Il Governo con una sorta di “dispotismo paternalistico” ha decretato, ignorando prevalentemente il Parlamento, una sostanziale “dittatura dell’emergenza sanitaria” mediante una concitata e pletorica regolamentazione precettistica, inflessibile, minuziosa nel dispensare proibizioni e divieti, e duramente punitiva perché nutrita della sfiducia verso i cittadini.
Di questo armamentario normativo che mira a modellare giuridicamente, con paternalistica determinazione, i cittadini come se fossero figli minori incapaci di pensare e di determinarsi autonomamente, sulla cui sorte deve vegliare il Governo, l’aspetto più criticabile risiede nella declinazione delle misure che incidono sui diritti di libertà dei cittadini “che non si ammalano né si sospendono”.
In uno dei passaggi più difficili, se non drammatici, della storia della nostra Repubblica che avrebbe richiesto come non mai la piena osservanza della Costituzione quale fondamento del nostro sistema di democrazia liberale, stiamo invece assistendo ad una forma di sacralizzazione del potere dell’Esecutivo, alla marginalizzazione del Parlamento, al declino del primato della legge.
Una rilevante compressione e limitazione di fondamentali diritti di libertà dei cittadini è stata decisa da una pioggia di decreti emanati con solitaria sollecitudine dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Non si è voluto riconoscere che secondo la Costituzione le libertà fondamentali possono essere incise e limitate soltanto dalla legge, la c.d. ”riserva di legge” formale deliberata dalle Camere, che esclude qualsiasi intervento di fonti non primarie dalla regolamentazione della materia. I costituenti hanno voluto che soltanto la legge fosse lo strumento per vincolare l’azione del potere esecutivo nei confronti delle libertà costituzionali.
Nessuno può negare, quindi, se ci si prende la briga di leggere la Costituzione, l’inidoneità dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri ad intervenire, limitandole, sulle libertà gelosamente tutelate dalla Costituzione poiché i decreti, quali atti sostanzialmente amministrativi, costituiscono una fonte, sicuramente non primaria, e comunque anomala, non contemplata dalla Costituzione, e sono sottratti al vaglio delle Camere e all’esame del Presidente della Repubblica.
Si è ritenuto tuttavia che un’adeguata “copertura legislativa” dei decreti presidenziali potesse essere assicurata dal decreto legge n.6 del 2020, successivamente convertito in legge n.13 del 2020, con il quale il Governo ha “delegato” il presidente del Consiglio ad adottare le misure di contenimento e di contrasto dell’emergenza sanitaria con appositi decreti da esso emessi.
Questa tesi incontra un duplice, concorrente e, a nostro avviso, non superabile né emendabile inciampo: la Costituzione prevede che soltanto il Parlamento possa con una propria legge conferire al Governo la potestà di legiferare “con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato”; la delega al Governo non può essere conferita con atto adottato dal Governo stesso, come dispone anche la legge sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio.
Ed invece proprio questo è accaduto: il Governo ha delegato sé stesso a trasformare, in virtu’ di un’insospettabile capacità taumaturgica, atti amministrativi in atti di legislazione primaria con i quali il Presidente del Consiglio ha ritenuto di poter intervenire per tutelare la salute anche sui diritti di libertà e, contemporaneamente, il Governo ha approvato con un suo atto il suo stesso operato.
Questo tortuoso “modus procedendi”, che sembra assomigliare meno ad un procedimento legislativo che ad un giuoco di scatole cinesi in cui il grande assente è stato il Parlamento, ha alterato il quadro istituzionale delle fonti normative di rango primario come disegnato dagli artt.70,76 e 77 della Costituzione e la natura stessa della delega legislativa prevista dalla Costituzione che presuppone il “dualismo” tra il Parlamento delegante e il Governo delegato ed ha vanificato lo scudo della riserva di legge che garantisce le libertà costituzionali.
Evidentemente non si pone in dubbio né l’eccezionalità della situazione sanitaria determinata dalla pandemia né il primato della cura della salute, quale diritto del singolo e bene della collettività, per preservare la vita senza la quale nessun diritto è esercitabile, né è in discussione l’urgenza di provvedere con tempestività per adeguare la normativa all’evoluzione della pandemia.
Tuttavia che, come è stato sostenuto, l’emergenza sia essa stessa la fonte del diritto del Governo di autoattribuirsi poteri, non previsti dalla Costituzione, di limitare le libertà fondamentali con atti amministrativi è tesi, prima ancora che opinabile giuridicamente, pericolosa perché l’elasticità del concetto di emergenza ne può favorire abusi da parte di chi intenda recidere le linfe della libertà.
Non è dato sacrificare in nome delle esigenze sanitarie i diritti di libertà senza un ponderato bilanciamento fra diritti egualmente fondamentali che sono in rapporto di reciproca integrazione, bilanciamento che non può che essere compiuto dalle Camere nel rispetto della struttura normativa articolata e gerarchica dettata dalla Costituzione.
Anche in un frangente di eccezionale gravità che impone rapidità ed urgenza di decisioni, come è lo stato di guerra, la Costituzione ha previsto un regime garantista che eviti qualsiasi arbitrio dell’Esecutivo affidandone la deliberazione e la fissazione dei poteri necessari nonché il controllo politico alle assemblee parlamentari.
E’ significativo che le forze politiche di maggioranza con un tardivo sussulto, che non pare azzardato definire freudiano, hanno tentato una parlamentarizzazione dei decreti senza tuttavia superare la delegittimazione del Parlamento e senza sanare il vizio di origine dei decreti che ne inficia la legittimità costituzionale.
Le Camere, in virtù di un emendamento al decreto legge n.19 del 2020, potranno infatti unicamente ascoltare dal Presidente del Consiglio o da un Ministro delegato l’illustrazione del contenuto dei decreti formulando vaghi indirizzi e nemmeno questi quando il Presidente, per ragioni d’urgenza, si presenterà alle Camere a cose fatte dopo l’emanazione e, si suppone, l’esecuzione dei decreti.
È in giuoco la qualità della democrazia se il Governo si libera dei limiti costituzionali perché solo lo stato di diritto e un assetto costituzionale del potere garantiscono le libertà civili del cittadino che non esprimono un individualismo asociale ma, al contrario, sono il presupposto per la dotazione di pari libertà per tutta la collettività.
L’ossequio alla Costituzione, alla centralità del Parlamento, che è il cuore della democrazia rappresentativa, alle leggi che esprimono gli orientamenti e la volontà del corpo elettorale, non sono lo svago innocente di anacronistiche vestali della Carta come affermano spensieratamente coloro che ritengono che la rappresentanza politica sia niente altro che un fastidioso intralcio ai processi decisionali del Governo. La tentazione di fuoriuscire dalla tradizione del costituzionalismo liberale in nome di una privatizzazione della sovranità non è una novità: già circa due secoli e mezzo or sono i costituenti di Filadelfia avevano ammonito che se la Costituzione è soltanto nominale vi è il rischio di scivolare in un “dispotismo elettivo” che soffoca le coscienze e il pensiero.
Professore ordinario, della cattedra di Diritto civile presso la Facoltà di Giurisprudenza della Libera Università per gli studi sociali Guido Carli – LUISS – di Roma. Componente del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi.