I due concetti di libertà di Sir Isaiah Berlin

Quando, nel 1957, Isaiah Berlin fu chiamato per insegnare Teoria sociale e politica a Oxford, era conosciuto prevalentemente per le sue conferenze e  l’opera più estesa che aveva pubblicato, il saggio su Marx, era del 1939. La nomina alla cattedra che era stata di G.D.H. Cole fu accompagnata da qualche perplessità nell’ambiente oxfordiano, ma il suo insegnamento diede vita a un metodo in cui teoria politica e storia delle idee si integrarono in modo del tutto originale. Nell’ottobre del 1958 inaugurò il suo corso con una lectio divenuta poi celebre, Due concetti di libertà, nella quale libertà negativa e libertà positiva venivano poste a confronto.

 

La libertà negativa, che sta a fondamento del suo liberalismo, coincide con “l’area entro cui una persona può agire senza essere ostacolata da altri”. Berlin cita, a tal proposito, il passo di On liberty in cui John Stuart Mill scrive che tutti gli errori che un uomo potrà commettere, costituiranno un male minore rispetto a quello che subirebbe consentendo ad altri di decidere per lui.

 

Il concetto di libertà positiva nasce per Berlin col desiderio dell’individuo di essere padrone del proprio destino. In un primo momento, autonomia e assenza di coercizione, scrive, possono sembrare due concetti molto simili. Nella sua lotta per l’autonomia, l’uomo può anche pensare di affrancarsi dalla schiavitù della natura o delle passioni, distinguendo un Io vero da un io empirico. L’ Io vero -commenta Berlin- può però essere concepito come Io collettivo (lo Stato, la Chiesa, il Partito), di cui il singolo diviene solo un elemento. Quando questo Io vero si impone come una totalità organica, l’oppressione può rivelarsi il mezzo più idoneo per raggiungere il presunto vero fine dell’uomo : la società in cui trionferanno la libertà, la giustizia, l’uguaglianza.

 

Michael Ignatieff ricorda che Karl Popper scrisse a Berlin e si congratulò per la sua lectio, ma non condivise ciò che a lui parve una sottovalutazione del rapporto tra autonomia morale e libertà, che rinviava alla tradizione kantiana. Charles Taylor considerò la descrizione della libertà positiva proposta da Berlin addirittura caricaturale, sostenendo che l’autorealizzazione kantiana non doveva necessariamente implicare soluzioni totalitarie. E’ necessario, a questo punto, seguire il percorso che conduce Berlin a tali conclusioni. L’Illuminismo è, per Kant, l’uscita dell’uomo da una condizione di minorità, che diviene colpevole “quando la sua causa non stia nella mancanza di intelletto, bensì nella mancanza di decisione e di coraggio nel servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro”.

 

Berlin sottolinea che, nonostante l’autonomia del soggetto fosse al centro del suo pensiero, “Kant non era, in nessun senso, un entusiasta romantico”, ma, un illuminista, che considerava la soggettività trascendentale in termini universali. Per i romantici, invece, e per Herder in particolare,  il soggetto è saldamente radicato nella comunità in cui vive. In Fichte, poi, il gruppo e la nazione assumono in sé il singolo e in Hegel lo Stato diviene “l’ingresso di Dio nel mondo”, come si legge nei Lineamenti di filosofia del diritto.

 

Si può allora comprendere perché, il nazismo, alla ricerca di padri nobili, attinse senza riserve  a queste fonti, quando volle rappresentarsi come una comunità organica di popolo (volksgemeinschaft) in cui il singolo si annulla. Nel richiamo di Herder all’unicità delle tradizioni nazionali, Kant coglieva, scrive Berlin, un tentativo confuso e acritico di “sostituire l’emozione alla ragione”. Appare dunque evidente che queste considerazioni sono motivate dal timore che una discutibile lettura romantica di Kant possa limitare la libertà dell’individuo, subordinandolo allo Stato. Il capo carismatico può divenire, in tale contesto, l’artista-demiurgo che dà forma alla materia amorfa, plasmando le masse in funzione di quel bene che solo egli è in grado di scorgere.

 

Berlin evidenzia un altro rischio nella definizione della libertà intesa come capacità di fare ciò che si desidera. Prendere atto che questo non è sempre possibile, conduce infatti a limitare o soffocare i desideri, come accade nella favola della volpe e dell’uva. La rinuncia ascetica può tradursi in forza spirituale, come dimostra lo stoico che, seguendo Marco Aurelio, si rifugia nella Cittadella interiore, ma non è detto che ciò produca un ampliamento della libertà.

 

Berlin mette in guardia anche contro gli abusi della ragione, in quanto l’idea di applicare uno  schema ideologico alla realtà può alimentare quei “credo nazionalisti, comunisti, autoritari”, che hanno consentito ai totalitarismi di affermarsi con la promessa di una palingenesi radicale. L’ottimismo razionalista, secondo Berlin, si regge sulla convinzione che tutti i problemi possono risolversi in una sintesi organica. La libertà non si distingue dall’autorità, quando viene proclamata da governanti che considerano la società “un progetto costruito in conformità alle leggi razionali del saggio legislatore o della natura, o della storia, o dell’Essere Supremo”. I cittadini che non si riconosceranno in tale progetto, saranno allora giudicati “irrazionali” e, in quanto ostacoleranno la realizzazione del bene supremo,  dovranno essere “rieducati” o eliminati. La libertà personale è legata, per Kant, all’autonomia della legge morale, ma, nel momento in cui, come accade nel pensiero politico dell’idealismo romantico, il soggetto diviene collettivo, sarà lo Stato a dirigere la coscienza del cittadino-suddito, ritenuto incapace di decidere da solo.

