La scelta del tipo di vaccino anticovid-19 è una libera concessione del decisore politico o un primario diritto costituzionale del cittadino?

Pfizer, Moderna, AstraZeneca, ecc. La proliferazione e l’arrivo, seppur scaglionato, sul mercato dei diversi vaccini anticovid fanno pensare alla varietà di prodotti che siamo soliti trovare in un ben fornito banco del supermercato. Come scegliere il più giusto? Senza dubbio, infatti, gli interessi che entrano in gioco intorno a questa problematica, partendo dalla salute e arrivando a quello dei considerevoli profitti economici che la vendita del vaccino comporta, esigono che si faccia una riflessione approfondita a riguardo.

Tempo fa il quotidiano il Tempo  riportò che sarebbe stata l’Agenzia italiana del farmaco a decidere a chi dare questo o quel vaccino (AIFA)”. Una decisione, dunque, che esulerebbe dalla scelta personale. E se il cittadino volesse un vaccino differente rispetto a quanto deciso per lui, potrebbe richiederlo se disponibile? Il sanitario competente avrebbe l’obbligo di consigliare quello migliore? Oppure l’Aifa potrebbe imporre” la tipologia di vaccino da somministrare?

La questione, oggi, più che ieri, è ancorpiù importante per la problematica della seconda dose del vaccino Astrazenaca a la possibilità della vaccinazione eterologa che il Governo parrebbe ammettere.

Allo stato attuale, il generale diritto alla salute garantirebbe al cittadino di avere la migliore cura disponibile e, quindi, anche la possibilità di disporre del vaccino che, in base alle evidenze scientifiche, sia in grado di offrire la migliore copertura vaccinale dal Sars-Cov-2.

Per inquadrare con correttezza la questione, però, è necessario fare delle necessarie premesse.

 

Il diritto alla salute, al trattamento terapeutico e alla migliore cura possibile.

Il diritto alla salute trova ormai un riconoscimento universale nei Trattati internazionali e nella Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (1).

In base all’art. 32, comma primo della Costituzione italiana, inoltre, La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

In quanto diritto sociale del cittadino a pretendere una serie di interventi a difesa del suo bene-salute, vi è l’obbligo dello Stato a predisporre, tramite un’organizzazione sanitaria idonea, le prestazioni positive per realizzarne il godimento effettivo e globale. L’intervento sociale si colloca in funzione della persona e della sua sfera autodeterminativa” e non coercitiva.

Le stesse riforme sanitarie realizzate nel tempo hanno, come principi ispiratori, tra l’altro, l’universalità dei destinatari, l’uguaglianza di trattamento, il rispetto della libertà e della dignità della persona e la volontarietà dei trattamenti sanitari.

 

La libertà di scelta.

L’art. 13 della Costituzione garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica.

Il successivo art. 32, comma secondo, stabilisce che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

L’art. 33 L. n. 833 del 1978 esclude, poi, la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente (se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p.) ponendone l’obbligo a carico del sanitario, il quale, una volta richiesto dal paziente dell’esecuzione di un determinato trattamento, attraverso il suo preventivo consenso informato, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso.

Questi diritti comportano il diritto per il cittadino di accettare, rifiutare, interrompere atti od interventi a salvaguardia del proprio stato di salute, compiuti da terzi, ma contro il proprio volere (cosiddetto diritto all’autodeterminazione terapeutica) (2).

 

Necessità del consenso informato

Nella legislazione ordinaria, pur mancando un referente normativo “generale”, il principio del consenso informato è enunciato in numerose leggi speciali, nel Codice di Deontologia Medica e in varie linee guida (3).

Anche la giurisprudenza (Corte di Cassazione sentenza n. 19212 del 2015) ha affermato che l’obbligo del consenso informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario senza il quale l’intervento del medico è (al di fuori dei casi di trattamento per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità) sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente (v. Cass., 16/10/2007, n. 21748).

Trattasi di obbligo che attiene all’informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto e, in particolare, in ordine alla possibilità che ne consegua (cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 30/7/2004, n. 14638) un aggravamento delle condizioni di salute del medesimo, al fine di porlo in condizione di consentirvi consapevolmente (v. Cass., 14/3/2006, n. 5444).

