PNRR: Analisi e critiche

L’ultima versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentato dal Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2021 si articola in 6 missioni, che a loro volta raggruppano 16 Componenti funzionali a realizzare gli obiettivi economico-sociali definiti nella strategia del Governo oramai dimissionario.

Le Componenti si articolano in 48 Linee di intervento per progetti.

Per ogni Missione, come indicato nella Parte II del documento, sono indicate le riforme necessarie a una più efficace realizzazione, collegate all’attuazione di una o più Componenti.

Le sei Missioni del PNRR rappresentano aree “tematiche” strutturali di intervento:

  1. Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura;
  2. Rivoluzione verde e transizione ecologica;
  3. Infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  4. Istruzione e ricerca;
  5. Inclusione e coesione;
  6. Salute.

 

Secondo la Tavola 1.1 a pagina 22 le risorse impiegate per il PNRR corrispondono a 209,9 Miliardi di Euro al quale si devono aggiungere 13 miliardi del React Eu per le politiche di coesione che portano il NGEU ad un totale di 222,9 miliardi di euro che comprendono tuttavia circa 20 miliardi di euro dei Fondi per lo Sviluppo e la Coesione per il 2021-2027 che sarebbero comunque stati destinati al nostro paese.

Secondo le conclusioni del Consiglio europeo, l’insieme dei fondi europei compresi nel Quadro Finanziario Pluriennale e nel Next Generation EU mettono a disposizione dell’Italia un volume di circa 309 miliardi di euro nel periodo 2021-2029.

Il Dispositivo Europeo di Ripresa e Resilienza (RRF), la principale fonte finanziaria del Piano di Ripresa e Resilienza dell’Italia, assicura al nostro Paese nel periodo 2021-26 circa 65,5 miliardi di euro di sovvenzioni e 127,6 miliardi di euro di prestiti, ovvero complessivi 193,1 miliardi.

Con le revisioni delle previsioni macroeconomiche della Commissione e il cambiamento dell’anno base per il calcolo degli importi, le risorse disponibili per l’Italia sono salite a 196,5 miliardi.

Tornando ai 209,9 Miliardi di Euro di risorse complessivamente allocate nelle sei missioni del PNRR, di questi, 144,2 miliardi finanziano “Nuovi progetti”, mentre i restanti 65,7 miliardi sono destinati a “progetti in essere”.

CRITICITA’

Ammesso e non concesso che la Commissione Europea approvi “in toto” il piano presentato dall’Italia, c’è da rilevare che la puntuale verifica del cronoprogramma dei progetti e il confronto con la stessa relativo alla loro piena ammissibilità potrebbe determinare una riduzione dell’ammontare di risorse autorizzato modificando di conseguenza tutti gli indicatori di crescita che sono contenuti all’interno della Nota di Aggiornamento al DEF.

Nella Nadef viene tracciato un sentiero di riduzione del debito pubblico in rapporto al PIL basato sostanzialmente sulla buona riuscita e sulla completa allocazione delle risorse disponibili dall’Europa.

Tale obiettivo potrà essere raggiunto se la gran parte delle risorse verrà compiutamente utilizzata in spesa in conto capitale e ci sarà contestualmente una rimodulazione della spesa corrente che possa essere sostenibile nel lungo periodo.

C’è inoltre il fattore pandemico che nel documento viene sottovalutato e che potrebbe comportare almeno nel breve e medio periodo un rallentamento nell’esecuzione dei progetti.

Inoltre, secondo un report della Corte dei Conti europea, l’Italia è penultima per capacità di assorbimento dei fondi del bilancio 2014-2020 con circa il 38% delle risorse effettivamente erogate dall’Unione europea preceduta dalla sola Croazia.

In questo quadro semplificare e rendere più fluide le autorizzazioni per infrastrutture strategiche come quelle energetiche è fondamentale. Perché il paradosso frequente in questo settore non può perdurare: avere risorse disponibili e non poterle spendere nei tempi giusti. Semplificare è la precondizione per spendere bene.

Inoltre la fotografia che esce dal documento è la centralità dell’intervento pubblico rispetto al privato (lavoratore o imprenditore che sia).

