Lo Stato siamo noi, non i segretari di partito

L’osservazione delle scelte di politica economica e le dichiarazioni di vari esponenti del governo, o di esponenti dei partiti che sostengono il governo, prospettano un futuro populista e “venezuelano” con un marcato senso di sfiducia nel mercato, nelle imprese e nell’iniziativa dei privati.
Alla base di tutto c’è una colossale inversione del rapporto tra stato, partiti politici e cittadini che rappresenta da sempre il “terzo segreto di Fatima” della politica italiana.
Lo Stato è in realtà la collettività dei cittadini che regola i rapporti tra le persone attraverso le leggi, garantisce l’ordine pubblico e il rispetto delle leggi e opera una funzione redistributiva della ricchezza attraverso la tassazione garantendo servizi essenziali come la sanità e l’istruzione.
Questa funzione viene esercitata attraverso una rappresentanza politica definita dalla costituzione che attraverso l’elezione definisce i rappresentanti della popolazione delegati alla difesa di queste funzioni essenziali.
Si presuppone che questi rappresentanti agiscano nell’interesse di chi li ha votati, ma così in Italia non è da molti anni. Appena eletti i rappresentanti del popolo esprimono primariamente l’interesse a essere rieletti o a mantenere il loro potere personale, cercando consenso di breve e manipolando il potere legislativo ed economico di cui dispongono per l’esclusivo interesse della loro parte politica e personale.
Il rapporto tra cittadini ed eletti diventa quindi una specie di voto di scambio con conseguenze drammatiche sul futuro della nostra comunità.

IL VOTO 2018 E LE SUE IMPLICAZIONI
In Italia da molto tempo ormai c’è una assoluta inversione dei fini e dei mezzi di questo rapporto. I partiti politici si interpongono tra lo stato e i cittadini e utilizzano per i loro propri fini elettorali le risorse dello stato, pur nella evidenza che tali risorse non sono dei partiti ma dello stato e dei cittadini. Ovviamente la “scusa” è che lo fanno per il bene della popolazione che li ha eletti ma l’evidenza è assolutamente opposta. Il voto 2018 che ha premiato 5 Stelle e Lega, entrambi populisti e privi di competenze specifiche, per poi confluire in un governo che esprime oltre ai 5 Stelle la parte statalista e anti impresa del PD, ha già evidenziato questa inversione e porterà conseguenze molto pesanti sul futuro del paese. Purtroppo, il peggiore voto e il peggiore parlamento, nel peggiore momento (Covid) della nostra storia.
Alcuni esempi
· Il reddito di cittadinanza è un chiarissimo trasferimento di risorse in deficit dalle future generazioni, che dovranno pagarlo e non votano, ad alcuni che ne usufruiscono e votano. Al di là del merito della questione su cui personalmente penso che rubare risorse ai nostri figli sia deprecabile e quasi non etico, viene presentato come una “provvidenza” dello stato intermediata da un partito, i 5 Stelle in questo caso, come se lo stato fosse un buon padre di famiglia che pensa ai cittadini meno abbienti. Non è così ed è un chiaro trasferimento intergenerazionale che dovrebbe essere presentato come tale e discusso come tale, per di più in un contesto demografico che va a punire chi già dovrà sostenere un onere smisurato per le folli politiche di spesa degli ultimi 40 anni.
· Quota 100 è lo stesso concetto. Premia un numero ridottissimo di cittadini a scapito dei giovani che dovranno pagare l’onere. Anche in questo caso la Lega ne fa una bandiera ideologica come se il costo non ci fosse, mentre invece esiste, è cospicuo ed è un secco trasferimento di risorse a scapito di chi non vota. Sia quota 100 che reddito di cittadinanza sono chiaramente provvedimenti populisti tendenti a raccogliere consenso e voti… pagati dai nostri figli. Prendo soldi da chi non vota (o non capisce…) e catturo consenso per il mio partito e implicitamente per me stesso. Spendere oggi a debito è sempre “giusto” e bello. Non dire chi e come pagherà il debito contratto è disonesto ed eticamente scorretto.
