Letture dell’Esodo. Tra rivoluzione e riformismo

Vi è una stretta relazione fra L’Esodo e il Dio ebraico, perché il Dio di Mosè, come, ha scritto Ernst Bloch in Il principio speranza, “è la promessa di Canaan o egli non è Dio”. E, infatti, il Dio che libera il popolo ebraico dalla schiavitù egiziana. Quando dice a Mosè: “Io sarò colui che sarà” (Es. 3, 14), Jahvé si manifesta come “un Dio della fine dei giorni, col futurum come struttura dell’essere”. Questo Dio, prosegue Bloch, “sarebbe stato a Delfi una follia”.

 

L’Esodo rimanda dunque a una visione lineare del tempo, contrapponendosi alle concezioni circolari dell’eterno ritorno, in cui gli eventi si ripetono secondo una sequenza ciclica. Nell’Esodo, come ha scritto Michael Walzer, “gli eventi storici accadono solo una volta e traggono pieno significato da un sistema di interconnessioni fra il passato e il presente, e non dalle corrispondenze gerarchiche del mito”. Ci troviamo allora dinnanzi a “una partenza senza ritorno”, come dimostra la vicenda di Ruth, commenta Bloch, che “non ritornò nel luogo da cui proveniva, ma andò senza voltarsi da colui al quale per libera scelta si era destinata”.

 

I movimenti progressisti e rivoluzionari possono così trovare, nella storia lineare dell’Esodo, un orizzonte comune. La Prima Rivoluzione inglese, ad esempio, fu fortemente segnata da una tensione utopica di rigenerazione sociale e religiosa e lo stesso Oliver Cromwell pensava, come ha sostenuto Christopher Hill, che se la religione non era di per sé motivo di conflitto, “alla fine Dio stesso portò la lotta”. La convinzione di essere gli eletti cui era destinato il regno dei cieli, faceva sentire i puritani, come gli ebrei, degni della Terra Promessa.

I teologi calvinisti, inoltre, privilegiavano la conoscenza rispetto alla contemplazione, prosegue Hill, in quanto ritenevano che un approccio scientifico all’universo costituisse “un modo per riuscire a conoscere Dio”. La scelta di applicare il sapere tecnico-scientifico al mondo naturale, e di riformare le istituzioni, grazie al sapere storico e all’azione politica, implicava una visione progressiva della realtà, che prese corpo nella Rivoluzione scientifica, come nella Rivoluzione inglese.

      

Il tema dell’Esodo alimentò ampiamente il progetto sionista, che si nutriva, sosteneva Aharon David Gordon, di un “nuovo, essenziale, cosmico rapporto con la natura e con la vita”, nella consapevolezza che, come commenta Martin Buber, “la via verso la natura è la via verso la resurrezione del popolo”. L’arpa di Davide, secondo Gordon, “può riottenere la sua forza solo in Israele”. Ci troviamo, così, dinnanzi a una descrizione in cui la Terra Promessa appare miticamente trasfigurata.  La legislazione ebraica, scriveva Moshè Hess, “ebbe due epoche principali: quella che seguì alla liberazione dalla schiavitù egiziana e quella che seguì alla liberazione dalla schiavitù babilonese. Una terza ancora l’attende ed è quella della redenzione dal terzo esilio”. Ma tale redenzione potrà mai compiersi pienamente?

La guerra vittoriosa del 1967 pose gli ebrei dinnanzi a una scelta difficile, sottolinea Walzer. Potevano infatti concepire le loro conquiste territoriali come la realizzazione della promessa di Dio ad Abramo, ma potevano anche seguire il monito dell’Esodo (23, 9): “Non opprimere lo straniero, perché voi conoscete già lo stato d’animo dello straniero, perché voi siete stati stranieri in terra d’Egitto”. Gershom Sholem si oppose alle tesi della destra e distinse, in modo netto, il sionismo dal messianismo, dichiarando che la redenzione, cui il sionismo aspirava, non si poteva identificare con la redenzione religiosa. Si trattava, a suo avviso, di due cose differenti, che “non si incontrano se non nella pomposa fraseologia delle adunate di massa”.

