Einaudi e le buone pratiche da insegnare

Articolo pubblicato dalla Rivista trimestrale di Culturale Liberale “Libro Aperto,  n. 106, Luglio/Settembre 2021

 

Lo studio della Costituzione in Italia è abbastanza agevole quando venga praticato attraverso la lettura del testo originale elaborato e votato dai Padri e dalle Madri costituenti.

Ciò perché le norme costituzionali, prima dell’approvazione definitiva, sono state attentamente esaminate da esperti linguisti per renderle facilmente comprensibili a tutti. Non c’è la necessità di avere a disposizione dei giuristi per comprendere la Legge delle leggi. Specialmente nelle parti in cui siano fissati i principi fondamentali il cui insegnamento risulta particolarmente efficace se accompagnato dalla narrazione di buone pratiche e di comportamenti esemplari da parte dei vertici delle istituzioni.

Di recente, per rispondere all’esigenza di richiamare i valori dell’etica pubblica e in special modo il valore dell’etica della responsabilità, è stata messa in pratica una singolare “conversazione” sulla Costituzione incominciata con la lettura delle ultime due righe della Carta e, subito dopo, con la lettura del messaggio di Luigi Einaudi appena eletto Presidente della Repubblica nel maggio del 1948, quando era già entrata in vigore la Costituzione.

Ciò per rendere chiari i vincoli che legano tutti i cittadini all’impianto normativo che anima la Costituzione. Questi vincoli sono espressamente esposti non solo nelle ultime due righe della Carta, ma anche in altri articoli, com’è il caso degli articoli 54 e 91.

Attraverso la doppia lettura incentrata su normative costituzionali e su esemplari comportamenti riferibili alle stesse normative, si dà l’avvio a riflessioni improntate alla conoscenza della natura e del contenuto della Costituzione, di verità storiche, di autorevolezza delle personalità citate, di genuina e credibile passione politica.

Verità, credibilità e passione politica sono quanto mai necessarie perché stiamo vivendo tempi nei quali è messa in discussione la condotta scarsamente, se non per nulla affidabile di decisori politici, di partiti politici e delle stesse istituzioni democratiche.

Questo approccio tende a dare risposte all’esigenza di accompagnare l’astrattezza delle formule giuridiche con esempi concreti di esperienze nelle quali la credibilità sia esemplare e, quindi, assuma il significato pedagogico delle buone pratiche.

D’altronde il diritto costituzionale e gli insegnamenti della storia hanno un fondamentale valore pedagogico e sono determinanti per la buona o cattiva convivenza in una società.

Alcune esperienze didattiche

Varie sono le esperienze didattiche nello studio della Costituzione.

Don Milani, che fra i suoi meriti ha anche quello di aver praticato il metodo della “peer education”, esponeva nella sua scuola di Barbiana alcuni articoli della Costituzione nei quali fossero presenti valori, principi, diritti e indicazioni di natura storica o programmatica. Ciò allo scopo di far leva su un dialogo educativo idoneo a preparare i giovani alla cittadinanza consapevole e attiva.

Il grande Maestro Mario Lodi svolgeva il suo insegnamento traducendo il linguaggio giuridico della Carta costituzionale in un lessico accessibile ai bambini delle scuole elementari con gli stessi scopi educativi perseguiti nella scuola di Barbiana.

Luciano Corradini ha da sempre posto la Costituzione al centro del suo pensiero pedagogico tracciando percorsi didattici aventi l’obiettivo di costruire la cittadinanza attiva e ricordando, come un mantra, il famoso ordine del giorno Moro approvato all’unanimità dall’Assemblea Costituente l’11 dicembre 1947 per chiedere “che la nuova Carta Costituzionale trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la giovane generazione delle conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sacro retaggio del popolo italiano.”

Poiché non è stato dato in modo compiuto il seguito dovuto a quanto deliberato dall’Assemblea Costituente, oso affermare che l’ordine del giorno Moro dovrebbe essere un manifesto affisso in tutte le scuole italiane e nel Palazzo della Minerva di Viale Trastevere a Roma, dove è ubicato il Ministero della Pubblica Istruzione. Specialmente da quando le cronache politiche fanno sapere, in tempi di pandemia da Corona virus, l’esistenza dell’intenzione, da parte di alcuni decisori politici, di abbassare il diritto di voto ai sedicenni.

