Reddito di cittadinanza? Piuttosto ripensiamo la spesa sociale

Il reddito di cittadinanza è uno stanziamento sbagliato. La spesa per l’assistenza sociale nel nostro Paese è già enorme, circa 95 miliardi, ma è mal distribuita ed inefficiente, erogata sotto forma di una miriade di diversi e spesso iniqui e irrazionali ammortizzatori sociali: bonus bebè, bonus mamma, carta famiglia, bonus 18anni, bonus nido, bonus affitto, gli 80 euro, reddito di inclusione, assegni familiari, Cassa Integrazione, disoccupazione (DIS-Coll, Naspi), contratti di solidarietà, assegno di ricollocamento, assegno sociale, integrazione al minimo, assegno di reversibilità (40 miliardi, integrazione al minimo + reversibilità, 18 miliardi ,cig + disoccupazione, 36 miliardi, assistenza sociale).

Tutta questa miriade di erogazioni statali alle persone fisiche andrebbe sostituita con un unico strumento di lotta alla povertà, un reddito di base, uguale per tutti e a parità di requisiti, parametrizzato sul livello del reddito, del patrimonio e del nucleo familiare, finanziato dalla fiscalità generale. Ciò eviterebbe discriminazioni, iniquità, sovrapposizioni, inefficienze, e consentirebbe la razionalizzazione della spesa e migliori controlli.

Per poterlo realizzare occorre una separazione della previdenza dalla assistenza, a livello contabile per fare chiarezza su spese molto diverse tra loro per finalità e modalità di finanziamento, considerato che le pensioni sono finanziate da una tassa di scopo, i contributi sociali, mentre l’assistenza è finanziata dalla fiscalità generale (una parte anche dai contributi di scopo dei datori di lavoro per la disoccupazione, cig, assegni familiari)

Una ulteriore spesa per il reddito di cittadinanza non ha senso, dato che esiste già una enorme spesa per welfare che, però, spesso va ai soggetti sbagliati. D’altra parte in qualunque Paese evoluto, anche quelli con le economie più liberali e antiassistenziali, esiste una erogazione contro la povertà assoluta, salvo i dettagli per stabilirne i requisiti, livello di reddito, età, vecchiaia, disabilità, obbligo di accettare un lavoro, tecniche di funzionamento (ad es. imposta negativa).

Il vero cambiamento, quindi, non è aumentare la spesa per l’assistenza con un ulteriore strumento (elettorale?) ma è il procedere ad un totale riordino e razionalizzazione di tutti gli ammortizzatori e le assistenze sociali: in tal modo si ottiene più equità ed, invece di gravare ulteriormente la spesa pubblica, si possono, persino, ottenere dei risparmi e diminuire il costo del lavoro, aumentando la creazione di posti di lavoro.

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