Il consenso libero e informato – che è volto a garantire la libertà dell’individuo e costituisce un mezzo per il migliore perseguimento dei suoi interessi, consentendogli di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico o anche di rifiutare (in tutte le fasi della vita, pure in quella terminale) la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla (v. Cass., 16/10/2007, n. 21748) – non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un’adeguata informazione, anch’essa esplicita.

Il medico ha, pertanto, il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili (v. Cass., 13/2/2015, n. 2854) e alla cura da praticare (4).

Il diritto al consenso informato del paziente va, però, tenuto distinto da quello del diritto fondamentale alla salute (5).

Il consenso informato, in pratica, attiene al diritto basilare della persona all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico (cfr. Corte Cost., 23/12/2008, n. 438) e, quindi, come sopra detto, alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente (v. Cass., 6/6/2014, n. 12830), atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest’ultima non potendo, peraltro, in ogni caso, violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32, comma 2, Cost.).

Il trattamento medico terapeutico ha, viceversa, riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (art. 32, 1 co., Cost.) (v. Cass., 6/6/2014, n. 12830).

In mancanza di consenso informato l’intervento del medico (al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità) è pertanto sicuramente illecito, anche quando sia nell’interesse del paziente (v. Cass., 8/10/2008, n. 24791) (6).

 

Correttezza dell’informazione in ambito vaccinale

Prendendo spunto dalle linee guida al consenso informato nelle vaccinazioni della Regione Toscana, queste prevedono che la corretta informazione è presupposto imprescindibile perché l’adesione alla vaccinazione sia ragionata e consapevole.

Affinché l’interessato, e/o i genitori/tutori (in caso di minori e di incapaci), possano esprimere il loro valido consenso, è quindi necessario che nel corso del colloquio pre-vaccinale – con l’ausilio di materiale informativo scritto e precedentemente fornito – siano loro offerte informazioni chiare e corrette in relazione a:

  • benefici attesi dalla vaccinazione;
  • possibili complicanze della malattia che si intende prevenire con la vaccinazione;
  • eventuali ischi legati alla vaccinazione;
  • tipologie di vaccini disponibili e loro caratteristiche;
  • consapevolezza delle resistenze alle vaccinazioni.

La “regola di fondo” è, dunque, quella dell’autonomia e della responsabilità dell’operatore sanitario che, sempre con il consenso della persona assistita e /o del rappresentante legale, propone l’offerta vaccinale basandosi sullo stato delle migliori conoscenze “a disposizione”.

Da ciò discende l’affermazione, da un lato, dell’“autonomia degli operatori sanitari nelle loro scelte professionali” (che devono essere informate alle più aggiornate e fondate evidenze scientifiche) e, dall’altro, di quella dell’assistito che dopo aver valutato la situazione alla luce delle motivazioni etiche, sociali e anche dell’interesse personale, aderisce in modo consapevole e libero alla proposta vaccinale.

A tale proposito, anche l’articolo 20 del codice di deontologia medica (CDM 2014), approvato il 18.5.2014, dispone che: La relazione tra medico e paziente è costituita sulla libertà di scelta e sull’individuazione e condivisione delle rispettive autonome e responsabilità. Il medico nella relazione persegue l’alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un’informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura” (7).

 

Conclusioni

I diritti summenzionati obbligano lo Stato a reperire sul mercato i migliori vaccini disponibili che abbiano ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie per l’immissione in commercio.

Lo Stato avrebbe anche il dovere di garantire, se possibile, la facoltà ai cittadini “di acquistare” dietro prescrizione medica e a prezzo calmierato il vaccino (come, ad esempio, avviene per quello influenzale a pagamento per alcune categorie di persone).

Per quanto attiene al rapporto paziente-sanitario, allo stato dell’arte e in base alle considerazioni svolte, il sanitario, dopo aver acquisito l’anamnesi vaccinale del paziente e compiute le dovute considerazioni, deve consigliare, anche in base alle eventuali linee guida del Ministero della Sanità, dell’Aifa e dell’Ema, ecc., alle best practice e alla migliore evidenza scientifica, il tipo di vaccino più adatto, tra le diverse tipologie disponibili, tenendo conto delle specifiche caratteristiche e di quelle più adatte a ciascun assistito.

