L’impostazione eticamente egoista del soggetto stirneriano

Era il 1844 quando vide la luce, a Lipsia, un saggio del quale la stesura era già cominciata nel 1839; un saggio dalle conclusioni e dalle argomentazioni particolarmente scottanti, e che avrebbero infine permesso, tanto al testo quanto all’autore, di godere di un’ottima diffusione e di essere fonte di convinta influenza per movimenti e filosofie – specialmente godenti di tratti spiccatamente anarchici – a venire. L’unico e la sua proprietà è un testo forte, irriverente, austero, caparbio, brutale e cruento nella sua significazione morale: Stirner, con questo suo lavoro, intende, ancor prima di Nietzsche, rivoluzionare la tavola dei valori convenzionalmente accettati. Differentemente, però, dal filosofo dello Übermensch, Stirner non dedica la sua argomentazione ad una feroce invettiva attenta e circospetta nei confronti delle ipocrisie, specialmente cristiane e cristianeggianti, imperanti nel contesto etico-sociale; alternativamente, la sua focalizzazione sarà tutta intorno al problema del soggetto e del suo valore il quale, per come stimato da Stirner, abbraccia l’intero mondo nel quale vive. Con questo nostro lavoro, non desideriamo solamente presentare il soggetto per come inteso da Stirner, ma vorremmo, per quanto possibile, delineare tutto il contesto filosofico dal quale prende vita così che, infine, possa auspicabilmente aversi un quadro quanto più completo possibile di quegli infervoramenti che hanno reso possibile una riflessione come quella aventesi nell’Unico.

Seppure il testo, nel suo comunicarsi, certamente non faccia uso della reticenza o di figure retoriche rendenti la lettura particolarmente ostica, dopo essere stato ritirato dalla stampa prussiana poiché censurato, ritorna alla pubblicazione poco dopo perché giudicato di così ardua o assurda lettura che comunque sia non avrebbe potuto godere di alcuna significativa risonanza[1]. Questa difficoltà, in effetti, non solamente veniva dalle – pregiudizialmente ritenute – assurdità presenti nel testo, ma era anche germogliante dall’incredibile conoscenza filosofica che Stirner interamente presenta nel testo come se l’interlocutore fosse sempre abbastanza colto e consapevole da poter tenere il passo di cotante complesse dottrine e rielaborazioni. Solamente l’introduzione al testo edita da Stirner stesso, seppur constante solamente di una triade di pagine, propone un’argomentazione che sotto lo sguardo di una persona poco addetta può scambiarsi per un’elucubrazione personale preconcetta e deliberatamente condotta, ma che attraverso una lettura maggiormente cosciente delle problematiche affrontate dischiude un orizzonte di riferimenti estesissimo e fervidissimo. L’incipit all’opera, da un malteismo sotteso, percorre tutta una strada infine perveniente al soggetto, passando addirittura da una – neanche troppo, per il tempo – subliminale critica nei confronti della filosofia hegeliana, dalla quale Stirner, come vedremo diffusamente a breve, prende saldissime distanze. Non è infatti minimamente casuale come una riflessione così eticamente ed egoisticamente presentantesi potesse avere luogo in quello specifico momento: seppure non venga mai adeguatamente evidenziato nelle istanze dove dovrebbe esserlo, la filosofia stirneriana è decisamente contestuale al panorama filosofico avente luogo nel momento coevo del suo pensamento. Storicamente, la filosofia post-hegeliana viene suddivisa in Destra e Sinistra hegeliane[2]: i membri della prima sono quelli maggiormente conservanti il pensiero della matrice alla quale si rifanno; gli altri, viceversa, sono quelli maggiormente reazionari e rivoluzionari: allontanandosi dalle istanze sostanzianti l’hegelismo, lo criticano aspramente proponendo un piano speculativo avverso e diametralmente opposto. Insieme a Marx, Feuerbach, Kierkegaard e Schopenhauer, Stirner va inserendosi proprio in questa categoria: i primi quattro, per quanto con intensità variopinte, godono di approfondimenti e di una considerazione inequivocabilmente maggiore rispetto all’ultimo, e questo lo riteniamo un peccato che la storia della filosofia ancora è restia a levarsi. Così come le riflessioni dei primi quattro sono ben attinenti al sentire filosofico del tempo, e propongono una critica mirata e ben organizzata all’impero dottrinale di Hegel, così anche Stirner, seppure in modo decisamente meno sistematico, quanto più organicamente possibile stila una sua elaborazione antiteticamente posta alla filosofia della fenomenologia dello spirito.

