Riflessioni a margine dell’Ordinanza n. 18 del 30 Aprile 2020 emessa dal Presidente della Regione Siciliana

Profili di illegittimità, contraddittorietà ed irragionevolezza della suddetta ordinanza nella parte in cui limita il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.

Avv. Prof. Gianfranco Passalacqua

Avv. Luigi Pirrotti

 

Con il DPCM del 26 aprile 2020, considerato il registrarsi di una inferiore diffusione della pandemia conseguente al COVID-19, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Prof. Avv. Giuseppe Conte, ha dato avvio alla c.d. “fase 2”, ossia la fase di “convivenza con il virus”.

Nello specifico, in ragione della riduzione sia del numero dei contagi sia del numero dei pazienti ricoverati e in terapia intensiva, il suddetto DPCM ha – tra l’altro – espressamente previsto, all’art. 1, comma 1, lett. a), ultimo periodo, che “è in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”.

Allo stesso tempo, ai sensi dell’art. 10, comma 2, del medesimo DPCM, è stato tuttavia disposto che “si continuano ad applicare le misure di contenimento più restrittive adottate dalle Regioni, anche d’intesa con il Ministro della salute, relativamente a specifiche aree del territorio regionale”.

Con ordinanza n. 18 del 30 aprile 2020, il Presidente della Regione Siciliana, Sebastiano Musumeci, ha previsto che le limitazioni di ingresso e uscita dal territorio della Regione Siciliana restano invariate e sono disciplinate dal decreto n. 183 del 29 aprile 2020 del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con il Ministro della Salute, e sue eventuali modificazioni e integrazioni.

In particolare, per quel che qui rileva, ai sensi dell’art. 11 della suddetta ordinanza n. 18 del 30 aprile 2020, è stato disposto che, fermo quanto previsto nel decreto n. 183 del 29 aprile 2020, “chiunque faccia ingresso in Sicilia ha l’obbligo di:

  1. a) registrarsi sul sito internet www.siciliacoronavirus.it, compilando integralmente il modulo informatico previsto; rendere immediata dichiarazione attestante la presenza nell’Isola (comunicandone compiutamente l’indirizzo) al proprio Medico di Medicina Generale o al Pediatra di Libera Scelta, al Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda Sanitaria Provinciale competente per territorio nonché al proprio Comune di residenza o domicilio;
  2. b) permanere in isolamento obbligatorio presso la propria residenza o domicilio, adottando una condotta improntata al distanziamento dai propri congiunti e/o coabitanti, curando di aerare più volte al giorno i locali dell’abitazione.

I soggetti in isolamento non possono ricevere visite.

(..) I soggetti in isolamento sono sottoposti a tampone rinofaringeo alla conclusione del termine di quarantena”.

Ai sensi del successivo art. 16 della succitata ordinanza, tuttavia, è stato previsto che “gli spostamenti dei passeggeri via mare da Messina per Villa San Giovanni e Reggio Calabria e viceversa sono disciplinati dal Decreto n. 183 del 29 aprile 2020, emanato dal Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro della Salute, tenuto conto dell’andamento epidemiologico nell’Isola. Tale disciplina, in deroga restrittiva all’art. 1, comma 1 lett. a), ultimo periodo, del DPCM del 26 aprile 2020, consente l’accesso nell’Isola esclus(iva)amente agli appartenenti alle Forze dell’ordine e alle Forze armate, agli operatori sanitari pubblici e privati, ai lavoratori pendolari o per comprovate esigenze di lavoro, gravi motivi di salute e situazioni di necessità”.

 

Ebbene, come ricordato supra, l’art. 1, comma 1, lett. a), ultimo periodo, stabilisce espressamente che “è in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”.

Non può porsi dubbio alcuno, dunque, sull’interpretazione della suddetta disposizione: tutti hanno il diritto di rientrare presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.