· Le nomine pubbliche non riflettono la ricerca di persone che abbiano il massimo della competenza ma il massimo dell’appartenenza. Il manuale Cencelli a cui si è assistito anche questa primavera per nominare consiglieri di amministrazione delle aziende pubbliche, in cui essere nato a Pomigliano d’arco (concittadino di Di Maio) o avere legami storici con il Pd è titolo massimo di merito, è vergognoso quanto ormai una tradizione italiana che non fa più nemmeno notizia. Se sono al governo dovrei cercare i migliori per ogni cda e per ogni carica pubblica, indipendentemente dall’appartenenza e dalla fede politica. I migliori sono selezionati per curriculum, esperienza, realizzazioni. Invece si scelgono i migliori nel ristretto cerchio di chi è ritenuto fedele al partito, proprio nella convinzione che una nomina di vicinanza al partito possa essere ricompensata poi nella gestione della carica con la stratta osservanza delle tesi del partito stesso. Mi è evidente che difficilmente un partito possa scegliere nemici politici per le proprie nomine, ma è la misura e la diffusione della lottizzazione delle cariche che ha assunto in Italia vertici assoluti di inefficacia. Prova ne sia che la grande maggioranza dei “nominati” (non tutti per fortuna…) non riesce in caso di cambio di governo a trovare alcun incarico presso aziende o enti privati, a dimostrazione che il criterio di nomina è l’appartenenza e non la competenza. I casi in cui un manager che ha fatto gran parte della carriera in ambito pubblico viene assunto da privati si contano sulle dita di una mano, nonostante stipendi più elevati e il desiderio di ciascun privato di assicurarsi il miglior talento possibile. La spiegazione è ovvia e rende anche evidente lo scambio dopo la nomina. Poiché non ho alcun mercato fuori dal pubblico, mi attivo per essere nominato sempre e costantemente nel pubblico garantendo supporto e “riconoscenza” a chi mi nomina.
· La presenza dello Stato nelle aziende private evocata da molti esponenti 5 Stelle e da qualche esponente PD (non tutti per fortuna, ma ad oggi la parte del partito che ne governa la linea politica) è un’altra linea di tendenza chiarissima. I casi Autostrade, Alitalia, a cui tra breve seguirà Ilva e poi anche (ahimè…) Tim/Open Fiber configurano una visione del mondo in cui nel supposto e proclamato interesse pubblico lo stato interviene nella gestione delle aziende. Gli strafalcioni logici sono incredibili. Basti pensare alla dichiarazione (Di Maio) “dopo la quotazione Autostrade dovremo lavorare perché non sia assoggettata alle logiche di mercato”. Ora ci si chiede come e perché un investitore voglia investire in un’azienda di cui dichiaratamente il partito di maggioranza dice che verrà assoggettata a logiche “NON DI MERCATO” deprimendo il valore dell’investimento. In realtà anche in questo caso la logica è chiarissima, ancorché contraria all’interesse generale dei cittadini. Più lo stato entra in settori strategici, o in generale in aziende che operano sul mercato visto che la vera funzione obiettivo è la conservazione del potere politico per una parte politica, più le azioni di queste aziende saranno orientate al beneficio di una parte politica, e le relative nomine saranno in tal senso orientate. Non ci si chiede se Alitalia ha una possibilità di sopravvivere (non ne ha nessuna), ma ci si chiede quali privilegi e potere (dal saltare la coda al nominare il management) possa il partito di governo ricavare da Alitalia. Costa 3 miliardi? Non importa, è debito a carico dei nostri figli che non votano. Non ci si chiede come regolare il conflitto di interessi tra manutenzioni delle autostrade e rendimento dell’investimento. Al momento opportuno se dovesse costare soldi saranno sempre soldi pagati da non votanti e invece un’eventuale provvedimento populista di calo delle tariffe sarà “venduto” al popolo come