L’ombra lunatica di una democrazia in ostaggio

La sinistra italiana dalla rivoluzione sognata alla rivoluzione possibile

E’ di questi giorni un fantasmagorico gongolare della sinistra nostrana, eccitata da un insperato successo elettorale nelle appena passate consultazioni amministrative, ascrivibile soprattutto ad un accentuato astensionismo, che di certo ha interessato in modo particolare l’area di centrodestra, alla scelta di candidati forse non sempre all’altezza delle situazioni, all’ondeggiare di alcune politiche, in particolar modo in tema di pandemia o di green pass, probabilmente non del tutto condivisibili da tanti elettori, e via dicendo. Ma, posto che non rientra nelle finalità di questo scritto indagare su tale versante, v’è che la cultura liberal-democratica, di cui la mentalità provinciale e mediocre dell’Italia contemporanea ha un disperato bisogno, continua ad essere evocata, però resta sempre minoritaria.

Alla flessione, peraltro anche psicologica, dell’area di centrodestra nel suo complesso, fa dunque da contraltare una sinistra compiaciuta, esultante e tracotante più che mai, una sinistra che ha descritto l’intero itinerario del Partito comunista italiano, che via via mutava soltanto la sua etichetta e il cui gradualismo, che si risolveva nella formula della togliattiana “democrazia progressiva”, mirava in realtà alla realizzazione di una radicale trasformazione sociale in una democrazia di marca leninista.  Una sinistra che, con le sue strategia di lotta, metabolizzata ormai la fine del sogno rivoluzionario in termini di rivoluzione mancata e/o di rivoluzione tradita, ha dipanato, sin dal dopoguerra, un lungo, macabro filo rosso, che in tutti questi decenni  l’ha portata subdolamente ad infiltrarsi in tutti gli ambiti del potere, del sottopotere e di tutti i suoi recessi, dello Stato e di tutti i suoi apparati – amministrativi, giudiziari, burocratici – lo specchio fedele di un’Italia in disfacimento, della cultura e della società civile. Ma, al presente, tutto ciò non le basta più! Al compimento della sua spettrale traiettoria rivoluzionaria, una vera e propria galleria degli orrori, si pone ora la pretesa del possesso delle coscienze di tutti, la realizzazione di un sogno ovvero la instaurazione di una democrazia totalitaria perfetta, che trova la sua vera ragion d’essere fondamentalmente nel marchio d’infamia apposto sulla destra, con l’incessante gracidio su presunti pericoli di rigurgiti fascisti, che nulla hanno a che vedere con l’ideologia portante dell’intero schieramento di centrodestra e interessano semmai solo alcune frange estreme di stampo sostanzialmente delinquenziale piuttosto che politico. Insomma, l’imposizione ex lege di un “politically correct” che non tollera disapprovazioni e che giustifica persino provvedimenti che minacciano di restringere sempre più la libertà di opinione, di espressione e di pensiero, contro i quali si levano delle voci, ma sempre più flebili, di spiriti liberi, purtroppo poco influenti di fronte alle schiere sempre più agguerrite di politici e di intellettuali politicamente corretti. Un “politically correct” che non ammette dissensi sulle scellerate politiche immigratorie tanto care alla sinistra, intrise di una subcultura assassina della democrazia liberale, terzo/quartomondista, disfattista e buonista d’accatto, una sinistra che etichetta come zombi quanti non si adeguano ad una civic culture egemone, che poi è quella della delegittimazione dello Stato nazionale – ma gli Stati europei esistono ancora – sovrano nei suoi confini, laico e liberale: lo Stato moderno per eccellenza, liberale e laico, lo Stato che nasce appunto con la fine delle guerre di religione e la pace di Westfalia del 1648. Ma tutto ciò, senza alcuno sforzo di intelligenza della complessa questione migratoria, viene semplicemente bollato sprezzantemente come “populismo sovranista” in nome di un vertiginoso universalismo neo-illuminista che sta distruggendo la storicità come comprensione del passato, finalizzata altresì ad una più solida progettazione dell’avvenire.

Ma non è tutto poiché, in uno stato di lucida follia, il politicamente corretto include nuovi trend sessuali piuttosto discutibili, edulcorate immagini di integrazione sociale o nuovi archetipi scolastici o di sviluppo evanescenti o riprese economiche spesso solo leggendarie o immagini di nuove realtà sociali da prendere a modello; ad esempio, la mitteleuropea città di Milano, una nuova “Milano da bere”, guidata da un primo cittadino ispirato da un sinistroide spirito progressista, illuminato e politicamente trendy, la città dove dominano, a dirla con Vittorio Feltri, pidocchietti e fighetti rossi o ex rossi ora rosa, monopattini e piste ciclabili nonché qualsiasi manifestazione postsessantottina.