Va altresì segnalato che, sia il Ministero dell’Interno nella nota n. prot 17102/110/13 del 7 aprile 2020 sia il Consiglio di Stato nel parere n. 00735/2020 reso in data 07 aprile 2020, hanno affermato che “a seguito dell’emanazione del D.L. n. 19/2020 viene puntualmente delineato il regime delle competenze, accentrando – stante la gravità e dimensione nazionale dell’emergenza – a livello statale il potere di regolamentare gli interventi e le misure di contenimento, in special modo per quanto riguarda le prescrizioni che incidono su diritti anche di rango costituzionale, in relazione alle quali l’ordinamento ha, quindi, stabilito una clausola di salvaguardia generale a tutela dell’unità dell’ordinamento della Repubblica . . . finalizzata a contemperare l’esigenza di assicurare, alle Regioni e ai Comuni, adeguati ambiti funzionali volti a consentire mirati interventi sui territori di competenza, rispetto all’evolversi localmente del rischio epidemiologico, con l’esigenza di salvaguardare il ruolo dello Stato di garante dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all’articolo 117, comma 2, lett. m) della Costituzione”.

Ed ancora, è stato rilevato che “compete al Governo centrale un ruolo di vigilanza affinché le misure a tutela della salute adottate dagli enti territoriali non limitino arbitrariamente i diritti fondamentali dei cittadini, tra cui la libertà di movimento la quale, come noto, è tutelata dall’articolo 16 della Costituzione in base a una riserva di legge di natura rinforzata”.

Da quanto precede ne consegue che, atteso che (i) il potere di regolamentare gli interventi e le misure di contenimento che incidono su diritti anche di rango costituzionale compete al Governo Centrale e che (ii) il DPCM ha espressamente previsto che è in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza, le eventuali misure di contenimento più restrittive adottate dalle Regioni ex art. 10 del DPCM del 26 aprile 2020 non possono comunque impedire il rientro presso i predetti luoghi, ma – tutt’al più – limitare i diritti fondamentali dei cittadini solo a seguito del rientro stesso.

Pertanto, in tale contesto normativo, l’ordinanza n. 18 del 30 aprile 2020 emessa dal Presidente della Regione Siciliana, oltre ad esorbitare dal potere provvedimentale a lui attribuito, lede chiaramente diritti costituzionalmente sanciti invadendo, per diversi aspetti, settori che la Costituzione assegna alla potestà legislativa statale esclusiva.

Nello specifico, si evidenzia che la suddetta ordinanza regionale vìola palesemente gli articoli:

  • 3 della Costituzione, poiché introduce un’irragionevole disparità di trattamento nei confronti delle persone che hanno necessità di attraversare lo Stretto al fine di rientrare presso il proprio domicilio, residenza e abitazione, rispetto alla generalità dei cittadini sul restante territorio nazionale. Si rileva, al riguardo, infatti, che la quasi totalità delle Regioni non pone impedimento alcuno al rientro sul proprio territorio regionale;
  • 16 della Costituzione, nella misura in cui, come già anticipato, pone limitazioni di un diritto, quello della libera circolazione dei cittadini, garantito da riserva di legge di natura rinforzata;
  • 117, comma 2, lett. m) della Costituzione, in quanto lo Stato, e non la Regione, ha legislazione esclusiva nella “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”;
  • 117, comma 2, lett. q) della Costituzione, in quanto lo Stato, e non la Regione, ha legislazione esclusiva nelle materie statali dell’ordine e della sicurezza pubblica e della profilassi internazionale;
  • 120 della Costituzione, in quanto la Regione non può adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni.

E, più in generale, invadendo settori attribuiti alla potestà legislativa statale, tale ordinanza è lesiva dell’unità dell’ordinamento.

Come chiarito anche dal Consiglio di Stato, in presenza di emergenze di carattere nazionale, pur nel rispetto delle autonomie costituzionalmente tutelate, vi deve essere una gestione unitaria della crisi per evitare che interventi regionali o locali possano vanificare la strategia complessiva di gestione dell’emergenza, soprattutto in casi in cui non si tratta solo di erogare aiuti o effettuare interventi ma anche di limitare le libertà costituzionali.

Specifica, dunque, il Consiglio di Stato che la competenza autonoma riconosciuta alle Regioni può ricorrere solo in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso; tali circostanze, in applicazione delle ordinarie regole sulla motivazione del provvedimento amministrativo, non devono solo essere enunciate ma anche dimostrate.

E non è questo il caso della regione Sicilia.

Ed infatti, la circostanza che, in Sicilia, si registri una inferiore diffusione del contagio rispetto ad altre parti del territorio nazionale e che, pertanto, non vi siano situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario, oltre che fatto notorio, è confermato dalla stessa ordinanza del 30 aprile 2020.