Lo Stato imprenditore è stato un fallimento negli ultimi anni e il piano Conte ripropone questo approccio in tutto e per tutto negando ai privati la fiducia e la capacità di essere i veri attori della ripresa

Un esempio è il rilancio dell’export attraverso i rifinanziamenti dei fondi statali gestiti da Simest con cui la grandissima parte delle imprese non ha alcun rapporto ma che si frappone tra esse ed il mercato come intermediaria dei flussi finanziari.

Secondo la relazione sulla gestione finanziaria di Simest redatta dalla Corte dei Conti il margine di intermediazione, alla fine del 2019 quindi in periodo pre-Covid, è diminuito del 58,18% rispetto al 2018, passando da 39,11 a 16,35 milioni”.

Il risultato in rosso di Simest nel 2019, come ha rilevato la Corte dei Conti che sulla società effettua il controllo della gestione finanziaria dal 2007, “è da imputare, per il 79,92% al risultato di gestione e, in particolare, al ‘risultato netto dell’attività obbligatoriamente valutate al fair value con impatto a conto economico’, diminuito di 23,48 milioni rispetto al 2018 (-580,18 per cento)”.

Concentrare gran parte delle politiche pubbliche dell’Export nelle mani di un solo soggetto, se da un punto di vista burocratico potrebbe rivelarsi corretto, dal punto di vista dei sostegni alle aziende potrebbe in futuro rilevarsi un boomerang se non si entrerà in un’ottica di diversificazione dell’offerta finanziaria.

Un altro dato che balza all’occhio sono le risorse destinate ad un settore strategico per l’Italia come il Turismo che genera direttamente e tramite l’indotto circa il 13 % del Prodotto interno Italiano. Parliamo quindi di più di un decimo della produttività del nostro paese.

Se rapportiamo gli 8 miliardi previsti dal piano a tale settore (al cui interno ci sono capitoli di spesa prettamente destinati alla cultura ed al settore cinematografico e quindi non pienamente aderenti al comparto turistico), con i 222,9 miliardi di euro totali, siamo di fronte a poco meno del 4% complessivo delle risorse destinate.

Questo rappresenta uno di quei casi in cui il volume complessivo delle risorse stanziate doveva essere paragonato all’incidenza che in termini di PIL il settore determina nel nostro Paese.

Il turismo a seguito della pandemia ha subito un brusco rallentamento nel corso del 2020 e sembrerebbe che il Governo Conte-Bis non fosse intenzionato ad investirci adeguatamente nel medio e lungo periodo.

Con riferimento alle politiche attive del lavoro, a pagina 139 del documento, nel capitolo ad esso dedicato si evince come gran parte delle risorse a tale settore destinate – 7,5 miliardi di euro –  siano focalizzate al “potenziamento dei centri per l’impiego”.

Tale approccio sistemico, già sperimentato negli ultimi 2 anni dopo l’approvazione del Reddito di Cittadinanza, ha dimostrato tutta la sua fallacità rispetto al ruolo di intermediario nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro che tali centri avrebbero dovuto garantire.

Soprattutto le aziende private sembrano privilegiare le “agenzie del lavoro” rispetto ai centri pubblici per l’impiego essendo esse stesse incentivate a “produrre” al fine di ottenere un profitto e più incline ad adeguarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato.

Sarebbe opportuno invece avviare riforme settoriali specifiche in grado di creare la condizioni ideali per l’attrazione di capitali privati accanto agli investimenti pubblici.

Sgravare le imprese dei costi lordi per l’assunzione di nuovi lavoratori, seppur apprezzabile in linea di principio rischia di rimanere lettera morta se contemporaneamente non si rilanceranno i consumi interni e non si creeranno le condizioni per consentire alle imprese di ricominciare a produrre a ritmi sostenuti.

In definitiva, le incertezze sono legate: all’approvazione da parte della Commissione Europea del PNRR, alle tempistiche entro le quali spendere le risorse disponibili (arco temporale che va dal 2021 al 2026), agli obiettivi in termini di impatto macroeconomico sul PIL.

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