Il caso moro nella lunga scia rossa: un delitto soprannazionale

Una lezione dal passato

Il tentativo di squarciare, una volta per tutte, l’offuscato velo delle mezze verità, frammiste a ipocrisie e reticenze, che ancora oggi, ad oltre un quarantennio di distanza, caratterizzano il quadro del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro, nonostante la vasta letteratura sull’argomento – si pone in evidenza da ultimo l’ottimo lavoro del professor Vito Sibilio – e la copiosa convegnistica sviluppatasi in proposito, non è affatto impresa da poco. Intendimento di queste riflessioni, derivanti da una accurata ricostruzione storica sulla scorta della ricca bibliografia sussistente sull’argomento, è pertanto quello di proporre un plausibile diagramma interpretativo, la cui risultante sarà un paradigmatico schema unitario in cui vanno coerentemente a incastonarsi tutti i tasselli del mosaico che vede l’URSS in primis alla regia di quell’impresa criminale.

L’interrogativo che occorre porsi in apertura è se si possa dimostrare che le Brigate Rosse, quel gruppo rivoluzionario nato a Milano agli inizi degli anni Settanta, facessero parte, sia pure indirettamente, della rete terroristica utilizzata dal KGB per operazioni speciali in varie parti del mondo e, pertanto, se l’omicidio di Moro fosse stato eseguito, in buona sostanza, nell’interesse di Mosca.

Al fine però di poter meglio inquadrare l’intera questione, occorre delineare, seppur succintamente, la genesi del brigatismo rosso, che indubbiamente nasceva da un rinnovato clima da “Resistenza”, che indusse tanti a prendere le armi e iniziare una personale guerra di Liberazione, a fronte di un presunto terrorismo di destra identificato, ad arte, come terrorismo di Stato, il cui governo, incentrato sulla Democrazia Cristiana, secondo le analisi del “Manifesto”, era nelle mani di una forza politica reazionaria e filofascista. Pur tuttavia, fino al 1976 la stampa di sinistra si ostinò a definire i brigatisti rossi come sedicenti e fantomatici, le cui azioni erano da ricondurre all’eversione nera, e solo dopo il rapimento e l’uccisione del presidente della DC Aldo Moro questi giornali smisero di fare disinformazione. Vero è – come scrisse Rossana Rossanda nel 1978 sul “Manifesto” – che le Br appartenevano all’”album di famiglia” del Pci, per la singolare identità di accenti tra i documenti delle Br e i testi di Stalin e di Zdanov, su cui si erano formati i comunisti negli anni Cinquanta.

E’ in siffatto contesto, dunque, di violenza ideologica e del forte legame che ancora legava il Pci all’Unione Sovietica – un partito che, pur proclamando la fedeltà alle istituzioni, non rompeva affatto con la “rivoluzione d’Ottobre”, un partito prigioniero di se stesso e della sua storia e incapace di assumere una posizione chiara nei confronti della violenza – che si posiziona l’operato politico di Berlinguer, che subiva un attentato a Sofia nell’ottobre del 1973 su mandato dell’URSS; un’azione, quella berlingueriana, tesa ad imporre al partito il “compromesso storico”, ovvero la proposta politica di un accordo “storico” con la Democrazia Cristiana, un’intesa di lungo periodo tra forze comuniste, socialiste e cattoliche, ancorché si preferisse rimanere ancora per parecchio tempo nell’ipocrisia della “suggestione rivoluzionaria”, mantenendo un rapporto forte sia con la base degli iscritti che con Mosca, da cui continuava a dipendere anche sotto il profilo economico.

Ma nonostante questa doppiezza che invero caratterizzava ancora il Pci berlingueriano, tuttavia l’uomo politico sardo mostrò un grande coraggio nel dare avvio ad un progetto di revisione programmatica e ideologica del comunismo italiano, un disegno che all’interno avrebbe sdoganato, con la politica della “solidarietà nazionale”, il partito dalla conventio ad excludendum, riconoscendo un fatto che comunque era già in atto da tempo, la conventio ad includendum, nelle commissioni in sede legiferante: tutto ciò avrebbe distrutto anche la concorrenza socialista; sul piano internazionale ciò si sarebbe tradotto nella linea dell’eurocomunismo, ancorché questo non fosse altro che il velleitario tentativo da parte di Berlinguer di sostituirsi ai francesi alla guida del comunismo occidentale, e quindi bocciato dallo stesso George Marchais.

