La tragedia italiana

Eravamo un popolo “di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori…”.

Questa, virgolettata, è la famosissima frase che Benito Mussolini pronunciò in un suo discorso del 1935.
E, infatti, essa descrive l’Italia, e gli italiani, come ricchissimo giacimento, riconosciuto universalmente, di fantasia e di creatività, di cultura e di opere d’arte, di monumenti e di storia, di identità.

Il fatto che il tessuto produttivo del nostro Paese sia costituito, per oltre il 90%, da Piccole e Medie imprese, statisticamente non più grandi dei 15 dipendenti, non è altro che la plastica traduzione delle citate caratteristiche della italica gente: insofferente alle regole, attaccata alla libertà della vita e del pensiero, intraprendente e costruttrice, poco incline alla sudditanza.

 

Eppure, dalla fine degli anni ’70 ad oggi, in mezzo secolo, c’è stato un sorprendente cambiamento.

Siamo diventati un popolo con la “norma” incorporata nel DNA.

Non sappiamo più vivere senza la “norma”. Abbiamo bisogno, addirittura, di modelli preconfezionati per scrivere una domanda o una istanza.  Consideriamo la “norma” essenziale e indiscutibile. Abbiamo perso il senso dell’obiettivo per abbandonarci alle convenzioni delle procedure e dei processi, benché demenziali. Siamo talmente insicuri e frustrati che non riusciamo a fare a meno dell’esperto e del professionista, in tutti i campi, perché la sovrastruttura normativa è talmente asfissiante che non riusciamo a vivere senza la “coperta di Linus” dell’amico esperto.

Il risultato è che, in Italia, è tutto difficile: non si riesce a concludere nulla; in sostanza siamo un popolo immobile.

 

È chiaro che questo scenario possa sembrare irreale ai ben pensanti che non possono fare a meno, credo, d’obiettare: “Ma come, la norma non serve”? “Per piacere, non siamo superficiali; facciamo le cose per bene!”. E così via.

Ma, intanto, il disagio ci pervade proprio perché viviamo una vita non nostra.

Sintetizzando, siamo in un sistema sociale “controllato” e non “governato”.

Per non essere tacciati come gente “antisistema” e piagnona, visto che siamo invece consapevoli che la società civile è un “sistema complesso” e come tale va “governato”, vogliamo fare alcune concretissime e verificabili considerazioni, ponendo attenzione ad alcune spie, oramai sempre accese, ma che vengono sistematicamente ignorate.

 

Spia N1: INCAPACITA’ di GOVERNO.

Tutti siamo consapevoli che bisogna “fare le riforme” per rilanciare il Paese, ma la politica non sa cosa e come fare, in questo ambiente farraginoso. Così ci si riduce a qualche aggiustamento gattopardesco sempre orientato a ispessire lo strato normativo. Per esempio, tutti asseriscono che il PNRR sia una opportunità di crescita economica e sviluppo sociale; ma dei cosiddetti progetti “d’investimento buono”, fra l’altro affidati alla vorace Pubblica Amministrazione, non se ne vedono.

Cingolani e Colao, i Ministri della “transizione”, ambientale, energetica e digitale – temi molto cari al Presidente del Consiglio e al Parlamento – hanno prodotto solo la puzza del famoso topolino partorito dalla montagna; una montagna, costosissima.

Forse perché tutti e tre sono tecnici e non politici?

Come sappiamo, l’Italia gestirà un ammontare di 223,91 miliardi di euro.

Nel complesso, il 27 % delle risorse è dedicato alla digitalizzazione, il 40 % per il contrasto al cambiamento climatico e più del 10% alla coesione sociale.

Qualcuno sa individuare gli “investimenti buoni”?  Il 27% è fatto da server, reti, “apps” che sono parenti del “monitoraggio e controllo”; il 40% sono soldi che si spendono (a carico dei contribuenti) per “apparare” danni ambientali prodotti da una politica prospettica storicamente inesistente; il 10% ricorda i bonus per tenere buona la gente mentre sovrasta la onerosa cappa dei guai delle mancate riforme, della pandemia e della guerra che l’italiano non vuole.

Questa storia qualcuno la legge in maniera diversa?

Spia N2: esorbitante numero di togati.

