Pensiero lento \ Pensiero veloce

Nella Settima lettera, ricordando le vicende vissute nel corso del terzo viaggio a Siracusa, Platone scrive che le sue perplessità, riguardo al ritorno in Sicilia,  furono vinte  dalla speranza di poter orientare Dionisio II verso la filosofia. Decise così di partire, pur mantenendo le sue riserve riguardo all’autenticità degli  interessi filosofici di Dionisio. Sin dai primi incontri, cercò quindi di mettere  alla prova il tiranno, per verificare la fondatezza delle sue motivazioni.

A uomini come Dionisio, scrive Platone, era necessario mostrare, innanzi tutto, la fatica che implica lo studio della filosofia. Quanti  “hanno una verniciatura esteriore di opinioni, come quelli che hanno il corpo abbronzato al sole”, scrive ancora Platone, non riescono infatti a sottoporsi alla disciplina necessaria per acquisire un sapere e uno stile di vita coerente con la ricerca della verità. Era questo il caso di Dionisio, il quale riteneva di possedere già i capisaldi della filosofia platonica. Tutto ciò dimostrava in modo evidente la sua presunzione, dal momento che Platone  stesso aveva scelto di non scrivere nulla riguardo a quei principi fondamentali del suo pensiero, che il tiranno sosteneva di possedere.

Nel voler mettere in luce le sue velleità teoretiche, Dionisio dava prova, in realtà, di una conoscenza approssimativa, dimostrando di ignorare che la  lentezza con cui si acquisisce il sapere non è un limite, ma un tratto essenziale della filosofia stessa. Si comportava, utilizzando i suoi superficiali appunti, allo stesso modo di  chi, oggi, come l’Homo videns  di Giovanni Sartori, dovendo incontrare un filosofo o uno scienziato, pensasse di poter dialogare alla pari con lui, dopo aver  sbirciato qualche slide o delle pagine di wikipedia.

Nel timore che la scrittura potesse produrre una conoscenza illusoria, Platone privilegiava la comunicazione orale. Pensava infatti, come leggiamo nel Fedro, che  un testo scritto “rotola  nelle mani di coloro che se ne intendono e così pure nelle mani di coloro ai quali non  importa nulla, e non sa a chi deve parlare e a  chi no. E se gli recano offesa e torto e lo oltraggiano, ha sempre bisogno dell’aiuto del padre, perché non è capace di difendersi  e di aiutarsi da solo”. Ecco perché Socrate dice di preferire il discorso  “scritto mediante la scienza, nell’anima di chi impara”. Questo, infatti, “è capace di difendersi da sé e sa con chi deve parlare e con chi deve tacere”. Un cattivo uso della scrittura rischia infatti, secondo Socrate e Platone, di produrre dei saccenti, persuasi che poche informazioni, attinte  frettolosamente da un testo, compreso in maniera sommaria, possano rendere sapienti.

I logoi dei sofisti, che si credono sapienti, sono finalizzati all’oratoria giudiziaria. Devono quindi  adeguarsi ai tempi  dei tribunali e al dominio della clessidra, a cui non può  sottostare  il cammino del pensiero,che, come ci dice Socrate nel Teeteto, ha bisogno di  pause e di  momenti di riflessione. Una lunga tradizione  ci ha insegnato che la ruminatio, intesa come acquisizione lenta del  sapere,  non è da intendersi come una dissipazione del tempo, ma come una esperienza che ci consente di cogliere il senso profondo della ricerca filosofica.

Nel ricordare il famoso detto di Bernardo di Chartres, secondo cui  noi siamo nani sulle spalle di giganti, il neuroscienziato Lamberto Maffei fa rilevare che la cultura, in tutte le sue declinazioni, si costruisce attraverso un rapporto con il passato, e procede proprio come una  scalata, spesso lenta e faticosa, sulle vette raggiunte da chi ci ha preceduto.

Il cervello, scrive Maffei, si struttura lentamente, e, se la tecnologia ha reso più veloci le comunicazioni  fra gli uomini, quelle fra i neuroni sono rimaste immutate. Le reazioni rapide agli stimoli esterni, connesse alla sopravvivenza, sono riconducibili alle origini dell’evoluzione e hanno un carattere per lo più automatico e inconscio. L’esigenza, sempre più diffusa, di ottenere, in tempi limitati, risultati tangibili,  conduce a trascurare la ricerca teorica, ma  proprio attraverso questa, che può apparire priva di uno scopo, si giunge spesso, lentamente, a risultati significativi sul piano tecnologico. La telegrafia senza fili di Guglielmo Marconi, frutto di intuizione e metodo sperimentale, prese spunto, ad esempio, dagli studi puramente teorici di Hertz  e di Maxwell sulle onde elettromagnetiche.

Il pensiero rapido può anche assumere la forma dell’intuizione, ma il lavoro di selezione delle intuizioni comporta una necessaria connessione con il pensiero lento, perché “l’intuizione, senza la verifica sperimentale o logico-razionale operata dal pensiero lento, resta sogno […]. D’altronde è pure vero – commenta Maffei – che il pensiero lento senza l’innesco dell’intuizione diventa pigro e spesso non produttivo”.