 

Chiari riferimenti all’Esodo, e al patto fra Dio e il popolo eletto, sono presenti anche nel mito americano della frontiera. Quando John L. O’ Sullivan, il direttore della Democratic Rewiew, utilizzò, riguardo all’annessione del Texas, il termine manifest destiny, diede voce a un sentimento in cui millenarismo cristiano, echi dell’Esodo e Dottrina Monroe si integravano. Espressioni quali “Cacciare i pagani” o “Missione nel deserto”, ampiamente diffuse nel linguaggio politico, si collocavano entro questa concezione. L’America poteva allora essere vista contemporaneamente, e senza problemi di coerenza, commenta Richard W. Van Alstyne, come la “Nuova Roma”, la “Nuova Gerusalemme”, il “nostro Israele”. Il quadro di John Gast, American Progress, del 1872, che è stato infinitamente riprodotto, rappresenta in pieno questo sentire. La figura femminile che accompagna dall’alto il cammino dei coloni, porta sulla mano destra un libro e sulla sinistra i fili del telegrafo, testimoniando l’avanzare della civiltà in terre “pagane” e inesplorate, abitate solo da “selvaggi”.

 

Appare evidente come il mito della frontiera potesse essere declinato in forme diverse, che riguardavano tanto la mentalità comune, quanto ambiziosi progetti egemonici.  L’elemento che distingueva nettamente la società americana dalla vecchia Europa, si poteva riconoscere, secondo F. J. Turner, proprio nella “vita di frontiera”, che ha forgiato il carattere degli uomini del Nuovo Mondo. In questo clima, estraneo ai paesi europei, “i vincoli della consuetudine sono spezzati”. Diversamente dai confini, che delimitano la sovranità degli stati in Europa, la frontiera rappresentava, per i coloni, scriveva ancora Turner, “la lama acuta dell’onda, il punto d’incontro fra barbarie e civiltà”.  La Dottrina Monroe come, più tardi, la Dottrina Truman, e, in seguito, la politica estera americana, sono diverse applicazioni di questa ideologia, di cui anche la conquisa dello spazio è una manifestazione. La frontiera, intesa come “una via di scampo alla schiavitù del passato”, diveniva così il simbolo della “missione” assegnata all’America, che, oltrepassando ogni confine, avrebbe dovuto diffondere nel mondo lo spirito democratico.

 

Il messaggio dell’Esodo ha segnato fortemente la Teologia della liberazione. Uscire dall’Egitto, per Ignacio Ellacurìa, non deve intendersi come un’azione profana, ma come una nuova esperienza rivelatrice di Dio. La tensione verso la trascendenza non dovrebbe comportare un distacco dai problemi sociali, scrive Ellacurìa, ma alimentare un impegno che consenta di passare dalla terra d’Egitto alla terra di Canaan, affinché “il popolo scuota il giogo e si ponga in cammino alla ricerca di una terra nuova”.

 

In questo cammino verso la libertà, l’esito rivoluzionario non è, tuttavia, l’unica opzione.    Paragonato con il messianismo politico, ha scritto Walzer, “l’Esodo invita a una politica moderata e prudente. Paragonato con il vecchio tipo di lotta sociale, o con la comune passività e rassegnazione degli oppressi, invita a una politica rivoluzionaria”. L’Esodo può allora indirizzare verso letture “leniniste”, ma anche “socialdemocratiche”. Porta comunque con sé l’esigenza di opporsi a ogni potere ingiusto e idolatra, ma non sfocia necessariamente nel messianismo, dal momento che Canaan (la Terra Promessa), che accoglie il popolo ebraico dopo la liberazione dalla schiavitù in Egitto, non è   l’Eden. L’Esodo ispira, dunque, i riformisti, che non promettono il Paradiso, e i rivoluzionari, che, fanaticamente persuasi di incarnare la perfezione, vogliono invece realizzarlo, rischiando però, come avrebbe detto Karl Popper, di garantirci l’inferno in terra.

 

Testi citati

 

Walzer, Esodo e rivoluzione, trad. it., Feltrinelli, Milano, 2004.

Bloch, Il principio speranza, trad. it., Garzanti, Milano, 1994, 3 voll., vol. I.

Ellacurìa, La storicità della salvezza cristiana, trad. it. in I. Ellacurìa – J. Sobrino, Mysterium Liberationis. I concetti fondamentali della teologia della liberazione, Borla \ Cittadella, Roma, 1992.

Hill, Vita di Cromwell, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1974.

Buber, Sion. Storia di un’idea, trad. it., Marietti, Genova, 1987.

Hess, Roma e Gerusalemme. L’ultima questione nazionale, trad. it in La rassegna mensile d’Israele, Roma, 1950-1951.

W. Van Alstyne, Manifest destiny, trad. it. in AA.VV., Il mondo contemporaneo, vol. V, Storia del Nord America, La Nuova Italia, Firenze, 1980.

 

 

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