Sylviane Agacinski. La politica dei sessi tra identità, mistione e differenza

La dualità, che sta alla base della condizione umana e che costituisce la conditio sine qua non della riproduzione, rimanda a una ineludibile differenza sessuale. La pretesa di assolutizzare uno dei poli, non può che sfociare nella negazione dell’altro, anche se la reductio ad unum che ne deriva pretende di incarnare la totalità in modo apparentemente neutrale. Nel corso della storia la differenza ha dato luogo a molteplici rappresentazioni simboliche, declinate nei diversi ambiti culturali, politici, economici.

 

Nel momento in cui la dimensione universale dell’umano si è definita tenendo in ombra la dualità, è stato privilegiato l’elemento maschile, e l’identità femminile è stata descritta in termini di privazione rispetto al modello di riferimento. Nella consapevolezza del fatto che è impossibile ignorare le specificità naturali, è necessario, sostiene Sylviane Agacinski, “elaborare un pensiero dell’universalità che non propenda più da una parte o dall’altra, ma che lasci l’umanità nella sua mistione e dunque nella sua interna alterità”. La filosofa francese mette in luce come le versioni della differenza si siano sempre caratterizzate per una connotazione politica, come dimostra proprio la Politica di Aristotele.

 

La superiorità del maschio, nella struttura monarchica della famiglia aristotelica, si fonda sul fatto che il seme maschile rappresenta la forma che dà vita alla materia, in quanto la funzione della donna è considerata meramente ricettiva. L’uomo, inteso come specie che include entrambi i generi, è, per Aristotele, un animale sociale che possiede il logos, e proprio nella dimensione sociale del logos si possono trovare le ragioni che stanno alla base della giustizia. La disuguaglianza tra i sessi, che caratterizza i rapporti familiari, rientra nei criteri normativi che reggono la Polis ed è quindi diversa dalla subalternità dello schiavo rispetto al padrone, dal momento che lo schiavo, nella visione aristotelica, è tale per natura. Il maschio viene descritto da Aristotele (Politica, I, (A), 12, 1259 b) come più adatto al comando perché più saggio e maturo, rispetto alla moglie, di solito molto più giovane di lui. Se dunque la disparità fra uomo e donna rimanda ad uno specifico assetto dell’istituzione familiare, nella Politica, secondo Agecinski, Aristotele lascia aperte possibilità di mutamento nella relazione fra i sessi. Possibilità che le concezioni misogine, che pretendevano di fondarsi su basi scientifiche, hanno precluso radicalmente nell’età del razionalismo positivista. Basti pensare, in proposito, a Moebius o a Lombroso, le cui tesi sull’inferiorità femminile venivano presentate all’opinione pubblica e alla comunità scientifica come dati oggettivi.

 

La condizione binaria maschile\femminile, sostiene Agacinski, non deve trasformarsi in una logica della mancanza, ma deve tradursi in una logica del misto. Accettare la dicotomia “non significa che uno dei termini sia positivo e l’altro negativo”, come avviene quando uno dei due viene collocato su un piano gerarchicamente più elevato. Risulta evidente, infatti, che ciascuno non è dotato di ciò che l’altro possiede, in quanto né l’uomo, né la donna, nella loro unilateralità, rappresentano l’universalità dell’umano. Solo il mancato riconoscimento della mistione “ricolloca sempre uno dei due al posto del due“.

 

Freud interpreta la differenza femminile in termini di mancanza del pene, e ciò si traduce, per lui, nella tendenza delle donne ad assumere comportamenti maschili al fine di superare la propria   inferiorità. Per Agacinski, al di fuori della logica della mistione, ogni sesso è in realtà mutilato, “ogni sesso conosce la castrazione di non essere l’altro”.

Simone de Beauvoir, considerando la femminilità una condizione che predispone alla passività, come accadrebbe nel desiderio erotico e nella gestazione, accoglie, in qualche modo, una tradizione che ha identificato il femminile con la corporeità e la natura. Il dualismo platonico, in cui il mondo dell’intelletto sovrasta la sensibilità o la concezione aristotelica, secondo cui la materia aspira alla forma, rivivono dunque nell’aspirazione dell’esistenzialismo a trascendere il piano materiale. La tesi di de Beauvoir, secondo cui la donna esprimerebbe la propria scelta di libertà attraverso il rifiuto della maternità, si muove in tale direzione, legittimando, in fondo, le posizioni di quanti hanno contrapposto pensiero\cultura (maschile) a sensibilità\natura (femminile).

 

Per Agacinski, l’identificazione della madre con un essere carnale, animale e passivo, costituisce “un antichissimo atto di forza interpretativo che le donne non devono avallare”. La capacità procreativa può infatti divenire “un modello di creazione senza essere incompatibile con tutte le altre forme di creatività o di espressione con cui le donne vorranno manifestare la loro libertà”. La tendenza a rinnegare la naturale inclinazione a dare la vita, ha alimentato in molti casi, nell’universo femminile, la volontà di prendere le distanze dalla propria identità di genere.

Queste scelte, aspirando a superare la “naturalità” femminile, hanno in realtà condotto a una forma di neutralità vicina a quei valori maschili da cui il femminismo voleva prendere le distanze: “Il disconoscimento del due ha indotto ad affermare uno dei due”, senza superare l’androcentismo. Per Agacinski non bisogna confondere l’eguaglianza con l’identità. L’espressione della Dichiarazione dell’‘89, secondo cui gli uomini “nascono liberi e uguali in diritti”, non deve farci dimenticare che l’eguaglianza non è in sé evidente, in quanto è istituita su un piano giuridico. Se, infatti, nell’ Ancien Régime, lo status di ciascuno era definito dalle sue origini familiari, il nuovo ordine, nato dalla Rivoluzione, stabilisce l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. E’ evidente che tale riconoscimento non riguarda l’identità, ma fonda un principio costituzionale, che inaugura un mutamento radicale rispetto ai paradigmi che avevano retto la società feudale. L’eguaglianza non annulla le differenze, dal momento che gli uomini non sono identici, pur essendo eguali giuridicamente.