La configurazione della soggettività, infatti, per come stirnerianamente intesa, è fortissimamente pregna di tutte quelle caratteristiche che capovolgono la costituzione del soggetto per come si presenterebbe nei cardini teoretici tipici della filosofia di Hegel: laddove il valore del soggetto era, in Hegel, completamente ascritto rispetto al concetto della storia dell’umanità, identificantesi con la storia evoluzionistica di uno spirito che si cerca fuoriuscendo di sé e rientrando maturato in-sé, in Stirner la soggettività si riposiziona e rifunzionalizza interamente fondando, come lui stesso dice (L’unico e la sua proprietà, Adelphi, Milano, 1979, p.11) riprendendo una poesia di Goethe[3], la sua causa su nulla. Il fondamento della propria causa su nulla permette al soggetto di potersi fondare autenticamente solamente sulla propria singolarissima ed irripetibile singolarità: non si poggerà più né su valori moralmente tendenti al trascendente ed inerenti una presunta santità[4], né sull’umanità che, evolvendo, minimamente è tenente conto dell’esistenza finitissima del soggetto determinatamente configurato. La finitezza e la completezza del soggetto gli rendono possibile l’affrancamento da tutto quanto sia diverso-da-sé: la causa viene riposta su nulla perché, così, coincide esattamente con il porsi della soggettività e, per questo, l’individuo stesso – che diventa l’unico – sarà abilitato a vivere il mondo rifondandone la struttura ed inerendola, infine, alla sua stessa unica e completa costituzione.

“La mia causa non è né il divino né l’umano, non è ciò che è vero, buono, giusto, libero, ecc., bensì solo ciò che è mio, e non è una causa generale, ma – unica, così come io stesso sono unico.
Non c’è nulla che m’importi più di me stesso!” (op.cit., p.13)

L’opera dell’Unico si suddivide, perlomeno nell’edizione predominantemente disponibile dell’Adelphi, curata dal suo ex-direttore, Roberto Calasso, e tradotta da Leonardo Amoroso, in due grandi parti, tutte inerenti la soggettività: “l’uomo”, e “l’io”. In questa diade, Stirner non solamente elucubrerà intorno alla figura del soggetto in sé, ma addirittura tenterà – in modo non troppo dissimile da come abbia fatto Machiavelli ne Il principe rispetto alle varie forme di potere – di costruire una storia delle modalità del soggetto nel suo essersi posizionato nel mondo, partendo dal modo dei greci. Degne di attenzione saranno infatti le filosofie di Epicuro e dello stoicismo, dando anche rispetto al cinismo di Diogene di Sinope ed all’edonismo dei cirenaici; il tutto compiuto col fine di delineare una storia delle modalità del soggettivo. È da dirsi, infatti, come, soprattutto per ciò che concerne la filosofia greca, il modo di farsi filosofia – specie ellenistica – riguardava un posizionamento dell’umano nel mondo: il tetrafarmaco epicureo, l’atarassia e l’imperturbabilità degli stoici, l’indifferenza etica dei cinici, e l’ipertrofico piacere dei cirenaici, riguardavano una possibilità del soggetto di ricondursi nella sua stessa significazione, e riproporsi il mondo godendo di quello senza affannarsi eccessivamente a causa di passioni e patemi. Similmente, anche della filosofia stirneriana può apprezzarsi il suo essere un modus vivendi, più che una semplice speculazione teoretica intorno al concetto del soggetto-nel-mondo: nella prima parte, “l’uomo”, nelle pp.19-24 dell’edizione già presa in considerazione, Stirner, partendo dal bambino, fino a giungere all’adulto passando per il giovane, enucleerà quelli che sono i modi dello spirito – dove per “spirito” deve stirnerianamente intendersi l’essenza della soggettività, la massima espressione dell’individuo di essere consapevole della sua costituzione e della sua unicità assoluta; passando per queste età, dovendo infine parlare della fase del vecchio, egli asserirà: “se lo diventerò, ci sarà tempo di parlarne”. È una particolare espressione del modo di essere-al-mondo, l’eticità stirneriana, il cui scoprimento avviene man mano che i vari momenti vengono fattualmente esperiti. Per questo, necessita, per esprimersi, di essere vissuta: disvelare l’autentica significazione della vita in un dato suo momento, significa viverlo e significa, soprattutto, goderlo al massimo delle proprie assolute, uniche possibilità.

Al contempo, il testo dell’Unico non è risultante “offensivo” semplicemente perché riportante l’intero senso del tutto nel soggetto, ma soprattutto perché, facendolo, rende il soggetto non solo nella potenza, ma nel diritto di dover godere del mondo tutto perché non solo gli appartiene, ma in senso stretto si identifica nella stessa soggettività: l’individuo è il mondo, ed essendolo, gli spetta incontrovertibilmente il godimento intero, autonomo e massimo del tutto – godendo così infine di sé stesso. Una delle più emblematiche sentenze del testo, infatti (op. cit., p.332), recita:

“A che cosa tende il mio rapporto col mondo? Io voglio goderlo, per questo il mondo dev’essere mia proprietà e per questo voglio conquistarlo. Io non voglio né la libertà né l’uguaglianza degli uomini; io voglio soltanto il mio potere su di loro. E anche se non ci riuscirò, io chiamerò lo stesso – mio il potere di vita e di morte che Chiesa e Stato si erano riservato”.