E’ su questo terreno putrido della fatuità e della disonestà intellettuale che la sinistra, dunque, pure con le sirene ormai stonate dell’antifascismo e di un presunto pericolo fascista in agguato, solo funzionale alla sua sopravvivenza e all’innesto di un terrificante biopotere, svolge la sua azione di disgregazione del tessuto sociale. E in tutto questo pidocchiume di lacchè ora diventati padroni, ogni cosa rimane come prima! Con le rivelazioni del caso Palamara, in qualsiasi altro Paese sarebbe esploso un terremoto istituzionale che avrebbe coinvolto in primis buona parte della Magistratura e i suoi corifei e fiancheggiatori politici: invece nulla! Cosicché questa democrazia, già di per sé fragile e malata di un popolo pur esso malato, ora più che mai, a prescindere da risultati elettorali, è tenuta in ostaggio da una sinistra in preda ad una penosa dissociazione cognitiva, una prigionia che dura da oltre mezzo secolo ma che adesso si rivela sempre più pervasiva, pervicace e pervertita. Una democrazia su cui è scesa un’evanescente ombra lunatica, ma non per questo meno insidiosa. Una democrazia in cui anche i caduti sono diventati solo stracci senza memoria ingoiati dall’oblio!

E’ proprio l’ambiguità, la tenebrosità dell’attuale dimensione comunitaria ad opera di questa sinistra noumenica a produrre anomia e conflittualità, a frammentare il Paese in parti non più avverse ma nemiche, a eccitare le passioni ideologiche fra persone che non si sentono più legate da vincoli ideali comuni e dal dovere di reciproca tolleranza: da “non amici”, dunque, a veri e propri nemici!

Ma in siffatto cupo scenario, denso di incognite, anche il percorso politico, spirituale e intellettuale della destra è stato spesso rapsodico e frammentario. Se lo psicodramma della sinistra è stato – e lo è ancora – un pezzo essenziale del dramma di questo Paese, l’insuccesso della destra ha rappresentato, come già dicevo nel precedente scritto, non soltanto una sconfitta politica, ma anche uno smacco culturale che si identifica con l’eclissi del pensiero liberale dell’Italia repubblicana e vani sono stati i tentativi, sin dai primi passi della Repubblica, di una reductio ad unicum di tutte le forze di destra.

Oggi più che mai, dunque, a fronte della tela dilacerata di questa nazione, ad opera di una clacque massacratrice dello Stato nazionale, e dell’irrinunciabile valenza della democrazia liberale – atteso che i valori del liberalismo, come metodo e come dottrina della libertà, sono ormai ampiamente condivisi al di là di pur sussistenti lievi differenziazioni – si rende assolutamente indispensabile un ricompattamento di tutte i partiti e movimenti di centrodestra in una “Grande Destra” che possa efficacemente reagire al pattume, alle turpi provocazioni orchestrate dal regime e al discredito continuo che le vengono scaricati addosso in uno al convincimento, riveniente da una soggezione psicologica e culturale verso la sinistra, che il nostro ruolo debba essere quello di agnelli sacrificali.

Un’azione politica complessiva orientata verso un “principio di realtà” contiguo all’idea di ordine, atteso che libertà e democrazia come “punto di arrivo” di una progressione non possono sussistere senza un significativo punto di partenza che risiede appunto nel concetto di ordine. Certamente il “principio di realtà”, in special modo in una società complessa e multiforme come quella attuale, impone anche di uscire dall’ iperuranio dei “principi” per calarsi nel momento arazionale che si pone dietro il confronto con i valori alti della politica: insomma, un liberalismo realistico che riesca ad assicurare la protezione della libertà, ma non quella formale bensì quella sostanziale, a fronte dell’aggressione della sinistra volta alla conquista di tutto e di tutti, persino nelle coscienze, in uno alla richiesta di estinzione delle libertà e all’elevazione di uno Stato assoluto a Moloch inesorabile.

Per noi liberali, atteso che l’attività politica trova fondatamente la sua premessa nello spirito etico, ne discende che essa diviene pure il suo strumento attuativo dotato di una sua moralità, ma non una moralità come concezione governamentale tipica della sinistra, la quale sta imponendo appunto una propria etica fattuale – governativa, dionisiaca e delirante – tipica di un regime solfureo e totalitario, che esclude chiunque non si lasci avvolgere dal suo biopotere, in una crociata da “nuovi mistici”.

Questo “sistema democratico”, dunque, pervertito e invertito, tragico e grottesco allo stesso tempo, così pervicacemente animato da una sinistra imprigionata in un’identità irrisolta, in un’appartenenza sospesa e in sue ambiguità retoriche, disancorato dal terreno solido della civitas – dove nascono valori e cultura, costumi e disposizioni interiori che, secondo l’etica crociana, ingenerano il rispetto delle leggi e un’etica della responsabilità che le rende efficaci – è la morte suicida della ragione.

Ostaggio di questa sinistra, oscurato nella sua dimensione comunitaria e slegato dai valori liberali – che costituiscono poi i fondamenti della forma di Stato di democrazia classica occidentale, nelle sue versioni di governo monarchico o repubblicano – questo sistema democratico, pertanto, è destinato a diventare autofagico e in articulo mortis di questa squinternata Repubblica – nata tra equivoci e contraddizioni e finita tra invettive e lacerazioni – sarà troppo tardi per invocare quel Nestore “degli achei inclita luce”, troppo tardi per chiederci non solo cosa abbia fatto la politica per noi ma cosa abbiamo fatto anche noi per la politica mentre la nave trasportava il cadavere della nazione. Sarà troppo tardi per spiegarci il senso di inutilità e di frustrazione di fronte alla tragedia di questa Italia!

 

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