A lezione di Pandemia

Se c’è una cosa che mi ha insegnato la pandemia è come una buona parte della popolazione non sia in grado di comprendere un evento tecnico-scientifico.
Non si tratta solo di un fatto di cultura in genere, sto parlando di sapere scientifico. Perché una situazione di questa natura e cioè la gestione, il coordinamento e la esegesi del fenomeno, questo è: un evento che si può comprendere solo con gli occhiali della scienza e dove qualche base di statistica, di logica, di organizzazione fa la differenza fra essere in balia della propaganda e avere una minima autonomia di opinione cioè fra la critica e la polemica.
Se devo dire il vero mi ero intimamente convinto che l’innegabile aumento della cultura media compiuto dalla scuola negli ultimi decenni avesse contribuito ad allargare la capacità di giudizio dei singoli, rispetto almeno alle generazioni della guerra, predisponendo cioè la mente ad un utilizzo più ampio, razionale e logico dei fatti.  Mi sono invece sbagliato.
L’immagine che emerge dalla recente indagine del Censis, come anche dai social in generale e, soprattutto, dalla parentesi della pandemia, mi danno torto. Pregiudizio, chiusura mentale, negazione della realtà la fanno ancora da padrone in una parte significativa della popolazione, come nei periodi più bui della nostra storia.
Certo, rispetto a qualche decennio fa è cambiato radicalmente il contesto, sia in termini di complessità che di comunicazione. I media si sono trasformati in un gigantesco “Bar Sport” globale allargando cioè a dismisura il pubblico, con l’aggravante dell’anonimato che ha alimentato arroganza e aggressività.  Il regno incontrastato della propaganda professionale insomma, da cui è difficile difendersi e, declamare Dante in una società complessa e fortemente polarizzata non è sufficiente. Piuttosto è indispensabile capire che, se esiste una correlazione non significa che esista anche un nesso di causalità o che, singoli casi e piccoli campioni, spesso non rappresentano l’intera popolazione.
Queste sono le chiavi che ogni uomo della strada deve avere nella cassetta degli attrezzi per smontare le architetture del qualunquismo, per evitare le trappole per topi che i professionisti della propaganda disseminano volutamente nella comunicazione al fine di distorcere la realtà secondo i loro scopi personali, trappole che sono peraltro difficili da evitare senza un equipaggiamento adeguato ma che delimitano il confine fra un terrapiattista, magari laureato e un cittadino, fra una vittima e un uomo libero.
Lungi da me l’idea di denigrare o svalutare la cultura umanistica classica, ci mancherebbe, ma costruire il tetto di una casa senza avere buone fondamenta non funziona. E nelle organizzazioni complesse le fondamenta sono nella scienza.
E’ pur vero che un certo atteggiamento di sfiducia nella conoscenza non è una prerogativa solo del nostro paese ma di sicuro le materie scientifiche non sono il fiore all’occhiello dei nostri ragazzi, basti pensare che siamo agli ultimi posti in Europa per laureati in questo ambito nonostante in realtà sono proprio quelle specializzazioni ad offrire le migliori opportunità di carriera. Bene quindi l’aggiunta nel Piano nazionale resistenza e resilienza (Pnnr) di 3,5 Miliardi di euro per ricerca ed istruzione ma è altrettanto importante che la coscienza collettiva tutta si renda consapevole della importanza del tema poiché, come ebbe a dire A. Einstein, “tutta la nostra scienza, commisurata alla realtà è primitiva ed infantile ma è la cosa più preziosa che abbiamo”.

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