Il rapporto col mondo, quindi, diventa totalmente ego-riferito e completamente inerente solo e solamente la propria eufemisticamente iperbolica individualità: la relazione con il mondo viene dunque ricontestualizzata come essente non una coincidenza con l’esterno, con l’Altro, bensì una situazione totalmente ritorcentesi all’interno; il rapporto con il mondo è il rapporto con sé stessi perché noi si è il mondo, ed essendolo, dobbiamo godere di noi stessi essendo noi, infine, l’unico. Oggetto di asprissima critica sono quindi tutte le istituzioni che, collettivizzando il valore del soggettivo all’interno del contesto sociale, svalorizzano la sua assolutezza e la sua potenza: lo Stato e la Chiesa, entrambi delle saldissime istituzioni addirittura covanti in loro “il potere di vita e di morte”, devono sgretolarsi e cedere questa loro aulica forza alla singolarissima individualità dell’unico – che è padrone del mondo. L’anarchia del soggettivo è dunque ineluttabilmente imperante: l’attaccamento a forme aliene rispetto alla unica costituzione dell’individuo è per Stirner un errore che assolutamente non deve compiersi perché tutta la vita, tutta, si raggruppa e converge intorno alle finite e concluse spoglie della finita e conclusa, unica individualità.

Seppure stavolta non sotto una firma che ne individui autenticamente l’autore, un documento pubblicato con il nome di Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco (Edizioni ETS, 2007), originariamente datato intorno al 1797, ed attribuito filologicamente ad Hegel seppure scritto insieme al poeta Hölderlin ed al filosofo Schelling, conferma, decenni prima dell’opera pungente e spiazzante di Stirner, molte delle istanze anarchiche proposte dal filosofo dell’egoismo etico. All’interno di questo documento, si possono notare quasi le medesime posizioni anti-istituzionali proposte nell’Unico: la morte dello Stato per come coercitivamente si ponesse, ed il tramonto della Chiesa nella sua forma detenente un potere politico ed anche socio-religioso, erano necessità inalienabili rispetto all’impellenza di ritornare ad una forma di comportamento e posizionamento dell’umano che avesse a che vedere con una maggiormente armoniosa coincidenza con il mondo. Seppure quanto possa immediatamente scandalizzare sia il fatto che, perlomeno per l’attribuzione filologica, il testo sia di Hegel – lo stesso filosofo che poi considererà lo Stato un momento estremamente importante della manifestazione storica dello Spirito –, il documento risulta saporitamente armonizzato rispetto alla eco rivoluzionaria che si era diffusa successivamente allo scoppio della Rivoluzione Francese: la Francia aveva inaspettatamente rovesciato un potere aristocratico e parassitario che, per quanto fosse evidente non propagasse che marciume, sembrava inamovibile ed inespugnabile. Quello che storicamente cade sotto il nome di Ancien Régime, infine, nel 1799, contro ogni previsione, viene esautorato.

La Rivoluzione, come intuibile, non ebbe solamente conseguenze importanti nel territorio francese, ma l’aura rivoluzionaria si sparse a macchia d’olio per tutta l’Europa, tanto che movimenti reazionari qui e lì presero piede; non solo: il moto impetuoso della rivoluzione coinvolse anche le menti di giovani intellettuali, come Hegel, Schlegel, Hölderlin ed altri i quali, infatuati completamente dalla meraviglia di un così inaspettato cangiamento, col tipico moto impetuoso giovanile anche da Stirner evidenziato (op. cit., p.21-22), sognarono un capovolgimento di valori non solamente politico, ma interamente riguardante la sensatezza dell’umano. Da citare assolutamente sono i lavori di Schiller e Schlegel i quali, aderendo totalmente al sentore rivoluzionario, ritengono necessaria una rivoluzione estetica che riorganizzi interamente l’umano ripartendo da una rieducazione di tipo, appunto, gustosamente estetico: notare la frammentazione dell’uomo tipica della modernità, e tentare di ricostruire la dispersione dell’armonia attraverso una forma di educazione che poggi quanto più possibile i piedi sulla base dell’armonia dell’animo tipica del mondo ellenico[5].

