruolo unico” della funzione dirigenziale, consente di chiamare alla guida delle soprintendenze archeologiche funzionari provenienti da ambienti lontani dal mondo dell’archeologia. Una regione come la Sicilia, che possiede un patrimonio monumentale inestimabile, ne affida così la difesa a figure prive delle necessarie competenze, relegando a un ruolo periferico archeologi e storici dell’arte che hanno superato impegnativi concorsi.
L’opinione degli archeologi e degli storici dell’arte non è inoltre tenuta adeguatamente in considerazione quando si decide di organizzare eventi in siti monumentali che potrebbero subirne un danno. Il loro parere è infatti meramente consultivo rispetto alle scelte politiche. La questione si è posta con tutte le sue contraddizioni a proposito dalla programmazione di concerti di musica rock presso il teatro greco di Siracusa durante la stagione estiva.
Lorenzo Lazzarini, docente di petrografia presso lo Iuav di Venezia,che ha seguito il restauro del Partenone e delle metope di Olimpia al Louvre, ha messo in luce come la struttura fragile del calcare su cui è scavato il teatro di Siracusa rischi di deteriorarsi irreversibilmente in seguito a un sovraccarico di eventi. Lo studioso ricorda in proposito l’impatto negativo che ebbe a Piazza S.
Marco, a Venezia, il concerto dei Pink Floyd nel luglio del 1989. Le aspre polemiche che precedettero e seguirono l’evento misero in primo piano la questione dell’uso responsabile del nostro patrimonio monumentale.
L’assessorato regionale siciliano competente ha espresso il suo parere positivo riguardo allo svolgimento dei concerti, e questo nonostante le riserve manifestate, oltre che da Lazzarini, anche dal direttore del Parco archeologico, il geologo Antonello Mamo, e dall’archeologo del CNR Fabio Caruso.Gli autorevoli e motivati pareri dei tecnici non sono tuttavia vincolanti e non costituiscono, in Sicilia come altrove, né un monito né un ostacolo per la politica.
Appare evidente che l’appeal di luoghi iconici costituisce una cornice privilegiata per determinati eventi, che si traducono in un messaggio promozionale per chi li propone. È quanto meno bizzarro che sull’uso di questi siti, quali i teatri greci, il Colosseo o l’Arena di Verona – considerati Patrimonio dell’umanità –– si debba decidere su un piano locale, in cui gli interessi sono legati più
ai consensi del momento che alla custodia.
Laddove un sito viene considerato Patrimonio dell’umanità, quanti si assumono la responsabilità della sua tutela debbono dimostrarsi all’altezza dell’eredità ricevuta. Eredità spesso acquisita senza alcun merito. Il riconoscimento della dimensione universale del monumento dovrebbe sottrarlo a interessi particolari e occasionali. Non si può invocare una forma di sovranismo quando si tratta di disporre di un bene il cui valore viene riconosciuto come universale, dal momento che questa universalità richiede una tutela che supera i confini del luogo in cui si colloca.
La peculiarità dei teatri antichi e delle arene, come delle chiese, risiede nella loro dimensione architettonica, che li rende fruibili in maniera diversa rispetto a un dipinto o a una statua. Se riconosciamo però che un dipinto, una statua, un mosaico o un manufatto antico, necessita di particolari condizioni ambientali per essere correttamente custodito, dobbiamo ammettere che un bene architettonico richiede forme di tutela connesse alla sua specificità, specificità che risulta incompatibile con l’organizzazione di manifestazioni particolarmente affollate e invasive.
Il rispetto dei criteri di conservazione non implica la mummificazione dei monumenti. Richiede piuttosto un accostamento rispettoso al patrimonio storico, che può continuare a rappresentare uno spazio pubblico di cultura e di confronto senza necessariamente essere asservito alle seduzioni della società dello spettacolo. C’è da sperare che, nell’ambito della spettacolarizzazione della politica, qualche geniale assessore, avendo sentito parlare di archeologia industriale, non nomini un
archeologo a dirigere una centrale a carbone, pensando di essere originale o magari di riabilitarsi verso una categoria non adeguatamente riconosciuta.

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