Cosa sta facendo l’UE per l’Italia?

Si sente raccontare molto a proposito del ruolo che l’Europa sta svolgendo (o meno) in aiuto all’emergenza sanitaria Covid19 che ha sconvolto l’Italia e che probabilmente lascerà una pesante eredità in termini di danni all’economia conseguenti ad insensate decisione prese. Proprio per questo è il momento per valutare con esattezza cosa sia stato messo in piedi dall’U.E. a favore dell’Italia e, naturalmente, vigilare affinché i fondi stanziati siano effettivamente erogati per interventi mirati allo sviluppo ed al contenimento della crisi finanziaria e non si perdano nella burocrazia e nella inettitudine.

In generale possiamo sostenere che una serie ampia di interventi U.E. sono intesi ad allargare la possibilità delle banche di erogare più credito e sospendere i mutui più facilmente. Altri, invece, sono diretti al sostegno per la risposta immediata alla crisi del coronavirus e per il sostegno all’economia.

Ma andiamo con ordine. La BCE, nelle ultime settimane, infatti, ha deciso un nuovo programma da 750 miliardi che si aggiunge al Quantitative Easing già in corso di 240 miliardi e a quello deciso il 12 marzo di 120 miliardi aggiuntivi.

Il nuovo programma, diversamente da quelli precedenti, non è più necessariamente legato ad acquisti pro-quota, per cui la BCE può comprare in proporzione più titoli italiani (e ci si auguri che questo effettivamente accada). E’ importante rilevare che nel mese di marzo la BCE ha comprato già12 miliardi di titoli italiani contro 2 miliardi di titoli tedeschi non applicando la regola del “capital key”, (acquisti pro quota, proporzionati al capitale di ciascuno Stato UE nella Banca).

In aggiunta la BCE si è impegnata ad acquistare fino a 220 miliardi di titoli italiani da qui alla fine dell’anno per acquisto di titoli di Stato, di crediti di imprese e liquidità alle banche. Ricordiamo che la liquidità data dalla BCE alle banche avviene con tassi negativi dello 0.5%, ovvero, le banche vengono pagate per prestare il denaro alle imprese.

Sappiamo che la sorveglianza bancaria europea attuata dalla BCE prevede che per poter operare ed erogare prestiti le banche debbano rispettare una ratio di capitale minimo prevista da Basilea III e che non possono detenere quote eccessive di crediti deteriorati (crediti che non vengono rimborsati). Tuttavia, questi criteri sono stati resi più flessibili dalla sorveglianza bancaria riguardo al capitale minimo necessario per erogare prestiti alle PMI, alla qualità dei crediti detenuti dalle banche e all’analisi che le banche devono fare sul rating delle imprese. Ad esempio, la BCE ha previsto che, in caso sospensione dei mutui non ci sarà una classificazione negativa dell’impresa. L’Autorità Bancaria Europea (EBA) ha, inoltre, confermato che la banca potrà valutare la situazione del cliente nel lungo periodo.

Il messaggio per l’economia reale è palese: lo Stato può ulteriormente indebitarsi di più con tassi d’interesse bassi; le banche possono dare più liquidità alle imprese e sospendere i mutui; i creditori possono andare in banca e scontare le fatture non pagate. E’ evidente, tuttavia, che “il cavallo deve voler bere…”

Un’ulteriore linea d’intervento prevede più prestiti con garanzie pubbliche europee. La Europea d’Investimenti ha proposto una nuova linea di credito di 200 miliardi approvata dall’Eurogruppo possibile grazie a garanzie sui bilanci nazionali dei Paesi Ue.
E’ una forma di mutualizzazione dei debiti e solidarietà europea, evidentemente mirati a fornire garanzie pubbliche per prestiti ponte alle imprese a lunga scadenza in sinergia con la Cassa Depositi e Prestiti. La Commissione, inoltre, metterà a disposizione, attraverso i programmi COSME e Innovfin, 1 miliardo dal bilancio dell’UE come garanzia per il Fondo europeo per gli investimenti in modo da facilitare la liquidità per PMI e imprese a media capitalizzazione, con conseguenti mobilitazione di 8 miliardi di finanziamento del capitale d’esercizio a sostegno di almeno 100.000 imprese.

Anche qui è necessario, tuttavia, che ripartano le grandi opere pubbliche, condizione effettiva, di rilancio dell’economia.

Un’altra serie di decisioni riguardano più propriamente la politica di bilancio della U.E.

Il Governo ha già stanziato finora 50 miliardi. L’emissione di nuovo debito da parte dell’Italia può essere fatta a interessi tenuti sotto controllo dai massicci acquisti di titoli italiani garantiti dalla BCE. Peraltro, l’articolo 107, paragrafo 3, lettera b), del TFUE prevede che in situazioni economiche particolarmente gravi, le norme dell’UE sugli aiuti di Stato consentono agli Stati membri di concedere sostegno per porre rimedio a un grave turbamento della loro economia. Su questa base, la Commissione è pronta a collaborare con l’Italia sulle ulteriori misure che potrebbero rendersi necessarie.