una lodevole iniziativa del partito al potere. Non ci si chiede se queste azioni molto garibaldine di ingerenza in aziende quotate (Enel, Tim, Atlantia) abbiano l’effetto ovvio ed evidente di scoraggiare e rendere pressoché impossibile la capacità di attrarre capitali stranieri in un paese dove il governo si permette di imporre nazionalizzazioni o “sinergie” tra aziende pubbliche (Mazzuccato, Il Sole 24 Ore 16 luglio) in un contesto dove avremmo disperato bisogno di credibilità presso investitori internazionali. Mettiamoci nei panni di Blackrock (il più grande asset manager del mondo) o del fondo statale norvegese (circa 1 trilione di investimenti in azioni). Dopo la sagra Autostrade, le dichiarazioni di Grillo e Mazzuccato su Tim, Alitalia e Ilva, onestamente nel comitato investimenti io credo che ogni e qualsiasi investimento in Italia debba richiedere almeno il 2% di rendimento in più per compensare il rischio di interferenza politica. Per chiarezza, se si chiede il 2% in più di rendimento l’ammontare del valore investito (il prezzo a cui investo) scende in modo uguale e contrario. Quindi queste dichiarazioni e queste scelte hanno di fatto fortemente ridotto il valore dei nostri assets e danneggiato in modo molto grande il patrimonio di tutti noi. Ma nessuno se ne rende conto. Dopo avere sconfitto la povertà, oggi ci affacciamo dal balcone e… abbiamo le autostrade (che incidentalmente essendo in concessione erano sempre state dello stato).
Questi esempi alla fine riconducono sempre a una visione univoca del mondo o meglio a un’ideologia. La convinzione di essere i migliori (legittima ci mancherebbe) rende quasi necessaria la ricerca del consenso per affermare la propria visione del mondo, anche se questa ricerca del consenso fosse costosa per chi sostiene lo stato, cioè i cittadini contribuenti. C’è quasi una giustificazione etica nel distruggere risorse pubbliche.
Ugualmente manca completamente la consapevolezza che l’intera macchina dello stato dipende dalle tasse versate dai privati, e che in periodi difficili e complessi come questo la difesa della base imponibile, e cioè la capacità dei privati di creare ricchezza, è fondamentale per la sopravvivenza stessa dello stato
Infine, esiste un evidente e pesantissimo bias anti impresa e anti privato. Per vasti strati della politica oggi le imprese e i privati sono nemici, evasori fiscali a prescindere, come se si volessero sottrarre al principio di sottomissione al superiore interesse pubblico, rappresentato dal… partito. Quindi vanno puniti, controllati, sospettati. Non invece aiutati, incentivati e liberati. La capacità di selezione dei rischi e la distruzione creativa tipica del capitalismo di mercato è punita. Meglio non prendere rischi di sorta e scaricare l’onere del declino inesorabile che ne segue sui… futuri contribuenti che come noto non votano. Chiederci perché da noi non esiste venture capital o innovazione è pleonastico. Perché mai dovrei rischiare, se esiste un’altra possibilità e cioè accodarsi alle mille provvidenza delle “stato” e gestire monopoli a basso rischio? La consapevolezza che la vita stessa dello stato dipende dalle tasse versate dai privati produttivi viene accuratamente nascosta. Per riferimento il 40% dell’IRPEF versata dal 5% dei contribuenti e dal 1,5% della popolazione italiana. L’azione del governo è cercare di scoraggiare in tutti i modi questi contribuenti a produrre ricchezza e base imponibile.
La prima repubblica aveva come modus operandi l’intermediazione anche economica delle risorse statali ed è stata spazzata via con azione giudiziaria. La seconda invece prosegue nello stesso canovaccio senza tangenti (o con meno tangenti) di certo, ma perpetuando la stessa logica di conservazione del potere attraverso intermediazione del denaro dei contribuenti, indipendentemente dalle implicazioni sul futuro del paese.

