La vocazione eterodossa di Cornelius Castoriadis

Raffaele Alberto Ventura ha curato per la Luiss University Press una raccolta antologica di testi di Cornelius Castoriadis per lo più inediti in Italia (Contro l’economia. Scritti 1949-1997) che consente di accostarsi a un testimone privilegiato della seconda metà del secolo scorso. Del nostro tempo Castoriadis ha colto tutte le ambiguità che hanno anche segnato il corso del suo pensiero. Lasciò la Grecia, dove aveva militato in formazioni trotzkiste, per raggiungere Parigi nel 1945, insieme a due figure che assunsero un ruolo significativo nella cultura francese del dopoguerra, i filosofi Kostas Axelos e Kostas Papaioannou. La vocazione costitutivamente eterodossa di Castoriadis, che in quegli anni si manifestava nei confronti degli orientamenti stalinisti assunti dai partiti comunisti in Francia e in Europa, caratterizzò ogni momento del suo impegno politico e della sua ricerca, anche quando prese le distanze dal marxismo.
L’itinerario esistenziale e politico di Castoriadis è stato scandito da scelte che possono apparire dissonanti. Lavorò infatti all’OECE, poi OCSE (Organizzazione per lo sviluppo economico dal 1948 al 1970) e fu al tempo stesso tra i fondatori di Socialisme ou Barbarie, la rivista che prese il nome da una espressione di Rosa Luxemburg. Su quelle pagine, adottando diversi pseudonimi, sferrava i suoi attacchi a un modello economico che conosceva dall’interno fin troppo bene, per aver collaborato alla gestione del Piano Marshall e alle politiche che condussero alla formazione dell’Unione Europea. Dietro gli pseudonimi di Paul Chaulieu, Paul Cardan, Marc Noiraud, dal 1949 al 1965, Castoriadis mosse le sue critiche verso quel burocratismo che a suo avviso accomunava capitalismo e comunismo, a cui contrapponeva la vitalità della democrazia diretta dei consigli operai, difesi da Rosa Luxemburg contro il centralismo leninista.
In questa tensione libertaria emergevano anche le suggestioni del situazionismo, con le ambiguità che caratterizzarono quel movimento, in cui confluirono, insieme a lui, figure diverse come Guy Debord, Claude Lefort, Jean Francoise Lyotard. L’Internazionale situazionista, nata nel 1957, si proponeva di legare l’arte alla città, favorendo una partecipazione ampia in cui la libertà espressiva potesse tradursi in un esercizio di effettiva democrazia. I situazionisti entrarono in conflitto con i partiti comunisti in quanto contestavano la stessa forma-partito, riconoscendosi in movimenti nei quali il marxismo sconfinava nell’anarchia. Il ’68 parigino divenne così, pur con le sue contraddizioni, il momento nel quale questo sentire prese corpo con tutta la sua forza.
L’avversione nei confronti del centralismo dei socialismi reali lo spingeva verso una forma di revisionismo che non aveva i caratteri della socialdemocrazia, ma si orientava a sinistra rispetto ai partiti comunisti. Ecco perché pensava che si dovesse scegliere tra restare marxisti o essere rivoluzionari. Non ritrovava più, infatti, nel marxismo, gli strumenti concettuali per comprendere il presente. Nella consapevolezza che la classica contrapposizione di scuola marxista tra struttura economica e sovrastruttura ideologica non fosse sufficiente a spiegare la realtà sociale, Castoriadis, conclusa la sua esperienza all’OCSE e la collaborazione a Socialisme ou Barbarie, si dedicherà a indagare intorno alla dimensione immaginaria del capitalismo. Nella concezione dello sviluppo illimitato, insostenibile sul piano razionale, coglierà allora l’elemento che sta alla base delle società contemporanee: un immaginario sociale in cui l’uomo comune si riconosce, identificando la sua esistenza con il miraggio del consumismo e della crescita. Il libertarismo di Castoriadis si propone di tenere insieme, utopicamente, un socialismo che escluda da
sé la centralità del partito e un’etica liberale che non sia incentrata sulla difesa della proprietà, al fine di difendere l’autonomia degli individui dal potere burocratico in qualunque forma esso si manifesti. Come ha sottolineato Ventura nella prefazione al libro, nell’accostarsi oggi a Castoriadis vi è il rischio di “scindere la critica della burocrazia dal progetto rivoluzionarwo (come tentarono di fare i nouveaux philosophes) ma anche la critica del capitalismo dalla difesa dei principi democratici (come invece è tentata di fare la nouvelle droite)”. Per Castoriadis la divisione del lavoro tanto nel capitalismo, quanto nel socialismo reale, “mette inevitabilmente a rischio il senso dell’esistenza” e possiamo salvarci dalla barbarie solo se realizziamo un socialismo inteso come “una società di individui realmente liberi e uguali, liberi in quanto uguali, uguali in quanto liberi. La società autonoma”.