Con il Corona virus response investment initiative (CRII), l’Ue ha deciso di mobilitare le risorse ancora disponibili nel bilancio europeo per dare agli Stati membri il sostegno di cui necessitano per la risposta immediata alla crisi del coronavirus e per il rilancio dell’economia. L’iniziativa europea include l’anticipazione dei pagamenti e il riorientamento dei fondi di coesione e l’assistenza agli Stati membri nel convogliare i fondi dove sono più necessari il più rapidamente possibile. In particolare, la Commissione propone di mobilitare le riserve di liquidità provenienti dai Fondi strutturali.

Questo consentirebbe di dare liquidità immediata ai bilanci degli Stati membri. Per l’Italia 37 miliardi ancora disponibili nell’attuale bilancio 2014/2020 sul Fondo Europeo Sviluppo Regionale (FESR) e Fondo Sociale Europeo (FSE), che le regioni e alcuni ministeri dovranno spendere entro il 2023. Sono i finanziamenti del Programmi operativi regionali (Por) e nazionali (Pon). Grazie alla regola conosciuta come N+3, che consente di utilizzare i fondi entro tre anni dall’impegno a bilancio, le spese potranno essere certificate alla Commissione europea entro la fine del 2023.

La Commissione già ha precisato che consentirà l’ammissibilità di tutte le spese connesse alla crisi, applicando la massima flessibilità sulle norme. Questo significa che tutte le risorse potranno essere riassegnate per: sanità, sostegno alle PMI e mercato del lavoro, senza bisogno di cofinanziamento nazionale e in qualsiasi parte del territorio italiano. In particolare, è acclarato che la Commissione non chiederà all’Italia di rimborsare gli 8 miliardi di prefinanziamenti non spesi nell’ambito dei Fondi strutturali europei per il 2019, che combinati con il cofinanziamento di 29 miliardi a carico del bilancio dell’UE, di mobilitare complessivamente un sostegno di bilancio dell’UE pari a 37 miliardi. Teoricamente quindi, ad esempio l’Italia può già adesso usare il FESR e FES e ricorrere al FESR. La proposta della Commissione è stata resa possibile da una modifica legislativa già approvata dall’ultima sessione straordinaria del Parlamento europeo che si è tenuta il 26 marzo. Grazie a questo riorientamento di fondi è stato possibile, ad esempio, stanziare 50 milioni per aziende italiane che dovevano riconvertire la loro produzione.

In concreto la Commissione propone di rendere più flessibile l’utilizzo dei fondi per la Politica Agricola Comune (PAC), per esempio concedendo più tempo per presentare le domande di accesso ai fondi e per consentire alle amministrazioni di elaborarle, aumentando gli anticipi per i pagamenti diretti e per i pagamenti dei fondi per lo sviluppo rurale, assicurando la semplificazione dei controlli e la riduzione del fardello amministrativo.

Secondo dati della Commissione europea, il 93% dei 100 miliardi del fondo europeo per lo sviluppo rurale 2014-20 sono già impegnati (83% a livello dei beneficiari), i restanti 7 miliardi possono essere usati per nuove misure. Per l’Italia i fondi Ue non impegnati dovrebbero attestarsi tra 1 e 1,5 miliardi, cui vanno aggiunti i contributi nazionali e regionali. Il Fondo europeo per gli affari marittimi (PESC), consentirà all’Italia – se sarà in grado di farlo – di fornire supporto alla filiera.

Infine, lo scorso 2 aprile, poi, la Commissione europea ha lanciato il programma SURE, un fondo europeo da 100 miliardi contro la disoccupazione (acronimo di Support to mitigate unemployment risks in emergency). Il Fondo, attraverso 25 miliardi di garanzie volontarie degli Stati membri, proporzionate al loro PIL, permetterà di finanziare le “casse integrazioni” nazionali o schemi simili di protezione dei posti di lavoro. Raccoglierà risorse sui mercati emettendo bond con tripla A, quindi a tassi bassissimi, che darà poi ai Paesi che ne hanno bisogno prestiti con scadenze a lungo termine.

Ciò potrebbe tradursi in un grande vantaggio per l’Italia che potrà indebitarsi a tassi molto più bassi per aiutare i lavoratori e riceverà prestiti in proporzione molto più importanti rispetto alla garanzia fornita sul suo bilancio nazionale.

La durata delle obbligazioni dovrà essere decisa singolarmente per ogni Paese dal Consiglio, ma nel regolamento è già previsto che ogni anno non potrà essere rimborsato più del 10% del debito. Oltre a SURE si potrà utilizzare, naturalmente, il FES per il reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori dipendenti che perderanno il posto, e autonomi, anche in modo diretto.

Insomma soldi ci sono. Ma ci sarà anche la competenza o vincerà come al solito l’inettitudine e, anche questa volta si dovrà assistere al triste spettacolo di denaro stanziato ma non erogato…

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