Le illiberali libertà dei No-vax e dei No-Green pass

Un bambino, il cui cervello in formazione, come ci dice il neuroscienziato Lamberto Maffei, possiede il doppio di sinapsi rispetto a quello del suo pediatra, non gradirà sentirsi dire che gli fa male mangiare tutta la nutella che vorrebbe, né comprenderà perché dovrà evitare di fare pipì quando e dove vuole, come gli dicono a casa e gli ripeteranno all’asilo. Non bisogna scomodare il dottor Freud per prendere atto che la civiltà si fonda su un sistema di regole. Produrranno anche un certo disagio, ma rendono possibile a persone diverse di stare insieme senza necessariamente amarsi o aggredirsi. Possono anche divenire oppressive, alimentando un Super-Io tirannico che ci rende più o meno nevrotici, ma ci permettono di costruire le nostre relazioni col mondo circostante. Proseguendo ironicamente su questa linea, potremmo considerare una grande espressione di libertà acquistare, magari senza porto d’armi, delle pistole per giocare a guardia e ladri, con una carica adrenalinica che certamente non conoscevamo da bambini.

 

Dal XVIII secolo ad oggi i vaccini hanno consentito di sconfiggere il vaiolo, la tubercolosi, la poliomielite e le politiche sanitarie dei diversi paesi, attraverso gli obblighi vaccinali, piuttosto che limitare la libertà, hanno tutelato la salute di milioni di persone. Le proteste di quanti si oppongono a questa pratica, in nome della tutela della libertà personale, si stanno esprimendo oggi tanto in piazza, quanto nel dibattito intellettuale. Vladimiro Zagrebelsky ha scritto di recente, ironizzando, che, come il Don Ferrante manzoniano, intossicato dal suo Aristotele, cercava maldestramente di applicare i sillogismi per capire qualcosa della peste di Milano del 1630, oggi si ricorre “ad altre sostanze filosofiche postmoderne” per orientarsi nel terreno incerto della pandemia. Bisognerebbe sempre aver presente, nelle polemiche di questi giorni, che le verità assolute non rientrano nell’orizzonte della ricerca scientifica, segnato, come sostiene Popper, da “congetture e confutazioni” e che gli schemi ideologici, come i toni oracolari, vanno tenuti a distanza dallo stile critico della filosofia. Dinnanzi al dilagare dell’infezione bisogna scegliere tra l’impegno degli scienziati che si stanno adoperando per trovare un antidoto al virus, con tutte le difficoltà e le contraddizioni che la ricerca incontra sul suo cammino, e le “verità” di negazionisti e teorici postmoderni del complotto biopolitico.

 

Seguendo la chiave di lettura che colloca la situazione presente nel quadro di una egemonia biopolitica, scopriamo di essere immersi in un grande Panopticon, quella prigione ideata da Jeremy Bentham in cui, da una torre centrale, un secondino può osservare i detenuti senza che essi se ne rendano conto. Non avvertono infatti il fiato al collo delle guardie, che esercitano però una vigilanza assoluta e, allo stesso tempo, impercepibile. Michel Foucault ricorre a questo esempio in Sorvegliare e punire, per descrivere una società che tende a un controllo totale non solo nella prigione, ma, in modalità differenti, anche nella fabbrica, nella scuola, nello spazio urbano.

 

L’ “efficacia” della strategia adottata dal governo cinese per contenere la pandemia attraverso un tracciamento capillare, da Panopticon, ha comportato gravi limitazioni della libertà, anche se non v’è dubbio che proprio queste norme restrittive hanno consentito di contenere il virus. Tali scelte sono coerenti con una concezione autoritaria, se non totalitaria, dello Stato, concezione che, se ha impedito che il contagio si allargasse, ha, nello stesso tempo, reso possibile che si producesse. E’ noto infatti che i medici cinesi sono stati “dissuasi” dal diffondere i dati riguardo ai primi casi e, che, quando è emersa la gravità della situazione, l’epidemia era già fuori controllo. Chi invoca una severità cinese nell’affrontare la situazione attuale, dimentica che, entro un quadro di istituzioni democratiche, quel focolaio iniziale non sarebbe stato tenuto nascosto e la diffusione sarebbe stata bloccata.

 

Le decisioni assunte in Italia dal potere politico, ben lontane dal modello cinese, sono sempre state concordate con la comunità scientifica. Se la ricerca si caratterizza però per essere aperta e fallibile, la politica deve dare risposte certe e, al contempo, limitare il disagio che soluzioni impopolari potrebbero provocare. I provvedimenti governativi, per il loro carattere di emergenza, hanno suscitato legittime riserve sul piano del metodo e delle procedure, ma non possono in alcun modo essere assimilati a  progetti autoritari.