Colgo l’occasione per ricordare un fatto poco pubblicizzato dai media, ma molto importante. Nel 2006, in occasione del sessantesimo anniversario della Repubblica Italiana e a sessant’anni dall’inizio dei lavori dell’Assemblea Costituente, è stato assegnato il premio Strega speciale alla Costituzione italiana come “sorgente viva e preziosa per rendere l’intero tessuto sociale e istituzionale conforme ai principi fondamentali che essa enunzia.” Nella motivazione del premio si legge che “la nitidezza di tali principi, rara in testi normativi, è, come sappiamo, frutto anche di un’alta tensione espressiva. Una tensione non fine a se stessa: essa ha consentito e consente alla Carta di parlare per tutte e a tutte le coscienze, come sanno fare le opere più alte della nostra letteratura.”

Le ultime due righe della Costituzione e gli articoli 54 e 91

Le ultime due righe della nostra Carta affermano chiaramente che: “La Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come Legge fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato.” Cittadini e organi dello Stato pari sono nel vincolo di osservare “fedelmente” la Costituzione. L’avverbio “fedelmente”, di questa formula, assume una portata più ampia e più vincolante in altre norme.

Infatti l’ultimo articolo (art. 54) della prima parte della Costituzione, quella dedicata ai “Diritti e doveri dei cittadini”, va oltre al dovere “generico” della fedeltà e aggiunge doveri specifici per chiunque sia incaricato di funzioni pubbliche. Così recita: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.”

La locuzione “sono affidate funzioni pubbliche” ci dice chiaramente che alla base dello svolgimento di una pubblica funzione c’è un affidamento. L’affidamento, secondo le regole che l’ordinamento costituzionale prevede, è un conferimento di fiducia soggetta anche al giudizio o al ritiro della medesima fiducia da parte del titolare della sovranità, che in ultima istanza appartiene al popolo. L’affidamento non è una corona imperiale che Napoleone si mette in testa da se medesimo in virtù della forza delle armi e delle sue truppe; non è un lascito ereditario o un rapporto nepotistico o clientelare; non è una attribuzione di potere di tipo feudale o dinastico. L’affidamento è, invece, generato all’interno di regole che, fin dall’art. 1 della Costituzione, considerano la sovranità appartenente al Popolo.

Nella parte seconda della Costituzione, dedicata all’ordinamento della Repubblica, l’articolo 91 prevede che “Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune.”

L’avverbio “fedelmente”, l’aggettivo plurale “fedeli” e il sostantivo “fedeltà”, richiamati nelle varie  norme della Costituzione, sono intrecciati con i due sostantivi “disciplina” ed “onore”. C’è, in questo intreccio, la bussola dell’etica della responsabilità indispensabile e inderogabile per orientare i comportamenti di chiunque sia preposto a svolgere una pubblica funzione.

Le parole non sono foglie morte al vento. Sono semi che germogliano se non cadono sulla nuda roccia, ma in un terreno fertile. Il fecondo germe della libertà ha bisogno di cure fin dalla semina. E il Popolo sovrano deve saper seminare, coltivare e mietere. Quindi deve saper scegliere il terreno adatto per la semina e deve saper eliminare le erbacce cattive che infestano la buona semina.

Giuramento e messaggio di Einaudi

Assume valore educativo accompagnare la lettura delle norme costituzionali aventi rilievo dal punto di vista dell’etica pubblica con la lettura del verbale di “Giuramento e Messaggio del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi nella Seduta comune della Camera e del Senato della Repubblica, Mercoledì 12 Maggio 1948”.

In quel verbale c’è un insieme di storia, di educazione civica, di applicazione in concreto delle norme costituzionali, di teoria e di pratica della nobiltà dell’impegno politico. E attraverso la lettura di quel verbale si possono mettere a fuoco diversi aspetti sul contenuto, sulla natura e sulle peculiarità della Costituzione italiana.

Qualsiasi docente di storia e di diritto Costituzionale può trovare nelle parole di Einaudi motivi di grandissimo valore pedagogico per svolgere una o più lezioni. Ecco alcune delle più importanti parole chiave: libertà, persona umana, eguaglianza, dittatura, guerra, pace, patria, unità nazionale, Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica, Europa.

Ogni frase del messaggio di Einaudi è una grande lezione di visione politica. È una lezione che resta una pietra miliare del “cammino” … “di grandezza morale, di libera vita civile, di giustizia sociale e quindi di prosperità materiale”. La storia certifica che le parole pronunciate da Einaudi e i suoi comportamenti sono estremamente coerenti ed autorevoli. Con il suo primo messaggio si inizia un cammino che, formalmente e sostanzialmente, è il cammino delle istituzioni democratiche e repubblicane incardinate nell’ordinamento disegnato dai Padri e dalle Madri Costituenti.