 

La libertà può anche essere considerata in stretta connessione con l’uguaglianza, la fraternità e l’aspirazione al riconoscimento. Si può essere, però, talmente motivati da  questo desiderio, da preferire un tiranno della propria etnia o della propria classe, commenta Berlin, a un governo tollerante, estraneo al proprio gruppo, dal quale non ci si sente pienamente riconosciuti.

 

La libertà deve poi difendere i suoi spazi nelle democrazie, in cui può prevalere la tirannia della maggioranza. Berlin ritiene che, nelle sue diverse espressioni, la libertà positiva si orienti verso concezioni monistiche. Nella sezione conclusiva della sua lectio, a cui dà il titolo L’uno e i molti, cita Condorcet, secondo il quale “La natura lega insieme, come in una catena indissolubile, verità, felicità e virtù”, riuscendo a coniugare libertà, uguaglianza e giustizia. Ma è proprio così? si chiede subito dopo. Gli uomini non vivrebbero “il tormento della scelta” se i diversi ideali potessero armonicamente integrarsi, e bisogna prendere atto che l’uguaglianza e la giustizia sociale entrano in conflitto con la libertà individuale. Il pluralismo appare allora a Berlin più vicino alla condizione umana rispetto alla reductio ad unum proposta dal monismo delle ideologie olistiche.

 

La posizione di Berlin non può identificarsi esclusivamente con il clima che ispirava il liberalismo della Guerra fredda, anche se egli stesso ammetteva che l’esistenza dell’Unione Sovietica aveva rappresentato una solida motivazione nella sua difesa della libertà negativa. Nell’ambito del pluralismo valoriale, Berlin non nega tuttavia le ragioni della libertà positiva. Ecco perché, nell’introduzione ai Cinque saggi sulla libertà, (nell’edizione curata da Henry Hardy, che ha aggiunto un quinto saggio ai quattro originariamente pubblicati) scrive che le esigenze di una legislazione sociale possono emergere tanto dai sostenitori della libertà positiva, quanto da quelli della libertà negativa.

 

L’ascesa e il declino di questi due concetti di libertà sono connessi, sostiene, a due grandi pericoli : lo statalismo da un lato e l’economia di mercato incontrollata dall’altro. Ciò che turba la coscienza dei liberali dell’Occidente, scrive nella lectio, è la convinzione che la libertà di una minoranza sia stata ottenuta ignorando l’immensa maggioranza che non la possiede. Per evitare una forte disuguaglianza o una miseria diffusa si può anche sacrificare la propria libertà, ma un sacrificio, scrive,”non è un aumento di ciò che viene sacrificato, cioè della libertà, per grande che sia la sua necessità morale o il compenso per esso. Ogni cosa è quello che è : la libertà è libertà, e non uguaglianza”.

 

La difesa della libertà negativa non fece dunque di Berlin un ammiratore del mercato senza regole e Michael Ignatieff ricorda che nel 1945 votò per Attlee, pur ammettendo che non si sentiva a proprio agio in quel clima di “moralità da scuola privata minore” che associava al laburismo. Nel saggio su Le idee politiche del ventesimo secolo, del 1949, scrisse che il New Deal di Roosevelt, rappresentava ”il compromesso più costruttivo tra libertà individuale e sicurezza economica di cui sia stato testimone il nostro tempo”. Avvicinandosi molto al liberalismo di Mill, Roosevelt aveva suscitato, a suo avviso, le passioni politiche che animarono l’Inghilterra di Gladstone e di Lloyd George .

 

In una intervista al filosofo Ramin Jahanbegloo, del 1991, dichiarò che assolutizzare la libertà illimitata del capitalismo avrebbe negato quella degli operai e che è dunque necessario tutelare la dignità dei più deboli. Dialogando con Steven Lukes, sostenne che se la libertà positiva è stata “pervertita politicamente” nei totalitarismi, la libertà negativa, con il laissez faire, “ha portato alle sofferenze dei bambini nelle miniere di carbone”.

 

Libertà ed eguaglianza sono, per Berlin, valori oggettivi, a cui non possiamo accostarci con un atteggiamento relativistico. Sono valori diversi, e sarebbe utopico pensare di identificarli. Tutto ciò comporta scelte non facili e talora tragiche. Solo accettando il pluralismo, che non è dunque relativismo, si può, faticosamente, trovare uno spazio di mediazione fra libertà positiva e libertà negativa, nella consapevolezza, scriveva, che “la nozione di realizzazione umana totale è una contraddizione in termini, una chimera metafisica”.

 

 

Testi citati

I.Berlin, Due concetti di libertà, trad. it. in Id., Libertà, Feltrinelli, Milano, 2005.

S. Mill, Sulla libertà, trad. it., Il Saggiatore, Milano, 1981.

Ignatieff, Isaiah Berlin. Ironia e libertà, trad. it., Carocci, Roma, 2000.

Kant, Risposta alla domanda: Cos’è l’Illuminismo?, trad. it. in Id., Scritti di storia, politica e diritto, Laterza, Roma-Bari, 1995.

Berlin, Kant come fonte poco nota del nazionalismo, trad. it. in Id., Il senso della realtà, Adelphi, Milano.

Id., L’inevitabilità storica, trad. it. in Id., Libertà, cit.

Id., Il mio itinerario intellettuale, trad. it. in Id., Controcorrente, Adelphi, Milano, 2003.

Id., Cinque saggi sulla libertà,trad. it. in Id., Libertà, cit.

Id., Le idee politiche del ventesimo secolo, trad. it. in Id., Libertà, cit.

Id., In libertà. Conversazioni con Ramin Jahanbegloo, trad. it, Armando, Roma, 2012.

Id., Tra filosofia e storia delle idee. Intervista autobiografica a cura di Steven Lukes, trad. it., Ponte Alle Grazie, Firenze, 1994.

 

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