 

Le epidemie hanno da sempre costituito un banco di prova per gli Stati. Foucault ha messo in luce, in Nascita della clinica, come la medicalizzazione di vari aspetti dell’esistenza si sia gradualmente estesa nel corso della modernità. La peste, che rappresentava il simbolo del disordine, ha avuto come corrispettivo medico e politico la disciplina, e la difesa dal contagio ha poi fornito un modello  per la prevenzione\repressione del conflitto sociale.   La città appestata prefigurò così “l’utopia della città perfettamente governata”, indicando i criteri per la progettazione di ospedali psichiatrici e prigioni.

 

Il rapporto tra medicina e politica si ripropone oggi in un clima del tutto diverso rispetto al mondo descritto da Foucault, e nella collaborazione degli scienziati con i governi non si ravvisa l’affermazione di un potere biopolitico, ma un interesse per la salute pubblica. Quando questa è in gioco, una strategia coerente con le valutazioni della comunità scientifica non può che risultare efficace.

Le polemiche, talora pretestuose, non hanno prodotto, peraltro, anche da parte dei critici più tenaci, credibili proposte alternative rispetto alle misure adottate dal governo.

 

Nella recente levata di scudi contro il Green pass, i difensori di una discutibile libertà individuale si sono contrapposti a una presunta volontà politica di trasformare lo stato di emergenza in stato d’eccezione permanente.  Il Green pass costituisce in realtà una scelta pragmatica, finalizzata a estendere le vaccinazioni in vista di una disponibilità di dosi che consenta di immunizzare la quasi totalità della popolazione. L’obbligo vaccinale potrebbe essere sancito solo da una legge che, nell’attuale fase politica, sarebbe impossibile approvare.

 

Ci si può chiedere, a questo punto, se la libertà individuale sia tutelata da quanti si oppongono, in modi diversi, al Green pass e all’obbligo vaccinale o da chi ritiene, invece, che una vaccinazione più diffusa e una adeguata regolamentazione della vita sociale sia la strada più breve per riacquisire la nostra autonomia. Si fa fatica a pensare che siamo vittime di un progetto di controllo biopolitico da parte di uno Stato orwelliano, come alcuni pensano, ricorrendo all’ampio repertorio della letteratura distopica. In una Società chiusa lo stato d’emergenza, che tende a trasformarsi in stato d’eccezione permanente, può anche evocare la città “perfettamente governata” di Sorvegliare e punire, ma nelle società liberali il ricorso al tracciamento tramite big data anima un confronto fra cittadini e forze politiche, consapevoli del rischio che l’uso incontrollato dei dati personali può rappresentare.

 

Risulta singolare che le spinte libertarie provengano spesso da ambienti che, a destra come a sinistra, non sono poi stati così critici verso modelli politici illiberali, passati o presenti. Nella tradizione del costituzionalismo la difesa dell’individuo non si è mai esaurita in un ambito monadico, ma si è coniugata con gli interessi più ampi della società. All’articolo 4 della Dichiarazione dei diritti universali del 1789 si legge che “La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri”. Un individualismo che si esaurisca in forme narcisistiche o solipsistiche si colloca al di fuori della Polis.

La “libertà” di non vaccinarsi o di non accettare il Green pass si traduce in grave danno per gli altri, nel momento in cui, provocando un aumento di ricoveri nei reparti di terapia intensiva, priva di cure essenziali persone gravemente ammalate. Sottopone inoltre a seri rischi gli immunodepressi, proprio in quanto favorisce il diffondersi dell’infezione e delle varianti. Prendere atto di tutto questo e cercare di porvi ragionevolmente rimedio, non significa essere complici del potere biopolitico.

 

I recenti provvedimenti non contraddicono dunque i principi costituzionali. L’articolo 2 della nostra Costituzione pone accanto alla difesa dei “diritti inviolabili dell’uomo”, i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. La tutela della salute, come recita l’articolo 34, è, allo stesso tempo, “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Sabino Cassese ha rilevato che dal 1939 al 2017 sono stati disposti ben cinque obblighi vaccinali e la Corte Costituzionale si è espressa positivamente nel merito nel 2018, con una sentenza dell’attuale ministra della giustizia Marta Cartabia.

È evidente che nelle motivazioni dei movimenti ostili al Green pass (per non parlare di negazionisti e No-vax) è fortemente sottovalutato il nesso tra le manifestazioni della libertà individuale e le conseguenze che possono derivarne nell’ambito della convivenza sociale. In questo clima non si può non avvertire l’esigenza di richiamare il pensiero e la saggia azione politica di Luigi Einaudi, che, considerando “L’impero della legge come condizione per l’anarchia degli spiriti”, espresse nella maniera più chiara, il rapporto tra legge, libertà e responsabilità.

 

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