Nei Paesi socialisti, secondo Castoriadis, lo sfruttamento dei lavoratori non è stato abolito, ma si è espresso in una subordinazione nei confronti dei burocrati del partito. L’alienazione potrà essere
superata solo quando gli individui e le società cesseranno di essere eterodiretti da figure carismatiche o da pretese leggi universali dell’economia. L’attualità del suo pensiero emerge anche nell’ambito di una riflessione sui limiti dello sviluppo capitalistico, un tema, questo, che andrebbe però affrontato tenendo conto anche di voci critiche da sempre presenti nell’ambito del pensiero liberale, da Smith, a Tocqueville, a Mill.
Già nel 1848, nei suoi Principi di economia politica, Mill si chiedeva infatti che senso avesse vivere in un mondo in cui nulla fosse “lasciato all’attività spontanea della natura”, nel quale cioè ogni realtà naturale venisse ridotta a oggetto da manipolare. Se la bellezza della terra – scriveva – dovesse essere compromessa da un aumento indiscriminato della ricchezza e della popolazione senza alcuna possibilità di assicurare agli uomini una vita felice, sarebbe preferibile scegliere di vivere “in uno stato stazionario”, prima di trovarsi costretti a doverlo fare per necessità. Tale scelta, precisava, non implicherebbe però una condizione stazionaria del progresso intellettuale, sociale e morale. Con la mente rivolta ai suoi amati classici, pensava infatti che, una volta che gli uomini si fossero liberati dalla “gara” per uno sviluppo fine a se stesso, avrebbero potuto dedicarsi a “perfezionare l’arte della vita”.
Nel processo storico che ha condotto l’uomo occidentale a fondare le istituzioni democratiche, Castoriadis pone in primo piano l’esperienza della democrazia ateniese che in maniere diverse ha in
seguito preso forma nei Comuni medievali, nel Rinascimento, nella Riforma, nell’Illuminismo, per giungere al liberalismo e poi al movimento operaio. Questi momenti storici divengono i “significati
immaginari centrali” che hanno scandito il cammino della storia occidentale dalla Polis ateniese ad oggi.
Ecco allora che l’immaginario, dunque la sovrastruttura, influenza la struttura economica, che per un marxista ortodosso dovrebbe rispecchiare l’assetto autentico della società. Si potrebbe allora dire che per Castoriadis, in questo caso, Weber prevale su Marx. Tali riflessioni, maturate durante gli anni di Socialisme ou Barbarie, assumono una veste organica nel 1975 in L’istituzione immaginaria della società, il libro in cui esce allo scoperto, rinunciando agli pseudonimi adottati negli anni della Rivista.
Per Castoriadis l’immaginario del Mondo moderno, dal Settecento alla metà del Novecento, sarebbe stato caratterizzato dalla dialettica tra una esigenza di autonomia e di libertà critica e una forma di organizzazione totale che, attraverso il capitalismo o il centralismo comunista avrebbe esercitato il suo controllo sulla società e sugli individui. Nel corso del Novecento la lotta per l’autonomia si sarebbe espressa solo in quei movimenti che si sono opposti al potere diffuso e capillare del capitalismo globale, potere che nei socialismi reali è stato incarnato dal partito.
Se la ricostruzione storica del percorso che ha condotto alla conquista dell’autonomia sul piano politico ha certamente in Castoriadis un carattere eurocentrico e più precisamente ellenocentrico, il metodo che egli delinea non si esaurisce entro i confini di ciò che convenzionalmente chiamiamo “Occidente”. Se infatti le rivendicazioni di movimenti come Fridays For Future o Occupy Wall Street hanno rappresentato un fenomeno diffuso prevalentemente nelle democrazie liberali, altri movimenti di massa di stampo libertario si sono sviluppati anche all’interno di sistemi autoritari. Lo dimostrano le Primavere arabe del 2010-2011 e lo dimostra, in questi giorni, la rivolta delle donne iraniane che, rivendicando coraggiosamente le loro libertà, esprimono uno di quei “significati originari centrali” a cui Castoriadis attribuiva la forza di cambiare la società.

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