Il diritto alla salute garantisce al cittadino il diritto di avere la migliore cura disponibile e, quindi, anche il diritto al vaccino che, in base alle evidenze scientifiche, sia in grado di offrire anche la migliore copertura vaccinale dal Sars-Cov-2.

Il sanitario, quindi, avrebbe il dovere di consigliare all’utente il “miglior” vaccino tra quelli disponibili.

Il paziente, a sua volta, ha il diritto di scelta tra i vaccini eventualmente consigliati dal sanitario.

Ciò anche per la problematica della seconda dose del vaccino Astrazeneca e, quindi, della vaccinazione eterologa.

Si potrebbe anche ipotizzare che, dopo l’anamnesi del sanitario e acquisito il consenso informato, il medico rilasci una prescrizione che possa consentire all’utente di acquistare presso le farmacie, a prezzo calmierato, il vaccino consigliato, se non disponibile presso la struttura sanitaria.

Allo stato attuale, vista la “facoltatività” del vaccino da Covid-19, sembra piuttosto difficile, in base alla normativa vigente, che l’Aifa possa aprioristicamente “imporre” la scelta del vaccino all’utente.

Diverso sarebbe stato il discorso in caso di obbligatorietà vaccinale.

Per approfondimenti giuridici sul tema vedasi le note in calce.

 