Pur tuttavia, malgrado la evidente subalternità ancora sussistente verso Mosca, che peraltro ben sapeva quanto fosse labile il progetto e inconsistente l’indipendenza rivendicata dal Segretario nei suoi confronti, questa tentò di stroncare da subito l’eterodosso scisma berlingueriano sia perché si sarebbe potenziata una strada di decomposizione, tra l’altro già in atto, della unità dogmatica del Pcus e della dottrina della sovranità limitata estesa non solo agli Stati ma anche ai rispettivi partiti comunisti, sia perché il progetto consociativo non era affatto fantomatico bensì ben diretto a quella parte della Dc, la sinistra del partito e a Moro, che erano ben disposti ad accoglierlo nonostante si fondasse su elementi di ambiguità e su basi poco realistiche.

Stante così ben saldo il quadro strutturale di riferimento che contemplava la netta avversione dell’URSS al progetto berlingueriano, non v’è dubbio alcuno che anche i sevizi segreti e le formazioni terroristiche dei “Paesi fratelli”, dipendenti indirettamente dal KGB, partecipassero entusiasti, sia nella preparazione che  nell’esecuzione, al Sequestro di Aldo Moro: tale è il caso della RAF, la formazione terroristica comunista della Germania Occidentale, che collaborò con le BR al rapimento ed alla strage della scorta, data l’attestata presenza di uomini e materiali tedeschi in via Fani; né, d’altra parte, la RAF  avrebbe agito contro Moro se non avesse avuto un mandato della DDR – che tramite il suo servizio segreto, l’HVA, controllava appunto la RAF – e dell’URSS stessa.

Ma assieme al KGB, che comunque teneva l’arcigna parte del “burattinaio”, operavano altre organizzazioni di coordinamento del terrorismo rosso internazionale, tra cui l’Hyperion – mascherato come scuola di lingue che operava a Parigi e di cui facevano parte anche terroristi italiani – che raccordava, mediante decisioni comuni, le azioni delle BR, la RAF, l’IRA, l’ETA, il FPLP dell’OLP e Action Directe. Ma non era da sottovalutare neppure l’altra organizzazione terroristica internazionale, denominata Separat e di cui faceva parte Valerio Morucci, pur’essa eterodiretta, in ultima analisi, dal KGB tramite le sue affiliazioni cospirative.

Insomma, dopo la nascita delle BR e delle Nuove BR di Mario Moretti nel ’74 – una vera e propria “galleria degli orrori” – s’innesca una folle escalation terroristica fino all’assassinio dello statista della DC alle soglie del varo di un governo sostenuto dalla Solidarietà Nazionale di tutti i partiti ad esclusione del PLI. Tutto ciò di certo fece aprire gli occhi al Pci e a tutta la sinistra, compresa la sua stampa, sulla reale natura del fenomeno brigatista. Tuttavia il partito comunista, il quale abbandonava sì – ma non del tutto – la linea di attacco violento allo Stato, pur di salvaguardare la solidarietà nazionale, che gli consentiva così di penetrare nella macchina statale occupando questa arena del potere per produrre più potere al partito e che spostava l’egemonia della classe operaia dal terreno dei rapporti di produzione a quello dello Stato, traducendosi in definitiva in un’inedita pratica della lotta di classe condotta ora dal vertice del potere, copriva i contatti con i terroristi all’interno del partito stesso, relazioni insidiose di cui era ben a conoscenza.

Insomma, come è stato scritto da Enzo Bettizza, la veritiera storia del brigatismo rosso e dei comunisti in genere “….è roba di vita e di morte, di sangue e di menzogna, di altitudini gelide e di abissi infernali”.

Se il KGB, dunque, rappresentava la “cupola” a cui faceva capo la rete terroristica internazionale, nel suo ambito s’intessono anche rapporti, nella vicenda del sequestro Moro, tra le BR e il FPLP di George Habbash, il ramo marxista dell’OLP, un giro losco in cui compare anche la “Ndrangheta calabrese”.