Se si considera che le funzioni dell’emisfero sinistro, in cui si elabora pensiero lento, rappresentano una fase più recente dell’evoluzione, si deve prendere atto che la tecnologia digitale, richiedendo risposte veloci, tende a privilegiare gli aspetti più arcaici dell’emisfero destro.  Ci troviamo così dinnanzi alla condizione paradossale in cui, commenta Maffei, la globalizzazione, ultimo traguardo della civiltà, rischia di produrre un’involuzione cerebrale, sviluppando gli automatismi dell’emisfero destro e inibendo le funzioni logiche e riflessive dell’emisfero sinistro. Potrebbe allora  prevalere la legge ancestrale del più forte, su cui si fondava lo stato di natura, che, nel corso dell’evoluzione, la morale e il diritto hanno contribuito a regolare.

Tutto ciò non può non avere conseguenze sul piano politico. Già nel 1930, José Ortega y Gasset aveva colto, nella Ribellione delle masse, il primato dell’ ”azione diretta” sull’ “azione indiretta”.  Si sopprimeva in tal modo, scriveva, “ogni azione intermedia fra il nostro proposito e la sua imposizione”, legittimando quella che chiamava la “Charta Magna della barbarie”, nella quale si sarebbero riconosciuti i regimi totalitari del secolo scorso. Nei momenti di crisi che stiamo attraversando, il cesarismo populistico, ma anche l’efficientismo tecnocratico, adottano declinazioni diverse di “azione diretta”, rappresentando una minaccia per le democrazie. Le soluzioni che propongono,  possono  apparire vincenti nell’immediato, ma corrodono sicuramente le basi dello stato di diritto e le sue procedure.

Alla bulimia dei consumi, alimentata dal pensiero veloce  e dalla gratificazione immediata, si è associata, commenta Maffei,  “una grave anoressia delle idee e purtroppo anche dei comportamenti una volta ritenuti morali”. Il pensiero rapido, privo di memoria storica, assolutizza il presente e distoglie da un atteggiamento critico. Ne deriva un approccio utilitaristico con le persone e con l’ambiente circostante, che reifica tutto ciò che incontra.

Il linguaggio frammentario e veloce degli sms o dei twitter, introdotto dai nuovi media, non può  che essere superficiale, nella sua immediatezza. Se riesce a  comunicare un messaggio semplice, risulta del tutto inadeguato e fuorviante qualora pretenda di affrontare questioni più articolate. Quando infatti si affida a questi strumenti il compito di esprimere concetti complessi, l’immediatezza delle emozioni prevale sui giudizi ponderati. Il fatto che ciò accada sempre più spesso, produce  l’impoverimento e, talora, l’imbarbarimento del discorso pubblico. I messaggi brevi dei leader, che stimolano le numerose risposte emotive dei simpatizzanti o degli avversari, danno l’illusione che  tutti possano essere coinvolti nell’agire politico, ma proprio l’uso acritico dei media  sfocia in una progressiva rarefazione dello  spazio pubblico di confronto.

Nella seconda delle sue Lezioni americane, Italo Calvino scriveva  che fu probabilmente Galilei a usare, per la prima volta, la metafora del cavallo per esprimere la velocità della mente, sostenendo che “il discorrere è come il correre”.  La velocità, prosegue Calvino, è rappresentata, nel Dialogo sopra i massimi sistemi, da Sagredo : Se Sagredo segue l’immaginazione ed è portato a “trarre conseguenze non dimostrate e a spingere ogni idea alle estreme conseguenze”, Salviati procede in modo prudente e rigoroso. Salviati e Sagredo rappresentano, per Calvino, due diversi aspetti del temperamento di Galilei. Sarà però Salviati a definire “la scala dei valori in cui Galilei situa la velocità mentale”, in quanto, il pensiero  senza passaggi , è prerogativa della mente divina, non del pensiero umano.

L’immediatezza ignora quel che, con Hegel, potremmo definire la fatica del concetto, grazie alla quale possiamo acquisire “pensieri  veri e penetrazione scientifica”.  Lo sapeva bene  Wittgenstein, il quale, socraticamente, con uno stile che anche Galilei avrebbe condiviso, scriveva che “nella corsa della filosofia vince chi sa correre più lentamente. Oppure : chi raggiunge il traguardo per ultimo”.

 

Testi citati

Platone, Lettera  VII,  trad. it. in Platone, Tutti gli scritti, Rusconi, Milano,1991.

Id.  Fedro, trad. it. in op. cit.

Id. Teeteto,  trad. it. in op. cit.

Maffei, Elogio della lentezza, il Mulino, Bologna, 2014.

Maffei, Elogio della ribellione,il Mulino, Bologna, 2016.

Ortega y Gasset, La ribellione delle masse, trad. it. in Id., Scritti politici, UTET, Torino, 1979.

Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Mondadori, Milano, 1993.

W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, trad. it. La Nuova Italia Editrice, Firenze 1933, 2 voll., vol. I.

Wittgenstein, Pensieri diversi, trad. it., Adelphi, Milano, 1988.

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