Riflessioni di un uomo qualunque

Non siamo alla rivolta politica, nemmeno alla riforma. Non credo che togliere rappresentanti a noi, al popolo, agli italiani (anche quelli che vivono, lavorano, sudano in Italia anche se sono nati da altre parti) sia la scelta migliore. Specie ora, la pandemia da Covid19 ci ha infatti mostrato tutte le particolarità, le sfaccettature, i punti deboli ma anche quelli forti delle Regioni, non solo le Amministrazioni regionali ma le regioni intese come territorio, persone che vivono problemi diversi da chi vive anche solo a poche centinaia di chilometri di distanza.

Credo che un semplice “sconto”, un taglio di costo di un organo così importante come il Parlamento non sia una vera soluzione. I problemi si risolvono affrontandoli, sviscerandoli e trovando vie nuove, compromessi perché le norme non vadano a pesare su fasce deboli, applicando norme corrette, eque ed equilibrate.

D’altronde le aziende quando vogliono raggiungere obiettivi importanti non assumono i dirigenti che costano meno ma quelli che possono in qualche modo garantire il risultato, che abbiano un bagaglio culturale e le capacità utili perché il loro aiuto entri in sinergia con lo scopo aziendale. Per di più le aziende, belle sane e forti nei momenti deboli cercano di essere forti, di serrare le fila e sfruttare quindi il momento a proprio favore così da spuntare nuove posizioni di mercato.

In Parlamento sembra che accada l’esatto contrario, si tagliano costi e rappresentanza. Nei momenti difficili si rende la vita più difficile, si applicano tasse e si fanno i tagli. Poi, appena qualcuno se ne rende conto, si annunciano nuovi servizi che, in realtà, erano i servizi di prima, quelli tagliati. Sono sicuro che ognuno ha davanti ai propri occhi tutta una serie di esempi.

Mi chiedo anche se la politica, quella dall’accezione più ampia legata alla “polis”, al senso di comunità, non abbia perso completamente il contatto con la realtà.

Una cosa sono i politici, i rappresentanti, gli attori della scena politica che, come credo abbiamo visto già tutti, che non hanno solo perso il contatto con le persone ma anche con la politica stessa.

Un’altra cosa dovrebbe essere invece la politica fatta di sistemi, di partiti, di gruppi, di pensatori, quella cosa grande e importante che ci immaginiamo un po’ tutti. Che ci immaginavamo, forse.

Anche la politica, il sistema, ha perso il contatto con le persone, con i problemi, con la fatica quotidiana. Lo diciamo già da tempo ma, mai come in questo periodo, il distacco si è fatto più evidente. Non solo per il fatto che la politica (non i politici) dice un po’ tutto e il contrario di tutto ma perché soluzioni e problemi vengono messi sul tavolo degli scambi in malo modo, un po’ a prenderci tutti per scemi.

Credo che l’espressione di questo referendum non abbia un riflesso diretto sull’andamento politico del Paese. Potrebbe forse, in parte, risentirne da lontano. Non è tanto il primo soffio del vento del cambiamento. O forse sì, un cambiamento in cui le persone, stanche di essere non rappresentate o mal rappresentate, cercano di far capire il proprio malcontento. E l’arma forte e vincente non sarà certo l’astensionismo perché questo referendum (molto stranamente anche se conforme alle leggi) non ha un quorum. Ci sarà un risultato anche se si esprimerà solo il dieci percento della popolazione. Una situazione un po’ critica visto che, di fatto, c’è in ballo la nostra rappresentanza nella unica e più importante assemblea pubblica di questo paese.

L’unica alternativa è la totale assenza di quella voce con un taglio drastico di senatori che avvicinerebbe questo Paese al baratro, verso ulteriore instabilità. Fino a che non arriverà qualcuno, uno che vorrà prendere il comando. Ma questa è storia già purtroppo vista.

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