È certamente appassionante cominciare un dialogo sulla costituzione partendo dai primi passi del Presidente che è stato consegnato alla storia d’Italia come affidabile “tutore” della Costituzione.

Il suo settennio di presidenza, considerato alla luce delle sue parole e della corrispondenza tra le sue parole e i fatti concreti, è un cammino di verità, di credibilità e di stili che hanno lasciato traccia.

Un cammino molto importante perché la Costituzione, oltre ad essere la Legge delle leggi espressa in un corpo normativo, è accompagnata da una prassi e da riti che si sono andati via via formando attraverso concrete scelte ispirate al senso dello Stato e al sincero rispetto dei principi dell’etica pubblica.

Infatti il verbale inizia col giuramento solenne innanzi alle Camere riunite in seduta comune. La formula del giuramento è di dodici parole: “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione”. In dodici parole, numero “magico” sotto molti aspetti (12 apostoli, dodici mesi dell’anno, etc.), ci sono quattro parole essenziali “fedeltà, “lealtà, “Repubblica” e “Costituzione”. Non c’è un testo religioso su cui giurare. L’Italia è uno Stato laico ed è stato posto nella condizione di rispettare il principio, presagito e teorizzato mirabilmente da Cavour, della libera Chiesa in libero Stato. La solennità del giuramento è consacrata dal fatto che tutto si svolge innanzi al Parlamento, Camera e Senato, in seduta comune.

Il Messaggio inizia con il saluto ad Enrico De Nicola, indicato come “esempio luminoso” … “che per primo ha coperto con saggezza grande, con devozione piena e con imparzialità scrupolosa, la suprema magistratura della nascente Repubblica italiana”.

Il ricordo di De Nicola non è rituale, ma spiega il senso storico e politico del ruolo svolto dallo “uomo insigne” nella “costruzione quotidiana di quell’edificio di regole e di tradizioni senza le quali nessuna Costituzione è destinata a durare” e nel suo autorevole impegno rivolto ad assicurare il “trapasso” dello Stato monarchico basato sul flessibile Statuto Albertino concesso da un Re al nuovo ordinamento repubblicano basato sulla Costituzione conquistata dal popolo e rigidamente ancorata alla sovranità popolare. Tutto ciò all’interno di un disegno che ha voluto fornire “al mondo la prova che il nostro Paese era ormai maturo per la democrazia; che se è qualcosa, è discussione, è lotta, anche viva, anche tenace fra opinioni diverse ed opposte; ed è, alla fine vittoria di una opinione, chiaritasi dominante sulle altre.”

Sono due i personaggi citati da Einaudi nel suo storico messaggio. Dopo De Nicola fa il nome di Giustino Fortunato che onorò il Mezzogiorno e la Camera e “sempre si levò fieramente contro le calunnie di coloro i quali, innanzi al 1922, avevano in spregio il Parlamento perché in esso troppo si parlava…”

Einaudi sottolinea quale sia il suo ruolo e quali siano i compiti dei Parlamentari : …”qui si palesa il grande compito affidato a voi, che avete il grave dovere di attuare i principi della Costituzione ed a me, che la legge fondamentale della Repubblica ha fatto tutore della sua osservanza.”

Il Presidente neo eletto chiarisce in modo perfetto il ruolo e la centralità del Parlamento e dei parlamentari ai quali ultimi rivolge parole significative: “nelle vostre discussioni, signori del Parlamento, è la vita vera, la vita medesima delle istituzioni che noi ci siamo liberamente date; e se v’ha una ragione di rimpianto nel separarmi, per vostra volontà, da voi è questa: di non poter partecipare più ai dibattiti, dai quali soltanto nasce la volontà comune; e di non potere più sentire la gioia, una delle più pure che cuore umano possa provare, la gioia di essere costretti a poco a poco dalle argomentazioni altrui a confessare a se stessi di avere, in tutto o in parte, torto ed accedere, facendola propria, alla opinione di uomini più saggi di noi.”

La gioia è un sentimento che si può provare “insieme” ad altri. Usare il termine gioia, come ha fatto Einaudi, per spiegare il sentimento che si prova in un confronto che dà luogo alla formazione di una volontà comune è la spiegazione della vera essenza della centralità e della nobiltà della politica svolta nell’ambito parlamentare. Ed è illuminante l’enfatizzazione della funzione del luogo dove “si parla”, il luogo delle decisioni collegiali in questo terzo millennio in cui abbiamo visto un affievolimento della memoria sui gravissimi disastri per l’umanità che si verificano quando prendano il sopravvento le idee a favore del “decisionismo” dell’uomo solo al comando chiamato e invocato, a seconda del lessico, leader, capo, capitano, duce, fürher, caudillo, zar, imperatore o, per dirla con Orwell in ambito letterario, Grande Fratello.

