Recovery

Infrastrutture, ambiente, scuola, giustizia, sanità, digitale. Sono le aree di lavoro che si ritiene necessario attivare per dare modo al nostro paese di riprendere un cammino di crescita abbandonato da oltre dieci anni. Quale il ruolo dello Stato e quale il ruolo degli attori privati?
È indubbio che lo Stato debba creare i presupposti e le regole; nel campo delle infrastrutture e della sanità lo Stato è un primo attore e deve assicurare investimenti efficaci, controllati nei costi e celeri nei tempi di esecuzione.
Giustizia e scuola sono sotto la diretta responsabilità dello Stato. Per la giustizia civile occorre provvedere allo snellimento delle procedure e all’adeguamento degli organici nelle corti d’appello; qui basta volere. Per la scuola la questione è più delicata: si va dalle esigenze di edilizia a quelle di arredo, a quelle di dotazioni informatiche. Ma soprattutto il problema è nei contenuti. La cultura dei docenti formatisi negli anni Sessanta e settanta ha portato da almeno trent’anni a questa parte a generare allievi adatti a socializzare, con grande spirito di gruppo, ma spesso privi delle capacità critiche e delle conoscenze linguistiche necessarie per progredire nella evoluta società contemporanea. L’investimento pubblico dovrebbe riguardare quindi la riconversione dei docenti (se possibile e se non condizionata ideologicamente) e la riqualificazione dei programmi, con maggior peso alla matematica e all’analisi logica. Sull’argomento ricordo che, cinquant’anni or sono, le traduzioni dall’italiano in latino costringevano l’alunno a comprendere la sintassi; ogni traduzione presupponeva la lettura logica del testo. I mediocri maestri della scuola di oggi sperano invece in modo approssimativo che l’alunno in gruppo intuisca quello che legge. Lo sforzo da fare sulla scuola è a mio avviso più impegnativo degli altri, forse sarà più facile trovare adattamenti nella scuola privata, mentre immagino forti resistenze nella scuola pubblica.
Per ambiente-clima e digitale bisogna creare gli incentivi (o i disincentivi) fiscali per andare nella giusta direzione. Nessuno mette in dubbio la necessità di operare per fermare il processo di riscaldamento globale e l’economia digitale si presenta, anche nella pandemia, come una soluzione efficace per un ampio spettro di esigenze. Credo che lo Stato debba auspicare in questi campi un forte ruolo dell’iniziativa privata, più adatta ad esplorare e a rischiare in aree di innovazione.
Per tutto ciò bisogna creare un clima nel quale l’iniziativa privata che deriva dalle promozioni pubbliche si svolga con il consenso collettivo e con la giusta remunerazione del rischio. Nell’opinione prevalente nei tempi più recenti quanto svolto dai privati è stato considerato negativamente: dopo i riconoscimenti degli anni 50 e 60, dalla fine degli anni 60 i nostri imprenditori sono stati oggetto di sistematico ostracismo culturale. Il nostro dizionario culturale dovrebbe cancellare certi termini ricorrenti, quali “disuguaglianza da combattere”, e riscoprire termini fin qui combattuti, quali “giusto profitto” da conseguire. Il compito dello Stato in questa prospettiva non è quello di concepire fantastici Gosplan o di organizzare tavoli di governo dell’economia ma quello di dare sicurezza a chi lavora, garantire il rispetto della legalità nonché osservare e fare osservare i contratti stipulati.

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