La riflessione intorno allo statuto della soggettività ed intorno al suo valore, intorno a quella che dovesse essere la sua maniera di essere-al-mondo e le sue modalità di vivere questo, com’è evidente, era questione cominciata già tempo addietro – ed è per questo che Stirner inizialmente conduce una sorta di “storia della soggettività” –, e che infine, soprattutto grazie ai moti rivoluzionari della Francia, riprese la sua vigorosa effervescenza trovando comodo asilo negli animi soprattutto di quei giovani che avrebbero auspicabilmente voluto che qualcosa del sentire della loro epoca potesse cambiare. In questo senso, va a delinearsi un ordine nella riflessione stirneriana: non si tratta di una proposta sui generis semplicemente mirante a potenziare ipertroficamente la soggettività attraverso istanze incoercibilmente anarchiche; quella di Stirner, alla pari di quella di Kierkegaard, Schopenhauer, Feuerbach e Marx, è una riflessione intorno alla sensatezza della soggettività dopo che Hegel l’aveva completamente depotenziata ascrivendola all’interno di un contesto esclusivamente e meramente universalistico e storicistico, spirituale. La potenza irresistibile del soggetto stirneriano origina da un controbilanciamento perfettamente sensato alla filosofia hegeliana: non è la storia dello spirito, la storia dell’umanità, la storia degli Stati, a muovere il mondo; il mondo è mosso, viceversa, da me, perché io stesso sono il mondo e, negli interessi del mondo che sono quindi i miei, io devo goderlo perché, godendolo, io godrò di me stesso – ed essendo l’Unico non c’è nulla di più importante di me stesso.

La filosofia di Stirner – è uno spregevolissimo peccato – non viene mai adeguatamente né contestualizzata, né affrontata: nei manuali scarseggia, nelle università generalmente non viene mai davvero proposta – semmai venga addirittura toccata; quella di Stirner è una dottrina difficile, complessa, poliedrica, ma per nulla affatto deliberatamente escogitata senza alcun basamento fondamentale che la sostanzi: parlare di Stirner significa parlare di una personalità multiforme e composita, forte e brutale, cruda – coerentemente rappresentante un periodo di grande schiamazzo culturale. L’individualità assoluta di Stirner è pertanto una eco perfettamente armonizzata al momento culturale, e non un’operazione negletta ed egotista intorno al potenziamento assolutistico dell’io; è perfettamente inerente sia un rifiuto delle istituzioni già comunque in forte crisi nell’ottocento, sia  di una filosofia che stava trascurando il singolo e la sua urgenza. Analizzare Stirner significa analizzare un gigante che scoperchia – con magistrale sospetto colpevolissimamente non riconosciutogli neanche da Paul Ricœur[6] – ideologie ipocrite, religioni insoddisfacenti, istanze sociali sgangherate e, infine, l’infelicità dell’individuo costretto ed intrappolato, asfissiato, da un mondo che in realtà dovrebbe godere per essere davvero felice di sé stesso.

Note

  1. Per il reperimento di questa informazione, e generalmente per tutte quelle che riguardano eterogenei quanto significativi approfondimenti intorno alla figura di Stirner e dell’opera dell’Unico, desideriamo riferirci al sito http://maxstirner.org/ il quale, in Italia, rappresenta una delle principali fonti di informazione per il pensiero del filosofo.
  2. La suddivisione è da riferire a D. F. Strauss il quale, già nel 1837, intravedeva una nettissima separazione nei ranghi del proselitismo hegeliano.
  3. Cfr. J. W. Goethe, Vanitas! Vanitatum vanitas!, 1806.
  4. Vorremmo evidenziare come, oltre sicuramente alla religione cristiana, anche la morale per come presentata dal kantismo aveva a che vedere con la santità: santo, infatti, sarebbe stato, kantianamente parlando, colui del quale la volontà avrebbe armoniosamente corrisposto con la legge morale; in altre parole, con il dovere (vedi I. Kant, Critica della ragion pratica, trad. it. a cura di F. Capra, Laterza, Bari, 1997, pp.179-189). Sebbene la legge morale kantiana sia incontrovertibilmente inerita al soggetto, ed anzi in questo si radichi (ivi, p.353), è inopinabile come, essendo direttamente relata ai postulati, in quanto tali indimostrabili ma necessari affinché l’intera impalcatura intorno alla libertà non ceda, tenda, come l’umano come tale, ad un superamento di sé che vada oltre gli argini del trascendentale, ed approdi all’in(defi)finitezza della metafisica.
  5. Cfr. F. Schiller, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, a cura di G. Boffi, Bompiani, Milano, 2017
  6. Ricœur aveva, infatti, insignito della titolazione di “maestri del sospetto” Marx, Nietzsche e Freud in quanto avrebbero, rispettivamente, scoperchiato delle tanto sommesse quanto apparentemente inespugnabili, per quanto sedimentate, problematiche economico-sociali, morali, ed intra-individuali. Stirner, in questo caso, alla pari della triade proposta da Ricœur, avrebbe rivelato, con altrettanto sospetto e circospezione, l’inconcludenza del soggetto in-sé che, dapprima privato della sua potenza, ora se ne riappropria attraverso la maniera dell’unicità.

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