La grande battaglia dell’energia

La crisi ucraina ha provocato il caos nel mercato energetico, con un incremento del costo del petrolio, del gas, e del carbone, fino al doppio del loro valore precedente, e una corsa scomposta ad alternative di approvvigionamento. Questa situazione ha messo in risalto la necessità, evidente da decenni, di stabilire politiche di lungo termine, in modo da guadagnare livelli di autonomia, vis-à-vis condizioni e variabili geostrategiche, e contribuire alla preservazione dell’equilibrio ambientale, con il superamento del modello fossile. Del resto, le penalizzazioni inflitte da Stati Uniti ed Europa contro la Russia, manterranno i prezzi alti e volatili per molto tempo, con conseguenze significative, fra gli altri, in termini di inflazione, per i cittadini europei e dei paesi poveri.

Nel contesto dato, si è ampliato l’interesse per il nucleare, che già procura il 25 per cento dell’elettricità nell’Unione Europea. A differenza di molte fonti rinnovabili, come quella solare ed eolica, grazie a questa tecnologia si possono, infatti, realizzare ingenti volumi senza squilibri stagionali. Tuttavia, una virata in tale direzione, nell’immediato, non affrancherebbe il continente. La Russia detiene quasi la metà della capacità globale di arricchimento dell’uranio e una grande fetta del mondo ne è dipendente per la generazione di energia. La stessa Europa è vincolata alla Russia, e i sui alleati Kazakhstan e Uzbekistan, per il 40 per cento del nucleare prodotto. Da questi tre proviene, anche, circa il 10 per cento del totale dell’elettricità degli Stati Uniti, equivalente al 50 per cento delle sue installazioni, ragione per cui Washington ha escluso l’uranio dalle sanzioni, dando ulteriore prova che l’operazione in atto per indebolire la Russia viene pagata, in larga misura, dalla cassa europea.

La Russia, inoltre, domina il campo della costruzione di centrali e delle esportazioni, in economie emergenti, a essa ormai legate per alcuni lustri, riguardo a materiali e servizi. Negli ultimi vent’anni, è diventata il primo fornitore e manutentore per reattori, includendo aspetti finanziari e di formazione del personale. Dal 2000, ha firmato accordi bilaterali di cooperazione con 47 nazioni, sta fabbricando impianti in Bangladesh, Bielorussia, e Turchia, ed è coinvolta in progetti importanti in Africa, Asia, Medio Oriente e Sudamerica. Washington e i suoi alleati si sono dimostrati pronti a usare ogni mezzo per vincere la lotta intrapresa contro l’egemonia energetica della Russia. Basti pensare che i mercati, anticipando future restrizioni al nickel russo, indispensabile per le batterie dei veicoli elettrici, hanno fatto volare il prezzo alle stelle. E pur se l’obiettivo dovesse essere raggiunto, la Cina, affacciatasi con assertività nello scenario, si appresta a occupare la seconda posizione nel gotha nucleare. Non a caso, l’amministrazione americana, dal 2021, ha dato inizio a una tattica sanzionatoria, a partire dal settore privato cinese di energia solare.

La superiorità sino-russa potrebbe, invece, essere superata con lo sviluppo di una solida concorrenza, a fronte di una domanda crescente, e parte di un’agenda condivisa sul clima. Nondimeno, le visioni in Europa sono discordi e contraddittorie. Da un lato, il Regno Unito ha optato per il nucleare, all’indomani della seconda guerra mondiale, con il fine di sostenere il settore industriale; la Francia e la Svezia, in seguito all’embargo del petrolio degli anni settanta, hanno investito in infrastruttura, per ridurre la loro subordinazione al Medio Oriente; e il Belgio si è, di recente, impegnato a puntare su questo tipo di energia. Dall’altro, l’Italia, dall’essere, nel 1966, la terza potenza elettronucleare, dopo Stati Uniti e Gran Bretagna, con i due referendum del 1987, vi ha messo fine, impiegando combustibili fossili per oltre la metà del proprio fabbisogno e, al contempo, acquisendo quote di energia nucleare; la Finlandia ha sciolto un contratto con la Russia per un termopropulsore di 1.200 megawatt senza un piano alternativo; e la Germania fermerà le ultime tre centrali, entro la fine dell’anno, sebbene abbia acquistato dalla Russia 10 mila miliardi di euro di energia fossile dall’inizio del conflitto.

Per di più, la pressione di Washington si è intensificata. La Romania ha disdetto una collaborazione favorevole per due reattori con la Cina. La Repubblica Ceca ha escluso da una gara d’appalto internazionale la Russia e la Cina a processo avviato, cambiando le regole stabilite e contro il proprio interesse economico. Il Regno Unito sta cercando di estromettere gli investitori cinesi da un programma nucleare avviato. Una società statunitense, cofinanziata da Bill Gates, ha dovuto cancellare un progetto di sperimentazione in Cina, a causa dei divieti commerciali imposti dal proprio governo. Nonostante ciò, l’industria nucleare occidentale è rimasta in stallo e le compagnie europee e americane si trovano in difficoltà nel trovare alternative adeguate all’offerta russa e cinese. Per mettersi alla pari, si dovrebbero svecchiare le strategie energetiche, iniettare risorse nella capacità manifatturiera della catena del supply, e immettere nuove tecnologie nel circuito internazionale. L’operazione non è né facile né priva di oneri, ma l’innovazione derivata rappresenterebbe una sfera di competizione virtuosa, rispetto alla coercizione geopolitica, la distorsione del libero mercato e il confronto bellico.

La grande battaglia per l’energia ha un suo foco nevralgico nel territorio oggetto dell’allargamento dell’Alleanza Atlantica, e a traino dell’Unione Europea, ovvero nell’area di influenza della ex-Unione Sovietica. Tutti i paesi a ovest della Russia, tranne la Bielorussia e l’Ucraina, sono diventati membri della Nato, che è arrivata a sembrare un apparato offensivo, in cambio di un meccanismo di stabilizzazione. Il prolungamento delle ostilità in Ucraina, intanto che miete vite, distrugge l’economia nazionale e impoverisce le famiglie europee, arricchisce gli Stati Uniti, con l’aumento delle esportazioni di gas – il paese era alla ricerca di compratori – e dei profitti del complesso industriale militare, il rafforzamento del dollaro e l’attrazione di capitali, nonché l’ampliamento della vendita, in Polonia, Romania, Repubblica Ceca e Slovenia, di sistemi modulari o grandi reattori, delle statunitensi NuScale Power, Exelon e Westinghouse. In aggiunta, ad aprile, il dipartimento di stato ha annunciato che metterà a disposizione aiuti alla Latvia per montare una logistica nucleare, così come era stato fatto per l’Ucraina, allo scopo di separarla dalla distribuzione russa di gas naturale.

Mentre la tendenza, sulla spinta della politica estera americana, si muove verso un isolazionismo energetico, per blocchi da guerra fredda, la lezione appresa sinora è che i moderni assetti di produzione sono complessi e interconnessi, in special maniera quelli che utilizzano minerali critici, non presenti con uniformità intorno al globo. La strada dell’autocrazia in questo ambito non è praticabile e, piuttosto, dovrebbe essere promossa un’interdipendenza funzionale ed efficace, a favore del pianeta. In questo senso, il patto energetico globale coinciderebbe con una tregua, vicina alla pace.

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