IL FUTURO CHE VERRA’
Il futuro che verrà sarà inesorabilmente diverso e, ahimè, potrà prendere anche derive quasi estreme viste le premesse. Il Covid ha aumentato del 40% circa il rapporto debito/Pil che arriverà al 170%. Quindi quale che sia l’esito dei negoziati sul recovery fund, l’Italia dal 2021 non avrà più possibilità di indebitarsi liberamente. Dovrà sottostare a pesanti condizionalità e dal mio punto di vista è bene che sia cosi, per interrompere il ciclo indebitamento per comprare il consenso che ho descritto sopra. Chiunque conosca i mercati sa benissimo che la pretesa di non avere condizionalità con la moneta comune (che è imprescindibile) e con un siffatto debito è pura demagogia populista. La Germania, e probabilmente anche gli USA, hanno deciso che vogliono salvare l’Italia, per convenienza e per motivi geopolitici. Quindi sosterranno il nostro debito, ma non sosterranno ad evidenza lo scambio scellerato tra debito e potere dei partiti. Da qui la condizionalità.
Tra l’altro nel 2021, la BCE che finora ha sostenuto con acquisti molto ampi le nostre emissioni di debito, inizierà ad applicare di nuovo la Capital key vale a dire l’acquisto di debito italiano solo in proporzione alla quota italiana (17%). Ciò significa che gli acquisti fatti nel 2020 impediranno azioni massive nel 2021 sul debito italiano con evidenti e immediate conseguenze sullo spread.
Qualsiasi partito che si illude che ciò non accada sbaglia e i prossimi 12-18 mesi saranno facile dimostrazione. Spero che la dimostrazione non avvenga con l’ennesima crisi dello spread. Ma temo invece che sarà così. Come Paese non abbiamo molta capacità di affrontare in tempo i problemi, gestiamo piuttosto la crisi. In ogni caso una delle due affermazioni deve essere vera. O il governo (quello di oggi o quello di domani) inizia seriamente a riformare l’economia, la giustizia e ridurre la spesa improduttiva e a perseguire una politica di crescita e sviluppo quasi forzato, oppure la crisi di debito arriverà. Tertium non datur. Se i partiti non lo capiscono saranno spazzati via tanto quanto è successo ai partiti della prima repubblica. Sembrano peraltro non capirlo per nulla, ed è facile prevedere un ridimensionamento a 1/3 circa rispetto al 2018 dei 5 Stelle e quindi la sostanziale irrilevanza.
Quanto al PD l’esito dipende da quale PD avremo. Orlando/Bettini/Franceschini a cui si aggiunge il nuovo responsabile economia Felice, oppure all’opposto Gori/Nannicini/Bonaccini. La questione di quale PD è irrisolta da 10 anni e il fenomeno Renzi (al di là degli errori commessi) dimostra come il PD strutturalmente non abbandoni posizioni stataliste.
Lega e Fratelli d’Italia avranno facile gioco nell’evidenziare errori e incongruenze evidenti. Ma non portano avanti politiche riformiste e pro sviluppo di alcun tipo.
Si aprirà uno spazio politico molto ampio che potrà essere occupato o da Lega e Fratelli d’Italia o da un nuovo partito/movimento europeista, riformista, a favore dello sviluppo e delle imprese e con un chiaro obiettivo di combattere evasione fiscale. Non si vede ad oggi questo spazio, anche se è mia convinzione che dopo il fallimento del voto 2018 una larga parte dell’elettorato percepisca in modo chiaro la necessità di trovare competenza e visione e non solo populismo contro un finto nemico (l’Europa, gli immigrati, le imprese, le banche, la casta…) in un contesto assai problematico come quello in cui ci troviamo.
Voglio pensare che il voto 2018 sia stata una protesta, e che dopo 3 o 4 anni di esperienza ci si renda conto che bisogna governare nell’interesse dei cittadini e che la protesta… non ha pagato, anzi è stata molto costosa.