Ogni qual volta il Parlamento sia minacciato di diventare, o diventi, il bivacco dei manipoli di un “duce” si consuma puntualmente un delitto perfetto in danno della Democrazia.

La semplice lettura del verbale, dall’inizio alla fine, diventa una vera e propria lezione di storia, di Costituzione e di politica. In quel verbale non c’è solo la “fotografia” di un evento passato e del passato perché nelle parole di Einaudi c’è la passione politica e, soprattutto, la “visione” politica che è stata capace di saper guardare al futuro dell’Italia e dell’Europa.

Nella parte finale del suo discorso Einaudi chiarisce che la Costituzione “afferma due principi solenni: conservare della struttura sociale presente tutto ciò e soltanto ciò che è garanzia della libertà della persona umana contro l’onnipotenza dello Stato e la prepotenza privata; e garantire a tutti, qualunque siano i casi fortuiti della nascita, la maggiore uguaglianza possibile nei punti di partenza. A quest’opera sublime di elevazione umana noi tutti, Parlamento, Governo e Presidente siamo chiamati a collaborare.

Venti anni di governo dittatoriale avevano procacciato alla Patria discordia civile, guerra esterna e distruzioni materiali e morali siffatte che ogni speranza di redenzione pareva ad un punto vana. Invece, dopo aver salvata pur nelle diversità regionali e locali e pur dolorosamente mutilata, la indistruttibile unità nazionale dalle Alpi alla Sicilia, stiamo ora tenacemente ricostruendo le distrutte fortune materiali e per ben due volte abbiamo dato al mondo una prova ammirabile della nostra volontà di ritorno alle libere democratiche competizioni politiche e della nostra capacità a cooperare , uguali tra uguali, nei consessi nei quali si vuole ricostruire quell’Europa donde venuta al mondo tanta luce di pensiero e di umanità.”

In queste poche righe di verbale sono scolpiti nella pietra i principi e i valori che sono stati elaborati dai Padri e dalle Madri costituenti e che sono stati disseminati nei vari articoli che compongono la Costituzione: consistenza della libertà, principio di eguaglianza dei punti di partenza, principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, verità storiche incontrovertibili sui disastri morali e materiali della dittatura e della guerra fascio-nazista, principio di unità nazionale (Italia una e indivisibile di cui art. 5 della Costituzione), ritorno alla democrazia, visione politica di dimensione europea.

Il curriculum vitae di Einaudi che, tra l’altro, come Padre costituente ha contribuito a scrivere alcune importanti norme della Costituzione, consente di attribuire valore e credibilità alle sue parole. Infatti, chi l’ascoltava e lo applaudiva al momento della lettura del messaggio sapeva, e noi ora a distanza di decenni sappiamo, che durante il suo settennio di Presidenza avrebbe agito, e di fatto ha agito, in perfetta sintonia con quanto da lui dichiarato nel suo messaggio di insediamento. Si pensi, per fare un solo esempio, che Einaudi fu il primo Presidente a mettere in pratica l’attuazione del disposto costituzionale concernente l’obbligo di copertura delle nuove spese (art. 81): “Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.”

Infatti per ben due volte rinviò alle Camere, con apposito messaggio, due leggi prive di copertura. Una prassi non sempre seguita con lo stesso rigore nel prosieguo, dopo il suo settennato, di politiche economiche che hanno visto via via crescere a dismisura il debito pubblico. Il grande economista Einaudi aveva piena consapevolezza della necessità di salvaguardare le generazioni future da politiche debitorie e di considerare l’economia dello Stato non diversa dall’economia di una famiglia.

Leggere un messaggio di insediamento di un qualsiasi personaggio politico non dà certezze che il dichiarato poi corrisponda ai successivi comportamenti. I messaggi di insediamento sono intenzioni che restano intenzioni, anche se buone. Ma i Responsabili delle Istituzioni, che sono e debbono essere rigorosamente vincolati all’obbligo della disciplina e dell’onore, sono quello che fanno, non quello che dicono. Contano solo i fatti perché i fatti sono fatti e non sono soggetti a contraddizioni e ad ambiguità.

La mia vita è il mio messaggio, diceva il Mahatma Gandhi. Anche di Luigi Einaudi possiamo dire che la sua vita è il suo messaggio.

 

Articolo pubblicato dalla Rivista trimestrale di Culturale Liberale “Libro Aperto,  n. 106, Luglio/Settembre 2021

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