Il reddito di cittadinanza, come previsto dalla legge attuale, è una offesa alla nostra Costituzione e deve essere migliorato perché violenta il giusto rapporto fra diritti e doveri.
Per la mia generazione il principio che “nessun pasto è gratis” è una convinzione granitica al limite del sacro. E lo è stato ancor più per la generazione che ci ha preceduto cioè quelle donne e uomini che usciti dalla guerra hanno gettato nuove basi per la resurrezione sociale ed economica del paese. Per loro, autodiretti allo stato puro, il lavoro era un dovere molto prima di un diritto e ne erano così convinti che lo hanno riportato nero su bianco fra i principi fondanti della Costituzione insieme alle parole “Democrazia” e “Repubblica”. Dell’ozio invece non c’è traccia, tanto meno pagato poiché con questa combinazione si sconfina nel parassitismo e anzi, per dirimere ogni dubbio, hanno voluto dirci a chiare lettere che ogni cittadino ha il dovere, se abile, di svolgere una attività per contribuire attivamente nella società. In altre parole se esiste il diritto di ricevere uno stipendio adeguato esiste pure il dovere di lavorare per riceverlo. Il ruolo dello Stato inteso come un badante universale o come allevamento intensivo di corpi non è previsto.
Per questo il reddito di cittadinanza è un ossimoro, una deviazione etica e sociologica della peggior specie. E dico questo non da realista del capitale ma perché sdoganare il concetto che, sfruttando gli altri, tutto si può avere senza fatica, equivale a minare le basi della convivenza civile, significa accettare la aberrante ed illusoria conclusione che i diritti senza doveri hanno tutto il diritto di esistere. Una pacchia per quelle generazioni di eterodiretti che non esitano certo ad adattarsi al nuovo ordine, avvezzi come sono a sguazzare nella brodaglia fatta di spettacolo, narcisismo, edonismo ed individualismo selvaggi cucinati per la loro macchina desiderante dalla cinica società dei consumi. E in questo territorio sociale alquanto “liquido”, il famigerato parassitismo è di casa. Per un paese come il nostro, che già detiene il record di persone che non lavorano in percentuale sulla popolazione, non mi sembra certo una soluzione intelligente.
Ma la cosa è ancor più sconcertante se si pensa che con poche modifiche si potrebbe invece creare una opportunità anche per gli stessi percettori del sussidio. Basterebbe infatti legare quel reddito ad un lavoro, magari fornito temporaneamente dalle istituzioni. Sto pensando alla assistenza ospedaliera o degli anziani, alle scuole, oppure nell’infinito campo della ecologia, alla cura e conservazione del territorio e dell’immenso patrimonio artistico ed archeologico del paese. Un lavoro di cittadinanza insomma, un lavoro vero per uno stipendio vero. In attesa che le famigerate politiche attive del lavoro portino i sospirati frutti.
Senza contare che si eliminerebbe, almeno in parte, la piaga sanguinante e vergognosa del caporalato come anche del lavoro nero e si avvantaggerebbero le persone che veramente premono per contribuire alla società e non i nullafacenti da playstation. Perché nasconderci dietro lo slogan che “il nostro paese ha la costituzione più bella del mondo” per poi offenderla, disattenderla o addirittura ridurla ad un fossile tardo illuminista è un odioso tradimento che io, come cittadino, non voglio in alcun modo avallare.
Da oltre trent’anni si occupa di direzione aziendale soprattutto nell’ambito Operations per multinazionali del settore beni durevoli e automotive. Ha acquisito significativa esperienza nel turnaround aziendale da procedure fallimentari, in joint venture internazionali nonché reengineering di processi organizzativi volti all’eccellenza. Laurea in Ingegneria e MBA scrive articoli di lavoro, industria, strategia, società e libri per Franco Angeli.