Scomparso dai radar il base effect?

Oggi appare definitivamente archiviato ciò che, invece, sembrava acquisito ancora ad inizio estate 2021, ovvero l’idea di ritenere che i prezzi avrebbero visto una fiammata transitoria per via del confronto con il lungo periodo di deflazione causato dai lockdown. Ad oltre un anno di distanza dalle prime avvisaglie di un incremento incontrollato dei prezzi, la situazione sembra radicalmente cambiata ed anche le banche centrali (e tra queste la FED) cominciano a riscontrare come il rialzo dei prezzi delle materie prime continui, senza alcun segno di rallentamento. Con essi, salgono con forza i prezzi dell’energia e dei beni alimentari. Tale situazione mette in pericolo, sempre più, le prime ottimistiche previsioni di ripresa post-pandemica che vedevano in un incremento dei consumi e degli investimenti delle imprese la spinta per un consistente e duraturo incremento della domanda. In effetti, i principali indicatori macroeconomici oggi non sembrano incoraggianti ed il rallentamento della crescita economica globale è evidente. Anche l’economia cinese, che sembrava uscita dalla crisi pandemica addirittura rafforzata, sebbene continui a crescere, evidenza un passo più molto più lento del previsto. Principali colpevoli anche qui la crisi energetica, ma anche i problemi del gigante dell’immobiliare Evergrande ed i nuovi focolai di Covid dovuti alla
variante Delta. A questo dato si aggiunge un fatto ancor più inquietante. La crescita, anche nei paesi dove le stime sono positive, com’è, ad esempio, per il nostro Paese, vede sul fronte del lavoro progressi molto scarsi. Il che significa che dovremmo sopportare ancora per qualche anno una forte disoccupazione.
Concentrandosi sull’Italia, ad esempio, la Nota di aggiornamento al DEF (NADEF) del 2021 presentata da Draghi e Franco al Parlamento, se contabilizza un livello di PIL più elevato (atteso a un +6% per l’anno in corso) vede in previsione nel 2021 l’occupazione crescere lievemente più del PIL per quanto riguarda le unità di lavoro e le ore lavorate, mentre per gli anni successivi la previsione sconta una moderata crescita della produttività. In definitiva, il numero di occupati secondo l’indagine sulle forze di lavoro salirebbe al disopra del livello pre-crisi già nel 2022, per poi registrare una vera e propria crescita. Il quadro disegnato dal NADEF dunque vede un decremento della disoccupazione solo a partire dal 2023.
Ma sarà effettivamente cosi, ovvero, saranno mantenuti gli impegni sull’occupazione? Rispondo subito. E’ molto probabile di no!
Infatti, come sappiamo, la combinazione di prezzi in salita ed economia che non cresce, ha un nome ben preciso in macroeconomia e prende il nome di stagflazione. L’accelerazione dell’inflazione negli Stati Uniti ed in altre economie potrebbe essere certamente un problema in questo momento. In primo luogo, l’incremento dell’inflazione certamente intacca
qualsiasi ripresa dei redditi da lavoro e, anche la redditività del capitale, vero punto di riferimento delle economie di tipo capitalistico. La redditività può essere colpita certamente dai possibili aumenti salariali indotti dalla pressione in aumento dei prezzi da un lato e dall’aumento degli interessi dall’altro.
Ciò considerato, la preoccupazione maggiore è quella che proprio dalla volontà da parte della politica monetaria e, in parte, di quella fiscale, di concentrare tutte le proprie attenzioni sui livelli occupazionali – sebbene per l’Italia questo sarebbe solo a partire dal 2023 – porti ad uno stallo dell’economia. In questo senso vengono lette le recenti revisioni della politica monetaria della FED e della BCE: lasciare andare i prezzi un po’ più su in cambio di un recupero di posti di lavoro, cosi ripetendo di fatto lo stesso “errore” commesso dai banchieri centrali negli anni 70.
Una scommessa che potrebbe costare dunque molto cara, costringendo le banche centrali ad un rapido, e traumatico, cambio di strategia, che porti un aumento del tasso monetario d’interesse. Tassi d’interesse in crescita che strozzerebbero la domanda, portando ad un brusco crollo degli investimenti.
Insomma siamo di fronte ad un bivio, e il futuro non è affatto roseo.

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