Un primo e importantissimo test sarà il referendum sulla riduzione dei parlamentari promosso dalla Fondazione Luigi Einaudi. La legge fortemente voluta dai 5 Stelle è l’ennesimo esempio di populismo a danno dei cittadini e a difesa dei privilegi dei 5 Stelle stessi. Se la riduzione dei parlamentari passasse e non fosse invece respinta dal voto NO, sarebbe praticamente impossibile votare prima del semestre bianco per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica a gennaio 2022, perpetuando per altri 18 mesi questo parlamento con cospicua rappresentanza dei 5 Stelle, visto che è a tutti chiaro che nel prossimo parlamento i 5 Stelle in parlamento saranno un quarto o anche meno rispetto a oggi. Ma al di là delle motivazioni contingenti di parte, la riduzione dei parlamentari spacciata per un risparmio (risibile e quasi irrilevante sul bilancio dello stato) porta enormi problemi in termini di rappresentanza territoriale e allontana ulteriormente il rapporto cittadino parlamentare perpetuando i problemi sopra descritti. Nel populismo generale solo la fondazione Einaudi ha avuto il merito e il coraggio di chiedere il referendum, che oggi nessun partito appoggia. I sondaggi parlano di una cospicua maggioranza contro il referendum e a favore della riduzione dei parlamentari. In realtà votare NO al referendum e non confermare la legge di riduzione dei parlamentari sarebbe una clamorosa occasione per un primo segnale di risveglio dopo il 2018 e per chiarire che la sbornia populista e incompetente dei 5 Stelle… sta passando. Speriamo che il NO vinca, o come minimo che la percentuale di NO sia elevata nonostante TUTTI o quasi i partiti siano per il sì.
Indipendentemente da chi sarà premiato dalle elezioni, i vincoli del debito e l’”imperativo categorico” dello sviluppo saranno entrambi molto evidenti. Non abbiamo scelta (pena il drammatico default) e credo che i nostri partner geopolitici non ci lascino molto spazio di manovra come contropartita per l’aiuto che ci offrono.
Da 40 anni viviamo in questa bolla irreale di indebitamento crescente. La speranza e l’auspicio è che possiamo trovare una stagione di governo di “illuminati”, genuinamente poco interessati alla perpetuazione del proprio potere nel tempo, consapevoli dei vincoli e capaci di affrontare un difficilissimo percorso di riforme moderne, ostili ai partiti come intermediatori pretestuosi della spesa pubblica, e all’opposto strenui difensori della libertà di impresa e dei cittadini contribuenti che sostengono con il loro lavoro lo stato.
Io penso che ci sarà una distruzione creativa anche nella politica e che le vittime siano i partiti cosi come li conosciamo. Non necessariamente questo è un bene perché la gestione della cosa pubblica è attività complessa e richiede competenze specifiche molto elevate. Ma se i partiti sono espressione di populismi vari e quindi incompetenti, o espressione di una ideologia assolutamente perdente e antistorica, inevitabilmente saranno spazzati via proprio perché incompatibili con il nuovo ordine post-Covid.
Già nel 2018 è successo un assaggio di questa tendenza e purtroppo la deriva non è stata positiva per i motivi noti. Nelle prossime elezioni inevitabilmente assisteremo a un nuovo ordine e alternativamente si scivolerà nel populismo più bieco e nella inevitabile crisi che ne conseguirà, oppure auspicabilmente in una struttura politica più moderna di movimenti e non di partito, di idee e non di ideologie, di convergenza e collaborazione tra persone e non all’opposto “partiti persona” (one man show), che potrebbe essere anche una stagione di incredibile riscossa del potenziale che l’Italia può esprimere.
I prossimi mesi saranno decisivi e dipende alla fine da tutti noi, dal nostro voto, dalla capacità di mobilitare ed educare coscienze e sfuggire dal populismo, dalla consapevolezza della sfida che abbiamo di fronte per i nostri figli. Loro, i nostri figli, assistono in silenzio, e le nostre scelte ricadranno su di loro. Io credo che ogni volta che si sceglie per i nostri figli si sceglie bene, anche con sacrificio, ma bene. Questo è l’unico motivo di ottimismo perché la natura umana è più forte dell’ideologia come la storia ha sempre dimostrato in Europa nel 1945, in Cina nella rivoluzione culturale, a Berlino nel 1989, e spero anche in Italia nel 2020/21. Viviamo tempi straordinari e straordinario sarà l’esito. Nel bene o nel male.

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