Il potere e la libertà tra ipotalamo costituzionale e autoritarismo

La relazione tra potere e libertà è da sempre un ammorbante necessità di decifrazione per filosofi, politologi, giuristi, ecc.

Specie nell’epoca della Covid pandemia si è fatto più incessante e martellante il timore, nella collettività, che si possa giungere ad una deriva autoritaria del sistema o nel sistema.

Le cose stanno, però, a raccontarci che sistema, autorità e potere, benché condizionino la percezione dell’intera sfera di libertà, nascano comunque dalle necessità di preservazione di quest’ultima.

È un paradosso, questo è vero, ma su cui occorre riflettere un attimo.

Nasce prima il potere o l’autorità (citando una domanda con cui Don Rocco D’Ambrosio, nel suo ultimo saggio Il Potere, fa da incipit per la riflessione)?

È un po’ la domanda che, ampliando lo scenario di analisi sul comune quotidiano, da secoli porta gli umani a chiedersi come sia nato il mondo, l’universo, ecc.

Ora, potremmo prendere spunto dal caso dell’Afghanistan per stabilire che potere e autorità non sempre coincidano. Così come la libertà non per forza si lega al concetto di giustizia sia come sistema sia come presidio in un dato ordinamento a garanzia del primo.

La libertà, in effetti, si presta almeno a due concetti originari nel senso che nel mondo occidentale si potrebbero assumere come: – la persona nasce libera e si organizza con altri, mediante regole, per garantirne effettivamente la percezione e la espressione (principio del riconoscimento della libertà); – occorre un ordinamento di regole per stabilire i confini della libertà reciproca finalizzata ad uno stato minimo di pace sociale (principio di imposizione della libertà).

Due facce della stessa medaglia che ci pongono una domanda: la libertà è un elemento positivo o negativo rispetto al potere?

Sul piano universale la libertà è un valore irrinunciale a prescindere dal come essa venga preservata, tutelata, garantita, presupposta o normata.

Il punto della domanda posta è preciso: è di natura positiva se è il riflesso delle norme fatte; negativa se è il presupposto o precondizione da cui far nascere le leggi a tutela.

Sicché sarebbe un po’ come le declinazioni mediche: quando diciamo “positiva” significa che l’analisi della libertà è negativa nella misura in cui essa non presenta patologie di sistema o derivanti dalle storture di essa; è “negativa”, invece, quando l’esame clinico-politico-socio-giuridico ci manifesta l’esistenza di qualcosa di marcio che mina la bontà del resto ordinamentale.

Abbiamo tutti presente la teoria della mela. L’agente esterno (il più delle volte insetto) si insinua nel frutto proprio perché ha una bontà naturale (una sorta di “biodotico”).

Ecco, il complesso sistema ordinamentale è proprio paragonabile alla funzione che ha il frutto: esso attira per forza di cose il parassita, il cibante, ecc.

Non va però disconosciuto o sottaciuto (a seconda delle interpretazioni che ognuno può dare) il ruolo dell’insetto. Quest’ultimo rappresenta due cose: – la bontà organica del bene rispetto all’ambiente; – la disattenzione della persona umana rispetto all’inefficienza delle eventuali accortezze di protezione (reti, antiparassitari, ecc.).

Il parallelo rispetto alla relazione tra potere e libertà ci consente, quindi, di ragionare nell’ottica per cui se il primo può consistere nella fase nascita (del frutto), il secondo sta nel come avviene la maturazione (diventando mela).

È qui che noi sappiamo, per comune esperienza, che la mela prima o poi cade: ma non può cadere lontano dall’albero.

Allora il potere è l’albero, la libertà il frutto.

È dove l’eccesso di linfa non è più una dote gestibile, con relativo immagazzinamento ingolfato, che l’ipotalamo (quale importante struttura dell’encefalo che dirige l’attività dell’ipofisi, una “ghiandola endocrina maggiore” fondamentale alla vita e al benessere dell’essere umano) rischia di essere, così come accade in anatomia, uno dei fattori dello scatenarsi di patologie (anche neoplastiche) in politica.

Una delle funzioni dell’ipotalamo è mantenere l’omeostasi corporea mediante la capacità di regolazione del senso di sazietà.

Su questo piano giunge una riflessione che porta a chiarire come il potere (ipotalamo) che non sia capace di equilibrare le dinamiche dell’autorità non solo verso i cittadini, ma soprattutto verso sé stessa, rischia di essere la concausa se non, per certi versi, la causa primaria delle fonti di appetibilità socio-politiche.

Le ultime vicende del sistema giudiziario, ad esempio, insegnano molto su questo fronte: autonomia ed indipendenza non significano autoregolazione e ghettizzazione della democrazia rispetto alle logiche di affermazione del potere.

In Italia vige il principio di separazione (interfunzionale, si consenta il termine) che non si traduce in isolamento istituzionale.

Anche l’ipotalamo, quindi, deve dialogare con gli altri organi del corpo per determinare gli input necessari alla regolazione di quanto di competenza.

Non è però che gli altri organi, specie quelli di deliberazione originaria (ad esempio il Parlamento), possono delegare all’infinito la percezione sociale della giustizia.

Essa è il risultato nelle norme (principio di derivazione) e se quest’ultime sono partorite maldestramente e/o disomogeneamente il risultato è presto che tratto: il potere apre le porte all’autorità che a sua volta colma un vuoto decisionale.

È o non è l’autoritarismo (che non significa per forza di cose elemento negativo dell’abbassamento dei livelli di potere) un riflesso della appetibilità di un vuoto politico?

Stessa cosa accade alla mela che, pian piano, tende a rinsecchirsi se non riceve più linfa equilibrata proveniente dal tronco una volta insinuatosi l’insetto.

Come può legittimarsi la mela marcia sull’albero?

È vero, essa resiste, ma prima o poi cadrà.

Ora, la nostra democrazia ha dovere di legittimare un Parlamento pieno di linfa perché le sfide della prossima legislatura saranno delicatissime.

È in questo “frattempo” il vero problema.

Come riorganizzare un giusto rapporto di potere tra legislativo, esecutivo e giurisdizionale posto che i primi due non dipendono da scelte di competenza ma da scelte di contingenza?

Sapere fare le norme con un rinnovato patto costituzionale delle future forze politiche può essere un inizio?

Il rischio è che la magistratura, volente o nolente, dovrà farà il proprio mestiere. Per certi versi potrebbe capitare di fare, non tanto lontanamente dagli ultimi decenni, anche quello dei primi due.

Non basta invitare il popolo al voto durante le campagne elettorali perché il voto senza competenza (cioè discernimento) equivale a vestire di autorità qualcuno che non conosce la sua anticamera: il valore del mandato (in cui si radica il vero potere).

Se la linfa non è buona, figuriamoci il frutto: ben colorato, ma pronto a farsi mangiare dagli insetti invece di nutrire gli individui.

E legittimando un frutto apparentemente sano, dimentichiamo che il tronco è malato e prima o poi votare avrà un solo senso: quello dell’infedeltà (e questo è incostituzionale come ci ricorda l’art. 54).

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