Immettendoci direttamente nei meandri più oscuri della vicenda del sequestro, voluto dal KGB e dal GRU, il servizio segreto militare sovietico, che pure vi ebbe una parte importante, non v’è dubbio che entrambi avessero ricevuto l’exequatur del Politburo, con anche il coinvolgimento dei servizi segreti dei paesi satelliti, l’HVA appunto e l’STB cecoslovacco. D’altra parte, nella seconda metà degli anni settanta l’URSS era pronta a scatenare la guerra in Europa, attesa la superiorità di armamenti – in particolare gli SS20 – del Patto di Varsavia in Europa e in Medio Oriente, a cui faceva però da contraltare l’installazione dei missili Pershing e Cruise, un conflitto che avrebbe visto l’occupazione del territorio italiano ad opera delle truppe ungheresi e cecoslovacche. In siffatto contesto s’inserisce dunque non solo il sequestro bensì anche la possibilità concreta che il prigioniero potesse svelare importantissimi segreti di stato legati all’apparato di difesa dietro le linee NATO in Europa, ovvero l’organigramma dello Stay Behind, un intreccio in cui va ad integrarsi anche il ruolo di Licio Gelli in qualità di cooperatore del KGB.

La lunga detenzione di Moro e la barbarie delle BR erano perfettamente funzionali alla strategia dell’URSS, che in alcun modo gradiva un Pci “addolcito” e pronto a collaborare con il partito di maggioranza relativa, e, d’altra parte, soltanto un’accurata copertura di una superpotenza straniera riesce a spiegare i tanti misteri che ancora oggi avvolgono la vicenda, vale a dire i luoghi usati come prigioni, la circolazione dei comunicati e delle lettere, i movimenti del prigioniero od altre situazioni strane che i nostri servizi segreti sembrava non  avessero affatto intenzione di smascherare onde evitare più gravi ripercussioni a livello internazionale.

Di notevole interesse il clima politico in cui ebbe a maturare il caso Moro – una situazione di governabilità profilatasi assai difficile a seguito delle elezioni politiche del giugno ’76, che videro il Pci, con poco più del 34%, quasi a ridosso della DC al 38,7%, sfociata nel problematico monocolore del III Governo Andreotti – nonché la reazione delle istituzioni e dei partiti, dovendosi evidenziare come soltanto il PSI craxiano, di certo per conquistare più spazio politico possibile tra DC e Pci, fosse favorevole ad una trattativa umanitaria.

Tutta la vicenda è costellata da tanti segreti, parecchio imbarazzanti a livello internazionale ove fossero venuti in luce, legati al sequestro ed alla strage di via Fani, come pure quelli sui luoghi di prigionia di via Montalcini e via Caetani, l’ultima in cui Moro venne poi assassinato dopo il fallimento di trattative segrete e per incitazione del KGB, successivamente sempre coperto dalle BR come principale mandante del delitto; nel merito anche la Federazione Russa, come erede dell’URSS, ha negato ogni implicazione, subordinando in tal modo le buone relazioni con il nostro Paese al mantenimento dei segreti su tutta la questione, peraltro in un complicato quadro di relazioni internazionali.

Probabilmente sono anche da porre in parallelo le due fattispecie delittuose – l’attentato a Giovanni Paolo II e il delitto Moro – organizzate tramite la mafia turca per il Papa e l’Hyperion per Moro, ed eseguite rispettivamente dalle reti terroristiche dei Lupi Grigi e delle BR, RAF e Separat, entrambe sotto un’unica matrice terroristica rossa, quella riconducibile direttamente all’URSS tramite il KGB e il GRU.

Ambedue le criminose vicende si sono trasformate in un labirinto da cui nessuno è riuscito più a uscire, due delitti simmetrici che rivelano un unico marchio di fabbrica: la pista rossa.

Ma se non si riesce ancora a districare il groviglio, quanto meno si tenta di far luce su un quadro fosco, appunto quello del terrorismo internazionale di matrice rossa come tratto distintivo di un agire politico teso a destabilizzare i rapporti internazionali e nel contempo a colpire al cuore lo Stato stesso, privandolo peraltro della capacità di assicurare protezione ai suoi membri, in nome di un’ideologia virulenta e di un allucinato e delirante teorema diagnostico-terapeutico che ha avvelenato, con i suoi farneticanti miasmi rivoluzionari e la sua inflessibile teorizzazione del terrore, tanti anni della recente storia di questo disgraziato Paese.

Gli agghiaccianti contorni di quel quadro suggeriscono purtroppo un nefasto parallelo con l’angosciata realtà dei tempi tristi che stiamo correndo, ancora così lontani da un’idea davvero liberale dell’uso della Ragione: non si vorrebbe che la funesta eredità dei totalitarismi novecenteschi fosse ancora presente tra noi, che la cultura europea non fosse ancora uscita del tutto dal ventesimo secolo e che non si fosse ancora liberata dai miasmi delle ideologie totalitarie. In tal caso, anche quella truce lezione dal passato, unitamente alle altre che l’hanno preceduta, sarebbe stata del tutto inutile!           

 

 

 

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