E, laddove tale circostanza volesse esser posta quale giustificazione per il mantenimento delle misure limitative della libertà personale adottate, non è dato allora comprendere come, allo stesso tempo, la suddetta ordinanza consenta ai soggetti che già si trovano in Sicilia (i) gli spostamenti per il trasferimento “stagionale” nelle abitazioni diverse da quella principale, sia individuale che del nucleo familiare convivente, (ii) la possibilità di praticare, a titolo esemplificativo e non esaustivo, tennis, ciclismo, canoa, canottaggio e vela, equitazione, atletica e golf, nonché (iii) il commercio, anche al dettaglio, di prodotti florovivaistici (sic!).

Dalle considerazioni sopra esposte, appare pertanto evidente anche la disparità di trattamento tra residenti e domiciliati in Sicilia i quali si trovano già all’interno della regione e coloro i quali che, seppur residenti o domiciliati in Sicilia, legittimamente ne chiedono il rientro.

Inoltre, si rileva l’evidente contraddittorietà tra gli art. 11 e 16 dell’ordinanza de qua e, più nello specifico, l’ulteriore, irragionevole e contraddittoria misura prevista dal successivo art. 16 che “in deroga restrittiva all’art. 1, comma 1 lett. a), ultimo periodo, del DPCM del 26 aprile 2020, consente l’accesso nell’Isola esclus(iva)amente agli appartenenti alle Forze dell’ordine e alle Forze armate, agli operatori sanitari pubblici e privati, ai lavoratori pendolari o per comprovate esigenze di lavoro, gravi motivi di salute e situazioni di necessità”.

Nel primo caso – coerentemente alle previsioni del DPCM, pur con modalità maggiormente restrittive (sulla cui piena legittimità si rimette ogni valutazione al Governo sulla base della clausola di premazia) – è possibile l’accesso nell’Isola ove in possesso dei requisiti prescritti; diversamente, nel secondo caso, l’accesso risulta precluso e, quindi, in conflitto tanto con le previsioni del DPCM quanto con la previsione di cui all’art. 11 della stessa.

Da ultimo, si rileva che la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri ha chiarito, con faq resa in data odierna, che “il decreto prevede che sia in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza, anche se comporta uno spostamento tra regioni diverse”.

Alla luce di quanto sopra, è evidente come l’ordinanza n. 18 emessa dal Presidente della Regione Siciliana sia illegittima, nella parte in cui – all’art. 16 – preclude l’accesso alla regione a soggetti che ne hanno pienamente diritto.

È proprio sulla base di tali macroscopiche illegittimità, che si sommano a quelle rinvenibili nella complessiva azione posta in essere in queste settimane da Governo nazionale, regioni e comuni, che si è ritenuto di agire a tutela delle ragioni di quanti, cittadini titolari di diritti, si trovano ad essere discriminati da misure irragionevoli e contraddittorie, con un surplus di danno, connesso all’arbitraria ed ingiustificata attribuzione di una “patente di potenziale contagiosità”, priva di ogni appiglio medico – scientifico.

Si è pertanto ritenuto di procedere con un atto stragiudiziale di diffida, che sollecita ed insieme intima al governo nazionale ed a quello regionale l’adozione di misure coerenti, dalle quali non derivino inaccettabili discriminazioni, che si aggiungerebbero a quelle perpetrate in queste settimane di sospensione di fatto dello stato di diritto.

Come ha opportunamente ricordato, autorevolmente, la Presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia, non vi è spazio per “diritti speciali” in situazioni di emergenza, dovendosi sempre e solo ricorrere alla Costituzione.

A maggior ragione oggi, cessata l’emergenza della prima fase, disporre limitazioni per via amministrativa di diritti e libertà costituisce una aberrazione intollerabile.

Confidiamo che Governo nazionale e Governo regionale, collaborando lealmente, sappiano accogliere questa occasione di autotutela che l’atto predisposto concede loro.

Certo è che occorre da subito una mobilitazione a difesa dello Stato di diritto, nella sua declinazione liberale e democratica, che impedisca per il futuro ogni cedimento e che isoli le condotte e gli atti assunti in queste settimane qualificandole definitivamente come aberrazioni incidentali e giammai come precedenti.

Con ogni dovuta riserva in ordine alla ricerca ed individuazione di precise responsabilità non solo politico-istituzionali, ma anche giuridico-legali.

Sarà questo il compito di quanti, giuristi di formazione liberale, intendano non sottrarsi ad un obbligo etico-civile e culturale prima ancora che scientifico e professionale.

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