Il Rapporto Censis del marzo 2021, redatto insieme Cassa Forense (ente previdenziale di categoria) e altri siti ufficiali quali quello dell’OUA (Organismo Unitario Avvocatura), dichiarano che in Italia c’è un esercito in toga: 245.000 mentre, nel 1985, non arrivavano a 49.000. Un boom incredibile in un trentennio! Addirittura, in Lazio e Campania, ce ne sono 66.000, più che in tutta la Francia che ne conta 60.000.

Al 1° gennaio 2021, il numero degli avvocati erano 245.000 in Italia, 166.000 in Germania, 60.000 in Francia.

Non vi sembra che si debba concludere che qualcosa non va nell’equilibrio generale del nostro Paese? Come mai la società italiana ha preso questo orientamento? Tanti avvocati significano tantissimi conflitti. Siamo proprio sicuri che il numero dei conflitti reali siano sufficienti ad alimentare la potenza di fuoco dell’esercito degli avvocati? Forse tanti di loro sono disoccupati e vanno ad ingrossare, per vivere, le fila di chi ha bisogno di sbarcare il lunario, con ogni mezzo.

 

Spia N3: Il numero esorbitante delle “norme”.

Quante sono le norme in Italia? Il Poligrafico di Stato dichiara che gli atti normativi in vigore sono circa 111mila. Però si limita al numero di quanto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, a sola valenza nazionale. Poi c’è tutta la Pubblica Amministrazione Locale.

Meno male che l’ex ministro per la Semplificazione Normativa, Calderoli, ha dichiarato di essere riuscito a tagliare la bellezza di 375mila leggi inutili: una enormità!

Il Presidente della Repubblica, con i suoi DPR, è l’Organo costituzionale più prolifico: la metà delle norme totali e il quadruplo delle leggi parlamentari.

Ci sarebbe da chiedersi quale sia, nella Repubblica parlamentare italiana, l’Organo Costituzionale Legislativo. Il 18 aprile 2020, Paolo Zabeo, dell’Ufficio studi della CGIA, scrive: “In Italia si stima vi siano 160.000 norme, di cui 71.000 promulgate a livello centrale e le rimanenti a livello regionale e locale.

In Francia, invece, sono 7.000, in Germania 5.500 e nel Regno Unito 3.000”.

 

Spia N4: L’insostenibile costo della Burocrazia per la Economia Reale.

Il centro studi della Cgia di Mestre stima in € 100 mld il costo, per le Piccole e Medie Imprese, nell’applicazione delle complesse procedure e disposizioni burocratiche.  La stima è relativa al solo mondo delle PMI, ma c’è tutta la Società cCvile che sopporta costi assurdi quando viene a contatto con la Pubblica Amministrazione. Ciò induce la necessità di usare professionisti esperti che sappiano navigare nel labirinto delle norme, delle procedure e dei processi. La burocrazia non è al servizio del cittadino ma è un gravissimo ostacolo alla qualità della vita.

Paolo Zabeo dichiara, per le PMI:
“La stima del costo che incombe sul nostro sistema produttivo per la gestione dei rapporti con la PA ammonta a 57,2 miliardi di euro; se a questi aggiungiamo anche i mancati pagamenti da parte dello Stato centrale e delle Autonomie locali nei confronti dei propri fornitori … il cattivo funzionamento del nostro settore pubblico grava sul sistema produttivo italiano per quasi € 100 mld all’anno”.

Qualcuno potrebbe obiettare, da incompetente, che la digitalizzazione risolverebbe tutti i problemi. È bene che lo si tranquillizzi: se la progettualità applicativa non è basata sulla flessibilità e sulla adattabilità alla evoluzione, la digitalizzazione diverrà essa stessa una armatura di ferro perché “congela e potenzia”, irrimediabilmente, gli strati normativi. Su questo versante il PNRR non affronta il reale problema.

In conclusione, l’Economia Reale e la Società Civile oberate dal cancro burocratico, arranca, anche affannata, fra pandemia e guerra; inoltre siamo in uno scenario sociopolitico “controllato” e non “governato”.

 

Con tutti questi dati a disposizione, se voi foste al governo, da dove comincereste?

Badate che facendo finta di nulla e lasciar fare non è una soluzione.

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