 

L’esigenza di promuovere l’emancipazione femminile fu molto marcata in John Stuart Mill che, come ha evidenziato Nadia Urbinati, immaginava di estendere, nell’ambito familiare, il modello politico deliberativo in cui erano garantite condizioni di parità a tutti i soggetti. Mill era favorevole ad abolire le interdizioni previste per le donne, riconoscendo loro “la parità che attiene a tutti i diritti del cittadino” e la possibilità di accedere a ogni occupazione dignitosa. Si trarrebbe così, scriveva, “il grande vantaggio di regolare secondo giustizia e non secondo ingiustizia la più universale e la più coinvolgente delle relazioni umane”. Come scriveva Harriet Taylor, filosofa femminista liberale e compagna di Mill, bisogna “negare a una parte della specie di decidere per un’altra” e a un individuo di indicare ad altri “cosa sia o non sia la propria sfera. La sfera propria di tutti gli esseri umani è la più ampia e la più elevata che essi sono in grado di raggiungere”. Le considerazioni di Mill e Taylor pagavano comunque un tributo al loro tempo. La libertà politica era rivendicata infatti dalle donne in quanto madri e mogli e non in quanto cittadine. La vicenda personale di John e Harriet costituì una testimonianza vivente di mistione. Mill scrisse nella sua Autobiografia che On liberty, il suo Saggio sulla libertà, sarebbe sopravvissuto più a lungo di qualsiasi suo altro scritto, perché l’unione delle loro menti ne aveva fatto “una specie di manuale filosofico su una singola verità cui i cambiamenti progressivamente verificantesi nella società moderna tendono a dare un rilievo sempre più forte : vale a dire l’importanza, per l’uomo e per la società, di una larga varietà di caratteri e di una completa libertà della natura umana di espandersi in direzioni mutevoli e contrastanti”.

 

Il superamento della subordinazione, descritta da Mill e da Taylor, coesiste, ovviamente, con un confronto costante, e talora aspro, fra identità e differenza. L’abbandono dei modelli patriarcali, variamente declinati o sublimati, non può condurre a una rivendicazione di valori ginecocratici, ma deve lasciare spazio a un pluralismo etico, in cui la scelta procreativa sia collocata accanto alle diverse forme di libertà politica ed esistenziale. Tale scelta appartiene all’universo femminile, ma sono le singole donne a declinarla in funzione delle loro storie personali. L’identità di genere non può prevalere sulle libere opzioni individuali, che potranno essere tutelate da un universalismo dei diritti, entro quel pluralismo rispettoso delle differenze indicato da Martha Nussbaun.

L’attenzione alla differenza non può non estendersi al campo della rappresentanza politica. Le donne infatti, pur non essendo, ovviamente, una minoranza e pur essendo attive in tutti i settori della società, sono scarsamente presenti nelle istituzioni. Il tema è stato affrontato in termini identitari da Adriana Cavarero, secondo la quale bisognerebbe radicalizzare la differenza, opponendo l’ordine femminile all’ordine maschile. Appare evidente che la logica della separazione, sostenuta da Cavarero, non può essere accettata da Agacenski, per la quale, la solo la mistione può evitare la “guerra fra i sessi”, consentendo di convertire la contrapposizione in condivisione. Non dovrà esserci allora, a suo avviso, una rappresentanza sessuata, e i seggi non dovranno essere divisi equamente tra uomini e donne, ma le candidature dovranno essere paritetiche e tutti gli eletti rappresenteranno, al di fuori di un vincolo di mandato, tutti gli elettori. La parità, scrive la filosofa francese, significa che “la mistione effettiva delle Assemblee deve raffigurare la mistione umana della nazione”. La rappresentanza equa degli uomini e delle donne diverrà allora “il riflesso fedele delle diverse componenti della popolazione”. Il pensiero di Sylviane Agacenski è dunque un invito a prendere congedo dalla nostalgia dell’uno, per accogliere la dimensione duale come espressione del pluralismo, in cui il legame della differenza, può divenire, come ella stessa scrive a conclusione de La politica dei sessi, “una divisione che unisce tanto quanto separa.

 

 

Testi citati

Agacinski, L’uomo disincarnato. Dal corpo carnale al corpo fabbricato, trad. it., Neri Pozza, Vicenza, 2020.

Agacinski, La politica dei sessi, trad. it., Ponte Alle Grazie, Milano, 1998.

Stuart-Mill, L’asservimento delle donne, trad. it. in Id., La libertà, L’utilitarismo, L’asservimento delle donne, Rizzoli, Milano, 1999.

Stuart-Mill e H. Taylor, Sull’eguaglianza e l’emancipazione femminile, trad. it., Einaudi, Torino, 2001.

Stuart-Mill, Autobiografia, trad. it., Laterza, Bari, 1976.

Urbinati, L’ethos della democrazia. Mill e la democrazia degli antichi e dei moderni, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 2006.

Nussbaum, Diventare persone. Donne e universalità dei diritti, trad. it., Il Mulino, Bologna, 2001.

Cavarero, L’ordine dell’uno non è l’ordine del due, in M. L. Boccia- I. Peretti, Il genere della rappresentanza, Democrazia e diritto, 1988, n. 1.

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