  1. La Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è stato il primo strumento internazionale a decretare il godimento del miglior stato di salute come un diritto fondamentale di ogni essere umano (“il diritto alla salute”). La Costituzione, approvata nel 1946 ed entrata in vigore nel 1948, dispone che la sanità è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste solo in un assenza di malattia o d’infermità. Il possesso del migliore stato di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano, senza distinzione di razza, di religione, d’opinioni politiche, di condizione economica o sociale. I governi sono responsabili della sanità dei loro popoli; essi possono fare fronte a questa responsabilità, unicamente prendendo le misure sanitarie e sociali adeguate”. Il diritto alla salute è un diritto riconosciuto dal diritto internazionale dei diritti umani. Il diritto alla salute è riconosciuto, tra l’altro, gli artt. 1 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (CDFUE), che garantiscono la dignità umana e l’integrità fisica e psichica di ciascun individuo, nonché (art. 3, comma 2) il rispetto del consenso libero e informato della persona in ambito medico e biologico; l’art. 8, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare; l’art. 24 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 (per la quale la ratifica e l’esecuzione sono state disposte con legge 27 maggio 1991, n. 176), che tutelano la salute dei minori e garantiscono il loro accesso ai servizi medici; gli artt. 5, 6 e 9 della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997 (per la quale la ratifica e l’esecuzione sono state disposte con legge 28 marzo 2001, n. 145), il primo dei quali, in particolare, sancisce come regola generale la necessità del consenso libero e informato dell’interessato ai trattamenti sanitari. Il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali – ampiamente considerato come lo strumento centrale della protezione del diritto alla salute – riconosce “il diritto di ogni individuo a godere del miglior stato di salute fisica e mentale”. Si precisa che il diritto alla salute è sancito in numerosi trattati internazionali e regionali sui diritti umani. Il Servizio Sanitario Nazionale (Ssn), istituito con la Legge del 23 dicembre 1978, n. 833, nasce con il preciso scopo di assicurare quanto stabilito dalla costituzione e garantire l’accesso alle sue strutture e l’erogazione delle prestazioni di diagnosi, cura e assistenza, secondo tre principi fondamentali: universalità, uguaglianza ed equità.
  2. Ne deriva che se è sancito costituzionalmente il diritto primario ed assoluto alla salute, è anche sancito il corrispettivo diritto alla non salute. Gli articoli 2 e 13 della Costituzione, riconoscendo e garantendo i diritti inviolabili dell’uomo, ribadiscono l’inviolabilità della libertà personale. La scelta libera, ragionata e consapevole di non godere del bene-salute, è espressione dei diritti di libertà e rispetto della dignità umana (Corte Costituzionale, Sentenza n°438/2008), per cui va rispettata anche se determina pericolo di vita o danno per la salute.
  3. Norme quali quella istitutiva del Servizio sanitario nazionale (L. n. 833/1978 il cui art. 33 sancisce il carattere di norma volontario degli accertamenti e dei trattamenti sanitari, nel rispetto della dignità e della libertà umana), in tema di sperimentazione clinica (D.lgs. n. 211/2003), di procreazione medicalmente assistita (L. n. 40/2004) e di attività trasfusionali e di produzione di emoderivati (L. n. 219/2005). Nel codice di deontologia medica del 2014, l’art. 35 statuisce che “… Il medico non intraprende né prosegue in procedure diagnostiche e /o interventi terapeutici senza la preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato….”.
  4. Al riguardo si è ulteriormente precisato che l’acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di relativa mancata prestazione da parte del paziente (v. Cass., 13/2/2015, n. 2854).
  5. L’autonoma rilevanza della condotta di adempimento della dovuta prestazione medica ne impone, pertanto, l’autonoma valutazione rispetto alla vicenda dell’acquisizione del consenso informato (cfr., da ultimo, Cass., 26/7/2012, n. 13214; Cass., 27/4/2010, n. 10060, e da ultimo Cass., 6/6/2014, n. 12830). Si è al riguardo precisato che, a fronte dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente, è onere del medico provare l’adempimento dell’obbligazione di fornirgli un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze (v. Cass., 9/2/2010, n. 2847), senza che sia dato presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo esse incidere unicamente sulle modalità dell’informazione, la quale deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (v. Cass., 20/8/2013, n. 19920).
  6. Il consenso informato va, d’altro canto, acquisito anche qualora la probabilità di verificazione dell’evento sia così scarsa da essere prossima al fortuito o, al contrario, sia così alta da renderne certo l’accadimento, in quanto solo al paziente spetta la valutazione dei rischi cui intende esporsi, sicché il professionista o la struttura sanitaria non possono omettere di fornirgli tutte le dovute informazioni (v. Cass., 19/9/2014, n. 19731). Il medico, dunque, viene meno all’obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al paziente, al fine di acquisirne un valido consenso, non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso.
  7. In base alle citate linee guida, una corretta informazione deve essere quindi:
  • Personalizzata: adeguata, cioè, alla situazione di salute, psicologica, culturale e linguistica dell’utente e/o del rappresentante legale. L’informazione deve essere adeguata all’età, alla condizione socio culturale e alla capacità cognitiva dell’utente. Per quanto possibile, va evitato il rischio che vi sia un involontario condizionamento dell’utente legato all’asimmetria informativa (condizione in cui l’informazione non è condivisa integralmente) che vi è tra le figure sanitarie in possesso di maggiori informazioni rispetto agli assistiti/utenti.
  • Comprensibile: vale a dire, espressa con linguaggio semplice e chiaro, ma non semplicistico e generico, il più possibile priva di termini tecnici, supportata anche dall’uso di fogli illustrativi. Nel caso di utilizzo di testo scritto viene raccomandato di scegliere caratteri tipografici e stili che favoriscano la lettura. In caso di utente straniero, che non comprende adeguatamente la lingua italiana, si suggerisce di ricorrere, ove possibile, al sostegno di un mediatore culturale.
  • Veritiera: cioè corrispondente alle effettive condizioni di salute dell’utente, alle concrete implicazioni dell’atto clinico proposto sulla base delle evidenze scientifiche.
  • Esaustiva: finalizzata a fornire le notizie inerenti l’atto sanitario proposto (vaccinazione) nell’ambito del percorso di cura intrapreso e al soddisfacimento di ogni quesito specifico posto dall’utente. In particolare, l’informazione dovrà riguardare, come previsto dall’art. 33 del CDM 2014, su:
  • stato di salute dell’utente (ovvero anamnesi vaccinale);
  • natura e scopo principale della vaccinazione;
  • probabilità di successo, benefici previsti, contestualizzati alla letteratura più recente;
  • modalità di effettuazione e, se possibile, chi eseguirà la prestazione;
  • conseguenze locali, se prevedibili, e loro modalità di risoluzione;
  • rischi ragionevolmente prevedibili (aggiornati sulla base della letteratura più recente), loro probabilità di verificarsi e di essere risolti da ulteriori trattamenti;
  • eventuali possibilità di trattamenti alternativi e loro vantaggi e rischi;
  • eventi avversi significativi, anche se rari, e loro emendabilità;
  • conseguenze sulla salute del rifiuto alla vaccinazione.

 

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